lunedì 20 aprile 2009

LA TERZA RIVOLUZIONE DELLA MAREMMA: IL DISTRETTO RURALE

Quando nel maggio 1995 mi trovai in mano la bicicletta della Provincia che la volontà di 76.746 cittadini mi aveva consegnato, non mi restava che pedalare.
La prima cosa importante che feci fu quella di scegliere i collaboratori più stretti, la giunta provinciale. Lo feci con grande autonomia, puntando su tre cose: competenza, intuibili capacità innovative, discontinuità col passato; mi basai molto sul curriculum di ciascuno.
Fu il mio primo peccato, mai perdonato, che mi fu fatto puntualmente pagare nel 1999 impedendo una mia ricandidatura alla guida della provincia.
Ma rappresentò a mio giudizio una scelta azzeccatissima in termini di bene comune.
Quattro persone di grande valore e di spiccate competenze.
In questo caso - e perché l’argomento lo richiede - desidero rammentare il prof. Alessandro Pacciani. Lo tirai fuori dal cappello come un prestigiatore; la sorpresa fu molta, alcuni manifestarono fastidio perché non consultai nessuno, ma il suo curriculum lo rendeva inattaccabile. Fu un’illuminazione.

Con lui fu possibile da subito far fronte ad alcune situazioni di crisi piuttosto acute, penso al settore lattiero-caseario (ma non solo) e soprattutto ci rendemmo conto che la Provincia di Grosseto pur presentandosi, nel panorama toscano, coma l'area agricola forte, doveva iniziare a intraprendere strade innovative che le avessero consentito di avere un ruolo di primo piano anche nell'immediato futuro.
Nacque così l’idea di progettare per la Maremma il DISTRETTO RURALE.

Ad esser sinceri le prime intuizioni ci avevano preceduto e sono rintracciabili nel contributo della Federazione Lavoratori Agro Industria della CGIL del 1993 e nel Progetto per il Sistema di Qualità Maremma predisposto nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria Leader II dal settore agricoltura della stessa Provincia.

Fu però nella legislatura 1995-99 che prese forza l’idea della Maremma Distretto Rurale d’Europa ed ebbe una prima importante condivisione nella I Conferenza Provinciale del 1996. La definitiva consacrazione ci fu con la II Conferenza Provinciale del '98 dove furono presentate e discusse le linee programmatiche ed operative del Distretto Rurale e individuati gli assi di intervento su cui far confluire tutti gli strumenti finanziari.
E candidammo formalmente la Provincia di Grosseto a Distretto Rurale.
Candidatura che riuscì ad avere il riconoscimento della Giunta regionale toscana, in via sperimentale, nel giugno 2002. La cosa fece scuola a tal punto che altre zone toscane seguirono la nostra idea e condusse la stessa Regione Toscana a disciplinare la costituzione dei distretti rurali con Legge 21/2004. L’approvazione definitiva infine avvenne nell’ottobre 2006.

Ma quale era l’intuizione alla base del Distretto Rurale?
Era quella che non bastasse più parlare semplicemente di agricoltura, ma che fosse necessario ragionare e programmare in termini di Sviluppo Rurale Integrato.
L'obiettivo politico che avevamo in mente, detto in soldoni, era quello di mantenere i presìdi umani sul territorio e far tornare attraente vivere in un territorio rurale.
E siffatto obiettivo non era più raggiungibile alla vecchia maniera, ma richiedeva un approccio nuovo che individuammo nello sviluppo rurale integrato.
Esso è, infatti, uno sviluppo di tipo territoriale (piuttosto che settoriale) che si manifesta attraverso una pluralità di settori e ambiti d'intervento: le infrastrutture, i servizi, l'ambiente, il turismo, il patrimonio culturale, artistico e paesaggistico, la creazione di nuove professionalità, l'artigianato, la trasformazione dei prodotti della natura, gli aspetti sociali.
L'agricoltura diviene componente determinante dello sviluppo rurale in quanto inserita in questo processo integrato e finalizzato a conservare e a migliorare i livelli occupazionali, di reddito, di vivibilità.
In questo rinnovato contesto il territorio assume un ruolo sempre più strategico come àmbito della pianificazione dello spazio rurale nel quale attuare lo sviluppo rurale integrato.
Ciò mediante il cambiamento del suo ruolo - in sintonia con l'impostazione europea (dalla Carta Rurale Europea alla Conferenza di Cork sullo sviluppo rurale) - da sede fisica (contenitore di interventi edilizi, infrastrutturali, dello sviluppo) a fattore che consenta la verifica della qualità dello sviluppo e del suo impatto sulla vita della gente.

E’ nel contesto di quell’intuizione-idea-progetto che è stato possibile pochi anni dopo, sempre sotto la sapiente regia di Pacciani, costruire il Patto specialistico per l’Agricoltura, sul modello del Patto Territoriale già sperimentato e il Contratto di Programma per l’Agro-Alimentare.

So che il progetto Distretto ha trovato anche alcuni critici (sempre legittimi e benvenuti) e qualche denigratore (per lo più gente invidiosa e incapace), ma la stragrande maggioranza degli operatori, delle associazioni e dei responsabili politici e amministrativi ne ha colto lo straordinario valore strategico ed ha partecipato all’ardua impresa.

Come valutare, allora, la realizzazione? Certo, ai posteri l’ardua sentenza.
Ma, mio parere, nel progetto di Distretto Rurale c’è delineata la linea di sviluppo principale dei prossimi decenni.
Vi è rappresentata la svolta che è avvenuta in Maremma nella costruzione di un nuovo modello di sviluppo, a partire dalla consapevolezza della propria identità e attivando atti di programmazione e di governo che fossero in grado di dare concretezza a concetti di per sé astratti, quali: sviluppo integrato, sviluppo sostenibile e compatibile, riequilibrio territoriale, sussidiarietà, concertazione, multifunzionalità dell’agricoltura, qualità dei prodotti delle risorse e del territorio.
Il tutto con una metodologia di lavoro che abbiamo faticato un sacco a far nascere: quella della concertazione vera tra tutti i soggetti locali.
Se una critica mi sento di fare è relativa alla gestione sempre più burocratica che è stata fatta in seguito del progetto Distretto, centrandolo troppo sulla Provincia come ente e sempre meno sul territorio e sui suoi protagonisti vitali.

Il progetto comunque, nonostante qualche limite, ha rappresentato – come osservava Pacciani nel 2003 – “l’avvio di un processo che ha caratterizzato la società e l’economia grossetana negli ultimi sette/otto anni, ponendosi alla base di quella che può essere considerata oggi la TERZA RIVOLUZIONE della Maremma dopo la Bonifica e la Riforma agraria.
Con la Bonifica, nelle sue varie interpretazioni temporali - idraulica, sanitaria, integrale - il territorio è recuperato alla produzione e agli insediamenti senza modificare il regime fondiario dal punto di vista tecnico-giuridico.
Con la Riforma agraria la trasformazione ha investito la distribuzione della proprietà fondiaria puntando all’incremento e alla qualificazione dell’occupazione, attraverso la creazione di un tessuto diffuso di imprese coltivatrici supportate da interessanti esperienze di cooperazione.
Con il Distretto Rurale si favorisce l’affermarsi dell’imprenditorialità agricola, della multifunzionalità dell’agricoltura e la valorizzazione del territorio e di tutte le attività che in qualche modo rientrano nel contesto della ruralità”.


L’esperienza maremmana è lì a dimostrare come la scommessa sul Distretto Rurale non solo abbia prodotto effetti positivi sui comportamenti delle imprese e della pubblica amministrazione, ma per molti aspetti sia stata anticipatrice rispetto ai cambiamenti delle politiche, determinando un forte stimolo verso la riconversione produttiva delle attività del mondo rurale, in particolare di quella agricola, e richiamando forti flussi di nuovi investimenti e quindi di nuova occupazione e nuove fonti di reddito.
Gli indicatori più significativi per rappresentare gli effetti della trasformazione in atto - ricordava sempre nel 2003 Pacciani - "oltre al valore del capitale fondiario, più che quintuplicato negli ultimi sette/otto anni, anche nelle aree marginali della provincia, sono altresì ravvisabili nella crescita eccezionale degli investimenti delle imprese e delle amministrazioni locali, accompagnati da un apprezzabile ricambio generazionale dell’imprenditoria agricola in particolare quella femminile e da una evidente vitalità sociale e culturale delle aree rurali".
A me tutto questo sembra una bella notizia per le generazioni future e su questa linea penso si debba proseguire.
Stefano Gentili

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