martedì 20 novembre 2012

LA RIVOLUZIONE SESSUALE DELLA GAUDIUM ET SPES (terza parte)

PITIGLIANO, 18 DEL POMERIGGIO. Lettere del Concilio (4 c) 

Ci siamo lasciati nell’ultima lettera affermando che la Provvidenza volle che proprio al centro del terremoto di cui abbiamo parlato si svolgesse il Concilio Vaticano II: la Chiesa ebbe così modo di prendere posizione, e una posizione piena di coraggio e di speranza.

Ma non fu così semplice e le resistenze non mancarono, tanto era radicato quello che la messicana Luz Maria Longoria, presente al Concilio con il marito Josè Alvarez Icaza (in veste di uditori), pose in discussione e che, come abbiamo compreso, era fissato nei manuali di teologia, in uso prima del Concilio: la questione dei fini “primari” e “fini secondari” del matrimonio, dove primaria era la procreazione dei figli e secondario il rimedio alla concupiscenza dell’atto sessuale.
La copresidente del Movimiento Familiar Cristiano (MFC), molto attiva all’interno del gruppo che doveva esaminare lo “schema XIII”, chiese di liberare l’atto sessuale dal senso di colpa e di restituire ad esso la sua insita motivazione d’amore. Ad un padre conciliare disse: “Disturba molto a noi madri di famiglia che i figli risultino frutto della concupiscenza. Io personalmente ho avuto molti figli senza alcuna concupiscenza: essi sono il frutto dell’amore” (tratto da http://www.c3dem.it/).
Amen!
L’atto sessuale nel matrimonio è vissuto come espressione gioiosa dell’amore dei coniugi e non come qualcosa di brutto, appena da tollerare!
E quanto ci voleva a dire una cosa del genere! E perché non era stato detto!
Se poi si vuol dire che il peccato può anche abbrutire la sfera sessuale, questo è vero come lo è per qualsiasi altra cosa sotto il cielo, foss’anche la più alta e nobile.

Ma andiamo a cogliere gli elementi di novità che la Gaudium et spes ai numeri 47-51 introduce.
Intanto va notato che risulta centrale la inseparabilità della sessualità dalla relazione tra persone vista nella sua globalità: il matrimonio è definito come “intima comunità di vita e d'amore coniugale”. Questa “intima unione” è vista come “mutua donazione di due persone”. Si tratta quindi di un amore “eminentemente umano”, diretto da persona a persona e che coinvolge le espressioni dell’anima e del corpo. E pertanto “questo amore è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall'esercizio degli atti che sono propri del matrimonio”: il rapporto sessuale è dunque visto come espressione e arricchimento del dono reciproco fra persone. Il sesso come comunicazione.
Ormai la moralità nella sfera sessuale non può più esser letta (almeno primariamente) nei singoli comportamenti sessuali, ma nell’animo – o meglio: nel quadro globale della relazione fra persone – da cui tali comportamenti scaturiscono.

Leggiamo parti del testo.
L'intima comunità di vita e d'amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dall'alleanza dei coniugi, vale a dire dall'irrevocabile consenso personale. E così, è dall'atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l'istituzione del matrimonio, che ha stabilità per ordinamento divino. In vista del bene dei coniugi, della prole e anche della società, questo legame sacro non dipende dall'arbitrio dell'uomo. Perché è Dio stesso l'autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini: tutto ciò è di somma importanza per la continuità del genere umano, il progresso personale e la sorte eterna di ciascuno dei membri della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la prosperità della stessa famiglia e di tutta la società umana.
Per la sua stessa natura l'istituto del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento. E così l'uomo e la donna, che per l'alleanza coniugale « non sono più due, ma una sola carne » (Mt 19,6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l'intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la conseguono.
Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità (GS 48).

Cristo Signore ha effuso l'abbondanza delle sue benedizioni su questo amore dai molteplici aspetti, sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello della sua unione con la Chiesa. Infatti, come un tempo Dio ha preso l'iniziativa di un'alleanza di amore e fedeltà con il suo popolo cosi ora il Salvatore degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione. L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi in maniera efficace siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e madre. Per questo motivo i coniugi cristiani sono fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo con la forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dello spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio (GS 48).

I fidanzati sono ripetutamente invitati dalla parola di Dio a nutrire e potenziare il loro fidanzamento con un amore casto, e gli sposi la loro unione matrimoniale con un affetto senza incrinature. Anche molti nostri contemporanei annettono un grande valore al vero amore tra marito e moglie, che si manifesta in espressioni diverse a seconda dei sani costumi dei popoli e dei tempi. Proprio perché atto eminentemente umano, essendo diretto da persona a persona con un sentimento che nasce dalla volontà, quell'amore abbraccia il bene di tutta la persona; perciò ha la possibilità di arricchire di particolare dignità le espressioni del corpo e della vita psichica e di nobilitarle come elementi e segni speciali dell'amicizia coniugale.
Il Signore si è degnato di sanare, perfezionare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia e carità. Un tale amore, unendo assieme valori umani e divini, conduce gli sposi al libero e mutuo dono di se stessi, che si esprime mediante sentimenti e gesti di tenerezza e pervade tutta quanta la vita dei coniugi anzi, diventa più perfetto e cresce proprio mediante il generoso suo esercizio. È ben superiore, perciò, alla pura attrattiva erotica che, egoisticamente coltivata, presto e miseramente svanisce.
Questo amore è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall'esercizio degli atti che sono propri del matrimonio. Ne consegue che gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onesti e degni; compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente nella gioia e nella gratitudine gli sposi stessi (GS 49).

In queste brevi frasi della GS si ha una svolta netta e coraggiosa nei confronti di tutta la tradizione in materia di morale sessuale in precedenza descritta.
Il tema morale della sessualità è ormai visto primariamente come parte dell’unico grande tema morale della carità, mentre il tema della natura passa decisamente in secondo piano.
Ed è rilevante il fatto che qui si torna alla radice biblica, laddove in forme ed espressioni diverse resta sempre ferma la lettura della sessualità come espressione di amore: non di una infatuazione passeggera ma di un amore "forte come la morte".
Il tema del procreazionismo come necessaria giustificazione dell’attività sessuale è certamente ancora sottolineato, ma non ha l’esclusiva.

Così quando gli sposi cristiani, fidando nella divina Provvidenza e coltivando lo spirito di sacrificio , svolgono il loro ruolo procreatore e si assumono generosamente le loro responsabilità umane e cristiane, glorificano il Creatore e tendono alla perfezione cristiana.
Tra i coniugi che in tal modo adempiono la missione loro affidata da Dio, sono da ricordare in modo particolare quelli che, con decisione prudente e di comune accordo, accettano con grande animo anche un più grande numero di figli da educare convenientemente.
Il matrimonio tuttavia non è stato istituito soltanto per la procreazione; il carattere stesso di alleanza indissolubile tra persone e il bene dei figli esigono che anche il mutuo amore dei coniugi abbia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e arrivi a maturità. E perciò anche se la prole, molto spesso tanto vivamente desiderata, non c'è, il matrimonio perdura come comunità e comunione di tutta la vita e conserva il suo valore e la sua indissolubilità (GS 50).

Nella Bibbia e nel Concilio i peccati in materia sessuale sono dunque peccati contro l’amore, ma nella tradizione cristiana sono peccati contro la legge naturale letta con gli occhi dei filosofi greco-romani precristiani.

E anche l’indissolubilità della “comunità di vita e di amore” non è più fondata – come invece in praticamente tutti i manuali di morale preconciliari – sulla necessità dell’educazione dei figli o della stabilità sociale, che restano peraltro elementi moralmente di grande significato – ma sulla totalità del dono reciproco.

Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità (GS 48).

Si noti che nell’applicazione particolare al rapporto sessualità-procreazione il Concilio afferma che “la sessualità propria dell'uomo e la facoltà umana di generare sono meravigliosamente superiori a quanto avviene negli stadi inferiori della vita”, mentre tutta la tradizione della legge naturale partiva proprio dall’osservazione della vita animale ("id quod natura omnia animalia docuit" - ciò che la natura insegnò a tutti gli animali).
La sessualità propria dell'uomo e la facoltà umana di generare sono meravigliosamente superiori a quanto avviene negli stadi inferiori della vita; perciò anche gli atti specifici della vita coniugale, ordinati secondo la vera dignità umana, devono essere rispettati con grande stima (GS 51).

A me pare che le acquisizioni della Gaudium et spes traccino la strada per disegnare un’etica della sessualità, che tragga ispirazione dal cristianesimo, umanizzante e positiva.
Quanto è accaduto nel post-Concilio non sempre è andato nella direzione auspicata.
“Dall’enciclica Humanae vitae (1968) di Paolo VI ai nostri giorni, la morale sessuale cattolica si trova, a livello mondiale, in una situazione difficile.
A partire al più tardi da quel documento, l’insegnamento morale del magistero e la pratica quotidiana, non solo dei cattolici che hanno preso le distanze dalla Chiesa, hanno imboccato strade diverse, come hanno molto chiaramente potuto osservare i pastori. Di conseguenza in molti casi nella predicazione, nella catechesi e nella pastorale non si affronta praticamente più il tema della sessualità” (Stefan Orth).

Per la verità ormai da tempo, in molte parti del mondo, in campo cattolico si discutono in materia di etica sessuale specialmente due affermazioni centrali del magistero, presenti anche nell’enciclica Humanae vitae:
il luogo della sessualità vissuta è unicamente quello del matrimonio fra un uomo e una donna, per cui la morale sessuale è sempre morale coniugale;
ogni atto sessuale deve essere aperto alla procreazione, per cui non è permessa la regolazione artificiale delle nascite.
Probabilmente le argomentazioni «taglia unica» non rendono giustizia alla varietà dell’esistenza umana. Indipendentemente dal fatto di essere sposati, di convivere, di essere celibi o single, tutti devono sforzarsi di integrare la sessualità nel proprio essere; al riguardo, ognuno deve essere giudicato alla luce delle sue concrete condizioni di vita.

Poi c’è la grande questione del piacere. Può essere conferito significato morale positivo alla ricerca del piacere?
La risposta a questa domanda richiede una profonda riflessione sul valore etico del piacere.
Ricorda il teologo Enrico Chiavacci, che nella dottrina recepita (ancora oggi) il piacere sessuale è legittimato moralmente come mezzo al fine. La ricerca del piacere in sé è immorale perché ignora il fine (la procreazione) da cui la ricerca del piacere è legittimata e a cui deve sempre coscientemente tendere.
Se invece il piacere sessuale è visto come un’area particolare in cui la doverosa ricerca dell’autotrascendersi si esprime e, parzialmente, si realizza e il circolo del piacere sessuale non si chiude in se stesso, ma tende a esprimere (o parzialmente realizzare) una gratificazione costituita dalla relazione con l’altro - e pertanto l’altro entra principalmente come termine di un atteggiamento relazionale/oblativo - il piacere può  ben’avere un profondo significato etico, sia nella ricerca sia nella soddisfazione, come espressione puntuale della tendenza alla realizzazione di sé: e tale tendenza è un dovere morale.
Esso non è strumento di altri fini, è piuttosto la concretizzazione in un preciso momento di un valore che domina tutta l’esistenza.

Benedetto XVI, volando su alti livelli, ci ha ricordato nella “Deus Caritas est” (specie al n. 10), che l’Amore non esclude l’eros ma lo comprende, lo purifica e lo innalza definitivamente sino a trasformarlo in agape.

Io penso che ci sia materia per meditare e per uscire dal silenzio, annunciando le potenzialità umanizzanti dell’etica sessuale cristiana.
Occorre avere il coraggio di rivedere criticamente i sistemi etico-normativi della morale cristiana riguardo al piacere, nati non dalla Parola ma da filoni culturali o filosofici tipici dell’Occidente.
Migliori e più approfondite letture del piacere in genere e in specie di quello sessuale sono richieste dalla ricerca filosofica e scientifica e dallo stesso supremo magistero del Concilio Vaticano II.
E anche dal vissuto positivo di molte persone cristiane (e non cristiane).

Stefano Gentili

1 commento:

Anonimo ha detto...

il piacere può ben’avere un profondo significato etico, sia nella ricerca sia nella soddisfazione, come espressione puntuale della tendenza alla realizzazione di sé

Da dove è tratta questa frase?