Casalingo è bello. L’Isola del Giglio, Sarnano, Arabba, Barbiana, la Terra Santa, le Dolomiti, Parigi.
La vita è fatta di molto ordinario interrotto da eventi straordinari. A me l’ordinario piace e mi dedico a cogliere la sua straordinarietà, ora riuscendoci ora no.
Da quando sono costretto a fare il casalingo, cioè dopo il 2007, ho compreso quanto lavorino le casalinghe o i pochi casalinghi che ci sono. Premetto che la conduzione della casa è in mano a Rossella, ma anche io offro il mio contributo. La mattina non mi sveglio prima delle 8, qualche volta sforo fino alle 9,30, dipende da come ho riposato la notte. Quindi lavastoviglie, se i piatti non ce li abbiamo già messi la sera, poi panni da stendere lavatricizzati il mattino presto da mia moglie prima di partire per il lavoro. Però seguendo rigorosamente il metodo Rossella: i panni vanno lavati a dritto, poi terminato il lavaggio vanno rovesciati e stesi, quindi una volta smollettati, vanno di nuovo messi a dritto. Mi fa uscire pazzo…ma ha ragione, vengono meglio. Alle 10 e trenta circa arriva la posta e di carino c’è solo la postina, per il resto solo cose da pagare.
Nel frattempo mi impasticco la dose mattutina (seguita in seguito dalla pomeridiana e serale) e penso alla preparazione del pranzo che non è problematico in sé quanto sul “che facciamo oggi?”. Per la cucina me la cavo e le mie specialità sono la pappa al pomodoro e la polenta tagliata a fette poi messa su una teglia condita con sugo di macinato magro arricchito da aglio e prezzemolo e ripassata in forno per circa mezz’ora. Dicono anche che mi viene bene il classico ragù; forse ho preso della mia mamma che cucinava poco perché lavorava dalla mattina alla sera, ma il ragù e il roastbeef li faceva eccezionali. Il resto della casa è in mano a Rossella e, il fine settimana, anche le cose che ordinariamente faccio io. La domenica seguo la messa in televisione dovendo evitare, salvo casi eccezionali, la mia partecipazione a quella parrocchiale. Il periodo invernale, insieme a Rossella, condivido il cammino formativo dell’Azione Cattolica adulti di Pitigliano e l’estate di tanto in tanto partecipiamo agli esercizi spirituali diocesani.
Confesso che dalle mattinate casalinghe esco provato e il pomeriggio mi riposo un po’, ma la cosa bella di queste giornate caserecce sta nell’incrociare i figli, aspettare Rossella che torna dal lavoro, ascoltare Giovanni e Samuele quando prendono la chitarra o guardano i Simpson, attendere la chiamata di Lucia la sera, appena uscita dal reparto. Specie tra maschi non parliamo continuamente, pur discutendo via via con passione delle grandi questioni e di qualche boiata, ma percepiamo l’odore del bagnoschiuma usato in doccia, il rumore delle ciabatte, lo sfogliare di un libro o di una rivista, il commentare ad alta voce ed in modo colorito qualcosa di visto o sentito. La mattina il profumo del caffè avvolge tutta la casa. Il pranzo, dopo il segno della croce, inizia sempre con la classica domanda rivolta a Samuele: “Come è andata oggi a scuola?” e la sera – dopo aver parlato molto a cena – talvolta guardiamo insieme la televisione, magari sotto una bella coperta che fa tanto famiglia e con Rossella che, dopo poco, ci lascia per altri lidi e Giovanni – quando è a Pitigliano – che dopo un altro poco si addormenta profondamente. Io e Samuele siamo i resistenti e Lucia non c’è praticamente mai.
Ho scritto queste cose per dire che la mia è una vita modesta e ordinaria come quella della stragrande maggioranza delle persone. E mi fa piacere essere, in questo modo, popolare.
L’ordinario della mia famiglia è intramezzato da momenti di riposo e ricarica. Tra questi voglio ricordare le nostre estati, apparentemente monotone nei due appuntamenti fissi: l’Isola del Giglio e Sarnano, il mare e la montagna. Per la verità rappresentano molto di più: significano ricordi, affetti, amicizie che crescono, anche se di tanto in tanto fa male qualche abbandono.
Dal 1998 ad oggi, con l’eccezione del 2000 perché nacque Samuele, godiamo di una settimana all’ISOLA DEL GIGLIO, grazie all’amicizia di Agnese (e prima di sua mamma Momina) che ci mettono a disposizione una casa al Porto. Con loro il rapporto risale alla missione del 1980. Per noi quella settimana vuol dire serenità, mare (prevalentemente alle Cannelle), passeggiata tra i due fari, chiacchierate con amici (Guido, Rosa, Claudio, Walter, Antonio…) sul mare, l’isola, il mondo. Da quando poi c’è don Lido è ancora più bello.
Che dire di SARNANO. Sono 60 anni che ci vado, Rossella più di 30, i figli quasi sempre. Mi ci portavano i genitori d’estate, a Natale, per la commemorazione dei defunti. Aria salubre, colori stupendi, i monti Sibillini a un chilometro di distanza, giusta temperatura d’estate e, fino a poco tempo fa, neve d’inverno, com’è accaduto quest’anno. Per me voleva dire incontrare la nonna Alberinda, la zia Maria che abitavano lì, gli altri zii e i cugini. Ricordo l’odore del formaggio di pecora che faceva la nonna, il sapore del prosciutto che la zia metteva abbondante nella pagnottella, i vincisgrassi e le torte fatte con uvetta, cioccolato e altre spezie veramente deliziose. Rammento quando, bambino poi ragazzo, la zia mi portava a badare le pecore e a vederle mungere, a governare le galline, le oche, i conigli, il maiale. Animali che poi vedevo ammazzare per essere mangiati e non ne rimanevo turbato perché mi appariva naturale che fosse così. Scomparsi la nonna e gli zii, continuiamo da andarci con i cugini e i nipoti: Linda, Nino, Marilena, Marco, Matteo, Federico, Nicola, Anna e i loro figli. È sempre stupendo, ma debbo confessare che talvolta provo nostalgia per il tempo che fu. La casa purtroppo è stata ferita dal recente terremoto e quest’anno non potremo andarci perché dichiarata non abitabile. Un altro segno delle cose che passano e che vengono travolte dagli eventi, ma poi rinascono.
Naturalmente ci sono stati anche momenti extra-ordinari. Tra questi ricordo Barbiana, Arabba, la Terra Santa, Colfosco, Parigi.
Nel 2006 volli andare insieme alla famiglia, sollecitato anche da Piero Rossi, a BARBIANA. Ho sempre letto e ammirato don Lorenzo Milani e l’ho considerato un punto di riferimento per il suo approccio educativo, ma non ero mai andato a trovarlo. Dopo aver visitato la scuola e la piccola chiesa (e incontrato uno dei primi sei allievi di don Lorenzo, il mio ex collega presidente della provincia di Firenze, Michele Gesualdi), faticai a scendere e soprattutto a risalire il breve tratto che conduce al minuscolo cimitero dove è seppellito il Priore. Stavo già piuttosto male e, dentro di me, lo salutai sottovoce con un “A presto”.
Don Icilio Rossi è sempre stato un sacerdote animatore e, ancora nei primi anni 2000, organizzava settimane di riflessione e riposo per sacerdoti e laici impegnati. Spinti da don Lido, io, Rossella e Samuele partecipammo al soggiorno del 2005 ad ARABBA. Quanto si stette bene con meditazioni di prima mattina ed escursioni su quelle montagne da favola. Come era piacevole sostare con don Icilio, don Lido, il vescovo Rodolfo Cetoloni, il vescovo Vasco Bertelli, altri vescovi della Toscana ed amici di vecchia data. Guardavo quelle montagne che avevano fatto parte della mia formazione giovanile e mi chiedevo se le avrei visitate ancora. Provvidenzialmente riuscirò a vederle ancora nel 2008, con la settimana a COLFOSCO, in occasione del 50° anniversario di matrimonio dei miei suoceri, Alido e Maddalena. Non mi sembrava vero.
Il 2008 fu un anno particolare specie per il VIAGGIO IN TERRA SANTA, dal 5 al 12 marzo. Lo avevo sempre desiderato e forse l’esperienza del trapianto l’accelerò. Nel marzo, insieme ai miei suoceri, Alido e Maddalena, il fratello di Rossella, Augusto e sua moglie Monica partecipammo a quell’evento con il pellegrinaggio diocesano, guidato con squisitezza dal Vescovo Mario Meini. Rossella non vi partecipò perché non poteva lasciare la scuola. Esperienza indimenticabile, da fare almeno una volta nella vita, ovviamente con un gruppo organizzato. Vedere i luoghi dove era nato, vissuto, morto e risorto il Maestro fu emozionante.
Dalla Galilea, con l’attraversata in battello del lago di Tiberiade, Cafarnao, il monte delle Beatitudini, Tabga, Nazareth, Cana, il monte Tabor. Poi, attraverso la valle del Giordano, tappa sul mar Morto, Gerico, Betania e Betlemme. In seguito Gerusalemme con il monte Moria, le cupole delle moschee islamiche di Al’ Aqsa e della Roccia, il monte Sion con il Cenacolo, la basilica della Dormizione, il monte degli Ulivi con l’edicola dell’Ascensione e il Getsemani. Poi la via dolorosa, dalla chiesa della Flagellazione al santo Sepolcro. Infine, la via crucis dei nostri tempi, il Memoriale dell’Olocausto, lo Yad Vashem. Per certi versi se ne esce con un’impressione diversa dall’idea che si aveva della terra di Gesù, ma è sempre bello, emozionante, unico. Consigliabile.
Nel 2010 oltre che in Svezia, andammo a PARIGI. Quattro giorni, durante la Pasqua, a trovare Giovanni che stava facendo un Erasmus a Science Po, il prestigioso Istituto di Studi Politici di Parigi. Eravamo tutti e potemmo godere delle bellezze parigine, dal Louvre alla Tour Eiffel arrivando dal Trocadero, dagli Champs-Elysées al quartiere latino e al Sacré Coeur, dal tour della Senna sul battello sino alla messa di Pasqua nella cattedrale di Notre Dame. Fu una full immersion straordinaria.
Ordinario e straordinario, dunque, nella mia vita e in quella della mia famiglia si intrecciano. Come nella vita di tutti, o quasi. La vera fatica sta nel cogliere lo straordinario di cui siamo ordinariamente circondati. Perché, per dirla con Paulo Coelho, “i miracoli avvengono intorno a noi, i segnali di Dio ci indicano la strada, gli angeli chiedono di essere ascoltati”.
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