Quasi improvvisamente,
ma alcune avvisaglie già c’erano state (PIO XII, Allocuzione alla VII Assemblea
medica mondiale, 30.09.1954), l’inizio degli anni ’60 porta con sé una serie di
prese di posizioni magisteriali (pontificie e conciliari) decisive per lo
sviluppo di un’ etica teologia che guardasse in modo nuovo e più evangelico le
questioni relative alla pace e alla guerra.
Sempre con riferimento
esplicito al tema della guerra, i Padri conciliari, fedeli al motto
vedere-giudicare-agire, vedranno… che erano accadute COSE (specie negli ultimi
15 anni) che li obbligavano “a
considerare l'argomento della guerra con mentalità completamente nuova” (GS
80).
• Quali erano state queste “cose”?
Io le descriverei con tre H:
→ Hitler e tutta la sua
vicenda che condurrà alla II Guerra mondiale (con i suoi milioni di morti e il
devastante epilogo di Auschwitz),
→ Hiroshima (la bomba Atomica, sganciata anche su Nagasaki),
→ la Bomba H
(ad idrogeno o termonucleare: 250-350 volte superiore alla bomba Atomica)
prodotta nel 1952 dagli USA e nel 1953 dall’URSS, accompagnata nel 1957 dai
missili balistici intercontinentali (ICBM). Fu anche differenziata la possibilità di attacco nucleare: si era,
infatti, in grado di attaccare dal cielo grazie agli aerei da guerra
(bombardieri), da terra grazie agli ICBM, dal mare grazie ai sottomarini
(Giulio Cesareo).
La terza H e i suoi sviluppi aprì la strada alla
teoria della deterrenza strategica nucleare, che condurrà ad una corsa
agli armamenti sempre più sfrenata, al fine di superare in continuazione
l’avversario quanto a potenza militare.
Infatti, “sia
l’Unione Sovietica che gli Stati Uniti sarebbero (stati) in grado di scagliare
l’uno contro l’altro le rispettive armi nucleari, senza però alcuna speranza di
impedire alla maggior parte della ogive nucleari avversarie di arrivare quasi
tutte vicino ai bersagli, causando così disastri inimmaginabili. Ma anche dopo
un siffatto attacco di sorpresa, il paese colpito avrebbe (avuto) ancora un
numero di missili sufficienti per effettuare un’efficace rappresaglia, e
distruggere così ampie aree del paese attaccante. Le perdite di entrambe le
parti ascenderebbero a milioni di morti, e le rispettive risorse economiche
sarebbero annientate” (Burrows – Goff).
GIOVANNI XXIII: L’USO DELLA FORZA MILITARE “ALIENUM
EST A RATIONE”
• Cose che aveva già visto bene Papa Giovanni XXIII quando
irromperà con il suo pontificato, segnando una svolta radicale nella vita della
Chiesa.
Anche se va pur detto che “Roncalli
quando divenne papa non aveva precedenti significativi di militanza contro la
guerra per la pace. […] Non si conoscono neppure notizie di una sua attenzione
per gli uomini e i movimenti che nell’ambito cristiano e anche in quello
specificamente cattolico avevano sviluppato posizioni pacifiste”.
Ma a partire dal 1961,
con l’aggravarsi della crisi internazionale (la questione dei missili a Cuba),
comincia la sua attività di instancabile promotore della pace e del dialogo, in
modo particolare nei confronti del blocco comunista. “Si assiste perciò ad un crescendo di interventi pubblici su questa
problematica, che non mancavano di sollevare riserve e resistenze sempre più
marcate nella curia ma anche negli ambienti politici ad essa collegati” (Giuseppe
Alberigo).
Al vertice di questo
cammino si collocherà, l’11 aprile del 1963, la pubblicazione dell’enciclica Pacem in Terris che
rappresenterà una vera e propria rivoluzione, rispetto all’insegnamento
magisteriale precedente, nei confronti dei temi legati alla pace e alla guerra.
• Tutta l’enciclica tende a mostrare come la pace,
a cui tutti anelano, non può non stabilirsi che su delle relazioni fondate sulla
giustizia e sulla carità.
La guerra, allora,
nasce e si sviluppa in contesti di ingiustizia: anzi, essa può portare proprio
alla distruzione dei rapporti sociali. Il discorso si fa palmare nella terza
parte (ai numeri 39-41, in
particolare) quando, riflettendo sulla maniera di stabilire un’equa e solidale
collaborazione tra le varie Nazioni, si tocca il tema degli armamenti e del disarmo.
L’argomentazione si
snoda in quattro tappe:
1. l’enorme quantità di
armamenti prodotti e stoccati è
anzitutto uno spreco gigantesco di risorse (finanziarie, scientifiche)
che, al contrario, potrebbero essere utilizzate per lo sviluppo dei rispettivi
popoli e delle popolazioni dei Paesi del Terzo Mondo;
2. si passa poi a
smascherare l’assurdità della corsa
agli armamenti, attraverso la quale si intende procurare la propria
sicurezza, cercando continuamente di superare in potenza militare il proprio
possibile avversario: e anche se le armi tacciono, certamente non è possibile
per questo parlare di pace, né tanto meno di sicurezza;
3. per di più, l’uso
delle armi nucleari in un eventuale conflitto potrebbe davvero condurre ad una catastrofe di dimensioni
inimmaginabili: sia per il numero di vittime che sarebbe in grado di
procurare, che per gli stravolgimenti (a causa soprattutto della quantità di
radiazioni diffuse su scala planetaria) dell’intero ecosistema terrestre,
mettendo a repentaglio, qualora la guerra fosse generalizzata, la stessa
esistenza umana nel suo complesso; dunque “giustizia, saggezza e umanità”
richiedono da un lato la fine della corsa agli armamenti per dare avvio, invece,
“simultaneamente e reciprocamente” (PT 39) ad un progressivo ma effettivo disarmo
e al bando delle armi nucleari;
4. viene, infine,
rivolto l’invito alle autorità politiche, affinché si impegnino nel fare in
modo che le tensioni e le dispute fra
Stati siano affrontate e risolte essenzialmente per via diplomatica,
attraverso la lealtà, il rispetto della giustizia e del diritto internazionale (Giulio
Cesareo).
• Quasi al termine e a sintesi del percorso fatto,
al n. 67, troviamo una delle affermazioni centrali dell’enciclica, una vera e propria
pietra miliare per la ricerca etico-teologica, una discriminante con cui tutta
la riflessione successiva dovrà necessariamente fare i conti: l’uso della forza
militare per risolvere le controversie internazionali “ALIENUM EST A RATIONE”.
Ecco il testo latino: “Quare aetate hac nostra, quae vi atomica
gloriatur, alienum est a ratione, bellum iam aptum esse ad violata iura
sarcienda”.
Purtroppo la traduzione
italiana – come talvolta accade – (“per
cui riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa
essere utilizzata come strumento di giustizia”) fa perdere la razionalità
del testo latino.
Meglio la traduzione
francese: “Il devient humainement
impossible de penser que la guerre soit, en notre ère atomique, le moyen
adéquat pour obtenir justice d’une violation de droits” (Dragas).
Con un tratto di penna
viene definitivamente abbandonata la teoria della guerra giusta e ogni
pessimismo antropologico o teologico che possa giustificare moralmente i conflitti
armati (la teologia del male minore).
Si afferma con chiarezza
e lucidità che nel nostro tempo, in cui sono a disposizione le armi atomiche, è
impensabile, irrazionale e illogico
(“alienum est a ratione”) credere di ristabilire il diritto violato, con la
guerra.
• Tutto questo apre finalmente la strada alla ricerca
di nuovi percorsi di riflessione e alla possibilità di individuare nuovi
criteri e nuove strade per superare le contese internazionali in una maniera
più umana e, soprattutto, più degna dell’uomo.
E proprio in questa
direzione Giovanni XXIII insiste perché, al fine di risolvere le tensioni che
possono insorgere tra stati sovrani, si provveda all’istituzione di un’Autorità internazionale imparziale
(non asservita cioè agli interessi di una Potenza o di un gruppo di Nazioni)
con competenza universale.
La categoria morale, che
richiede ed orienta direttamente la promozione di una autorità mondiale, è
l’introduzione de concetto di “bene
comune universale”.
“Il bene comune universale pone ora problemi a
dimensioni mondiali che non possono essere adeguatamente affrontati e risolti
che ad opera di Poteri pubblici […] che siano in grado di operare in modo
efficiente sul piano mondiale. […] Devono essere in grado di operare
efficacemente; però, nello stesso tempo, la loro azione deve essere informata a
sincera ed effettiva imparzialità; deve cioè essere un'azione diretta a
soddisfare alle esigenze obiettive del bene comune universale” (PT 45-46).
Assurdità della guerra
e necessità di un’Autorità internazionale che metta gli uni insieme agli altri:
lo ribadirà, qualche anno dopo (il 4 ottobre 1965), Papa Paolo VI nel solenne discorso alle Nazioni Unite:
“Voi attendete da Noi questa parola, che non può
svestirsi di gravità e di solennità: non gli uni contro gli altri, non più, non
mai! A questo scopo principalmente è sorta l'Organizzazione delle Nazioni
Unite; contro la guerra e per la pace ! Ascoltate le chiare parole d'un grande scomparso, di John Kennedy,
che quattro anni or sono proclamava: "L'umanità deve porre fine alla
guerra, o la guerra porrà fine all'umanità". Non occorrono molte parole per proclamare questo sommo fine di questa
istituzione. Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli
e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto
che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non
più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei
Popoli e dell'intera umanità!”.
Stefano Gentili