sabato 21 novembre 2009

SPERANZOSO BAGNASCO. LA GRAZIA NELLA DISGRAZIA

Parto da me e arrivo al cardinale.
Parto da me perché le vicende della mia vita nell’ultimo periodo (almeno dal 2003) mi hanno portato vicinissimo alla morte e anche ora, come suol dirsi, sono ‘a forte rischio’.
Pensavo tempo fa e rifletto ancora che la mia condizione di ‘borderline’ sia stata e sia una opportunità perché mi ha fatto transitare dal ‘carpe die’ al ‘memento mori’.

Non intendo dilungarmi sulla locuzione tratta dalle Odi del poeta latino Orazio (Odi 1, 11, 8): ‘carpe diem’ letteralmente significa ‘cogli il giorno’ normalmente viene tradotta in ‘cogli l’attimo’, anche se la traduzione più appropriata sarebbe ‘vivi il presente’.
La filosofia oraziana del carpe diem in realtà si fonda sulla razionale considerazione che all'uomo non è dato di conoscere il futuro, né tantomeno di determinarlo, ma la chiave di lettura che in genere se ne offre è quella di un gretto opportunismo o di un gaudente edonismo.

Anche il ‘memento mori’ (letteralmente: ricordati che devi morire) è una nota locuzione in lingua latina.
Da una particolare usanza tipica dell'antica Roma - per i generali vittoriosi che tra gli onori del rientro rischiavano di insuperbirsi e quindi veniva loro ricordata la locuzione - ai Trappisti - che adottarono la frase come motto, mentre si scavavano un po’ al giorno la fossa destinata ad accoglierli, con lo scopo di tenere sempre presente l'idea della morte e quindi il senso della vita, destinata a finire - il memento è caduto un po’ in disuso.
Mi scuso per la non richiesta ‘lezioncina’, ma oggi usare termini desueti rischia di non essere minimamente compreso dai più.

Per onestà intellettuale debbo dire che non sono mai stato preda del carpe diem nel senso più negativo e chiuso, ma probabilmente il senso della morte si era un po’ ‘estinto’ (anche questo non è del tutto vero). Sto un po’ forzando, ma neppure troppo.
Allora ho pensato che ciò che è accaduto alla mia vita fisica, alla mia salute, con la malattia, il trapianto e l’attuale dopo, non sia stato una “disgrazia” ma una “grazia”.
Potrei anche spiegare i dettagli ma non è il caso.

Ecco che allora.....ancora una volta la prolusione del cardinale Bagnasco ad Assisi è entrata nel vivo di una questione fondamentale nella vita umana, anzi nella questione antropologica centrale, meglio ancora nella mia e nella tua questione: la morte.
E l’apparente gioco di parole, ‘la grazia nella disgrazia’, lo prendo proprio da lui.
Bagnasco è entrato nel tema prendendo spunto dalla precedente riflessione sui sacerdoti e sottolineando la circostanza della nuova edizione italiana del Rito delle Esequie.
Per non rovinare la bella riflessione non cito nessuna parte, ma allego l’intero breve paragrafo come link.

La preoccupazione del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana appare quella di aiutare le persone a pensare in maniera meno evasiva all’appuntamento con il grande evento.
E, in chiave cristiana, pensare che morte - giudizio, inferno, paradiso (rettamente intesi, aggiungo io) – sono tappe di una vita che va oltre la morte e sfocia nella vita eterna.

Tutto grazie a Cristo, alla sua morte e risurrezione.
E’ la ‘novella’ più ‘buona’ che abbia mai udito.
Ascoltarla annunciare di nuovo fa bene.
Stefano Gentili

http://docs.google.com/View?id=df488bnb_29fmf3mrft

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