venerdì 20 novembre 2009

ECCELLENTE BAGNASCO. SACERDOTI, UOMINI DELLO SPIRITO E DEL CUORE

Il cardinale Angelo Bagnasco sempre nella Prolusione di Assisi del 9 novembre, prende spunto dall’Anno Sacerdotale in corso per evidenziare “l’identità più profonda” del sacerdote di oggi.
La matrice è Gesù Buon Pastore e un’esemplarità è rappresentata dal Santo Curato d’Ars, ma non v’è dubbio che “ogni epoca ha in qualche modo il diritto di caricare la figura del prete di attese specifiche”.

E allora?
Allora, per dirla come la vedo, Bagnasco è riuscito a dare voce a ciò che spesso le persone pensano, magari senza dirlo o dicendolo a bassa voce oppure in qualche raro caso a manifestarlo con franchezza.
Quando dico 'le persone' intendo ‘noi’ gli appartenenti per scelta alla comunità cristiana, i frequentanti, gli sporadici, quelli ancora meno assidui e anche i non praticanti. Non tutti (e che ne so, io!) ma un bel campione sicuramente si. Quando si riesce ad entrare nella questione la cosa salta fuori.
Ma, insomma, cosa ha detto il cardinale.
Ha detto…ha detto.

“Nella società contemporanea, il sacerdote è chiamato ad essere, più di sempre, uomo dello spirito, ossia l’uomo che si affida anzitutto non alla ricerca di forme pastorali meglio adeguate, o a qualche raffinata scienza accademica, o ad un’organizzazione efficiente del tempo, ma ad uno scavo, ad un approfondimento inesausto, ad un’adesione interiore e amata all’essenziale della propria missione: se dovesse mancare, anche le metodiche più raffinate resterebbero inefficaci. Il sacerdote deve trovare la sorgente della santità nell’oggetto del suo sacerdozio, nella carità pastorale di cui la sua missione è come impregnata. Allora non cercherà evasioni, né cercherà compensazioni, ma sarà pago della missione che incombe sulla sua anima, e la farà fiorire nella sua personalità. E in questo processo di identificazione tra l’evento interiore e i modi esteriori, egli diventa l’uomo dello spirito, che vince sulle costrizioni della materia. «La grande sventura di noi parroci – diceva Giovanni Maria Vianney – è che l’anima si intorpidisce». Ogni vero prete non si tira indietro rispetto alla missione, e questo – a ben guardare – è tipico della figura sacerdotale che nei secoli ha preso forma nel nostro Paese. Sia che stiano nel tempio, sia che visitino le famiglie – specialmente nella benedizione annuale - sia che animino le attività pastorali, i nostri sono sacerdoti che si sentono mandati a tutti, destinati a tutti, anche ai non frequentanti, anche a coloro che sono tiepidi o freddi rispetto all’appartenenza religiosa, e per questo loro slancio devono sapere di essere da noi Vescovi ringraziati, sostenuti, ammirati. Nel testo indirizzato ad ogni sacerdote all’inizio di questo anno speciale, Benedetto XVI ricorda come il Santo Curato d’Ars, che pure si poteva intendere in un certo qual senso trasferito di abitazione nella sua chiesa, era però capace di «abitare attivamente tutto il territorio della sua parrocchia» (Lettera per l’Anno sacerdotale, 16 giugno 2009). Direi che qui c’è un tratto caratteristico del modello – se l’espressione può passare – del sacerdozio pastorale, del prete cioè che considera propria una missione coestesa a tutto il territorio a lui affidato. Non è l’uomo consacrato che semplicemente custodisce la sacralità del tempio, e colà attende che il popolo arrivi secondo rigidi orari, pur se proprio lì esercita un ruolo unico e indispensabile; egli è l’uomo conquistato da Dio per accompagnare e magari sorprendere gli abitanti del suo territorio là dove vivono, per andarli a trovare, a cercare, a scovare. In questo è, ad un titolo speciale, immagine di quel Padre che non si dà pace finché non fa sentire ciascuno dei suoi figli amati e desiderati, amati e rincorsi, amati e infine ritrovati. Essere prete è la vocazione di chi sta accanto alla propria gente come testimone di misericordia. Senza la percezione della divina misericordia, infatti, gli uomini di oggi non sopportano la verità. Per questo Cristo vuole la Chiesa maestra e madre! In un mondo dell’efficienza e privo di misericordia, ciascuno tende ad auto-giustificarsi e magari ad accusare gli altri. Fino a quando non scopre di essere già raccolto nel palmo della mano di Dio, e tenuto stretto al suo cuore divino. Già, il sacerdote è l’uomo del cuore, ne conosce gli abissi, e così diventa lo specialista di Dio. Sa cioè coltivare «quella “scienza dell’amore” che si apprende solo nel “cuore a cuore” con Cristo. […] Proprio per questo noi sacerdoti non dobbiamo mai allontanarci dalla sorgente dell’amore che è il suo Cuore trafitto sulla croce. E solo così saremo in grado di cooperare efficacemente al misterioso “disegno del Padre” che consiste nel “fare di Cristo il cuore del mondo”» (Benedetto XVI, Omelia per l’apertura dell’Anno Sacerdotale, 19 giugno 2009).”

La mia vita è stata ed è costellata dalla presenza di figure sacerdotali bellissime che hanno corrisposto anche alla visione esplicitata dal cardinale. Hanno lasciato segni indelebili nella mia persona, nella formazione, nella spiritualità, nella concretezza della vita. Alcuni sono morti, altri sono vivi e vegeti.
Per tutti provo un senso di riconoscenza difficilmente esprimibile.
Come tutti gli uomini, come me, anche loro non sono stati e non sono esenti da limiti, difetti, incongruenze. E meno male! Anzi il tutto li rende più belli, perché più veri.

La riflessione di Bagnasco mi sembra, però, toccare una questione che vale la pena mettere ancora una volta sotto la lente d’ingrandimento, perché è un po’ figlia del tempo che stiamo vivendo, troppo spostato sul fronte dell’efficienza e povero di indicatori di speranza.

Sia chiaro, efficienza, organizzazione, affinamento delle capacità tecnico-pedagogiche e altro ancora, sono tutte cose buone e giuste e da coltivare in ogni campo. Quando ancora potevo insegnare ho visto sulla mia e sull’altrui pelle (quella dei ragazzi) i nefasti esiti di insegnanti che ‘sapevano’, erano pure ‘brave persone’ ma ‘non sapevano insegnare’ spesso solo per ostinazione a non volere apprendere nuove strategie, metodi, ecc., ecc.
Questo vale anche nella comunità cristiana per tutti quelli che hanno compiti educativi e per i parroci con la loro responsabilità di presiedere, talvolta dirigere (nella condivisione…) le attività pastorali.

Ma se è vero che – ormai da tempo – viviamo in tempo votato all’efficienza e svuotato di speranza, allora – probabilmente – la presenza di sacerdoti “dello spirito e del cuore”, magari anche un tantino meno efficienti e più “portatori di speranza” rappresenterebbe balsamo allo stato puro.
O no? Che dite?
Eccellente, Bagnasco, eccellente.
Stefano Gentili

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