Le presente Lettera
è un po’ diversa dalle precedenti, perché non cita mai il testo conciliare,
base fondamentale del nostro percorso.
E’ però la
necessaria premessa insieme alla lettera che seguirà a breve (per non essere
proprio lunghissimi) alla terza Lettera nella quale andremo proprio a citare
passi della Gaudium et spes relativi al tema in questione.
La parola
rivoluzione riportata nel titolo può apparire esorbitante, ma non v’è dubbio
che la dottrina conciliare sulla sessualità, contenuta in alcuni passaggi della
Gaudium et spes (parte II, capitolo I: “dignità del matrimonio e della famiglia
e sua valorizzazione”), rappresenta un’autentica svolta rispetto alla logica
dominante fin dai primi secoli dell’annuncio cristiano.
Prima di entrare
nel merito è opportuno raccontare brevemente il passato. Per questo mi avvalgo
delle riflessioni del teologo Enrico Chiavacci.
→ Anzi, ancor prima,
vado a ricordare, con Gianfranco Ravasi, che quando il cristianesimo fece la
sua comparsa, sulla questione sessualità, mise
sul tavolo una serie di carte vincenti:
• l'Incarnazione,
prima fra tutte, che trascinava con sé l'esaltazione del corpo contro ogni
riserva spiritualistica greca;
• il matrimonio che
introduceva una prima parità (nel capitolo 7 della Prima Lettera ai Corinzi san
Paolo propone una significativa trattazione duplice, sia per il marito sia per
la moglie);
• la sorprendente
innovazione del celibato/verginità non come statuto anagrafico, ma come
ministero ecclesiale e sociale;
• ma soprattutto la
nuova categoria agape, ben diversa dall'eros greco.
Nonostante tutte
queste carte vincenti, lo sguardo sulla sessualità in campo cattolico è stato,
per così dire, molto complesso, assai teorico, poco disponibile, sempre in
teoria, a guardare la realtà nella sua dimensione positiva e realizzante.
Va anche
considerato che l’annuncio cristiano è nato in un preciso contesto culturale e
ad esso i primi trasmettitori del messaggio si sono riferiti per veicolare
determinati contenuti, così come il cristianesimo ha nel corso della storia
occidentale influenzato a sua volta i costumi del vivere civile.
Ma andiamo un po’ a
ricordare alcune tappe della evoluzione della visione cristiana sulla
sessualità.
DALL’APOSTOLO PAOLO A PRIMA DEL CONCILIO VATICANO
II
Nella ricerca di un’etica
sessuale da proporre alla Chiesa nel suo rapido diffondersi i primi grandi
Padri e scrittori cristiani dovettero, come detto, appoggiarsi agli schemi
filosofici loro disponibili.
→ Le stesse lettere di
Paolo, e paoline in genere, presentano precetti e consigli legati a
situazioni particolari, e soprattutto elenchi di vizi che sono quasi tutti
ripresi dalla morale stoica o cinica o comunque di derivazione aristotelica,
che Paolo conosceva bene.
→ La dottrina morale
dei Padri, ripresa poi dai libretti di confessione e dalla spiritualità
monastica, è legata sia alla derivazione platonica sia a quella
aristotelica. Ma, almeno in materia di sessualità, l’idea di legge naturale sembra
dominare fino ad Agostino.
→ Nella tradizione
filosofica latina, che è in gran parte post-aristotelica, la legge che
regola la natura è espressione della volontà del creatore o di una qualche
divinità o interiore coscienza, comunque concepita, e come tale è doveroso
moralmente comprenderla e seguirla.
Più spesso la legge
naturale è vista come legge di un’etica eudemonistica (se vuoi star bene, segui
la tua natura).
Il ragionamento di base è
il seguente: se in tutti gli animali – e l’essere umano appartiene al genere
animale – l’istinto sessuale è finalizzato alla procreazione, solo i
comportamenti sessuali ordinati alla procreazione sono secondo natura. “Id quod
natura omnia animalia docuit” (ciò che la
natura a tutti gli animali insegnò) viene insegnato all’uomo per mezzo
della ragione invece che dell’istinto.
Accanto a questo vero e
proprio principio primo in materia di morale sessuale, ve ne è un altro (che in
qualche modo rispecchia ancora l’importanza sociale del ruolo sessuale): la superiorità dell’uomo sulla donna,
con una varietà di motivazioni che si avvicendano in pratica fino al nostro
secolo, mescolando o intervallando ragionamenti biblici, filosofici,
scientifici. Così l’attività sessuale riceve l’approvazione etica quando è
mirata alla procreazione. Nella predicazione cristiana le leggi della natura
sono espressione della volontà di Dio e, come tali, devono essere seguite (così
ad esempio si presenta la morale sessuale di Ambrogio). Nella lettura della
sessualità domina l’elemento
procreazionista, e dominerà fino ad oggi.
→ Una svolta
significativa, e più severa, si ha in Agostino: qui il modello
filosofico platonico è dominante. La corporeità viene sempre considerata un
elemento negativo rispetto alla vocazione tutta spirituale dell’uomo. Di
conseguenza ogni comportamento di risposta allo stimolo carnale è per se stesso
un allontanarsi dalla perfezione di Dio.
Ma Dio stesso ha voluto
che la coppia uomo-donna procreasse: ciò, dopo il peccato originale, non può
purtroppo avvenire che come risposta all’istinto carnale. E perciò
esclusivamente come risposta alla vocazione a procreare l’attività sessuale
trova la sua giustificazione morale. Il sesso è sempre un disordine morale, e
solo con questa precisa intenzione è accettabile.
Alla lettura
procreazionista si aggiunge una componente pessimistica. Tale
impostazione di un’etica sessuale cristiana rimane praticamente stabile fino a
Tommaso, pur con diverse accentuazioni nel diritto, nella predicazione, nella
prassi confessionale, nella spiritualità.
Non è certo estranea ad
essa (e in particolare alla spiritualità monastica) la graduale introduzione
del celibato ecclesiastico.
→ Tommaso,
strettamente legato ad Aristotele (da poco tradotto in latino), esce
decisamente dall’eredità platonizzante: l’istinto è parte della natura ed
è quindi in sé buono, a patto che non si vanifichi la sua naturale
finalità, valida per tutto il mondo animale. Ed è questa la dottrina e la
disciplina ufficiale ancora vigente nella chiesa, nonostante che il Concilio
Vaticano II nella Costituzione Gaudium et spes presenti una lettura della
sessualità profondamente diversa e assai più ricca.
Tornando ai due principi -
procreazionista e di superiorità dell’uomo sulla donna – si deve dire che essi
restano immutati nella teologia morale cattolica, nella filosofica morale
occidentale, nell’organizzazione sociale e anche nel diritto penale
praticamente fino agli anni ’60 del XX secolo.
E soffermandoci per un
attimo sul secondo principio – la superiorità dell’uomo sulla donna – va
ricordato che nel quadro di quello
schema tradizionale, la vita nuova era vista tutta nel seme maschile: la donna
doveva limitarsi ad accogliere il seme per farlo sviluppare fino al parto. (La
scoperta scientifica della funzione attiva dell’ovulo risale solo alla fine del
XVIII secolo, ma compresa e sviluppata solo verso la fine del XIX con la
combinazione dei cromosomi).
Nel rapporto sessuale la funzione della donna è sostanzialmente passiva: l’eccitazione è necessaria solo nell’uomo, e la donna ha il dovere di subire l’aggressione maritale.
Nel rapporto sessuale la funzione della donna è sostanzialmente passiva: l’eccitazione è necessaria solo nell’uomo, e la donna ha il dovere di subire l’aggressione maritale.
L’eccitazione sessuale
della moglie non era ben vista: era tollerata solo per facilitare l’ingresso
del marito.
Ricorda esplicitamente Chiavacci, “Io ho memoria dei cauti accenni di mia nonna e anche di mia madre sulla loro condizione; e nel 1949 nei corsi di morale matrimoniale mi veniva insegnato che il marito può sempre chiedere il debito coniugale, ma non è conveniente che sia la moglie a chiederlo; mi si insegnava anche che la posizione naturale – e perciò non peccaminosa – era quella dell’uomo sopra la donna: altre posizioni non erano considerate lecite, salvo casi di necessità”.
Ricorda esplicitamente Chiavacci, “Io ho memoria dei cauti accenni di mia nonna e anche di mia madre sulla loro condizione; e nel 1949 nei corsi di morale matrimoniale mi veniva insegnato che il marito può sempre chiedere il debito coniugale, ma non è conveniente che sia la moglie a chiederlo; mi si insegnava anche che la posizione naturale – e perciò non peccaminosa – era quella dell’uomo sopra la donna: altre posizioni non erano considerate lecite, salvo casi di necessità”.
Ma nei 700 anni
trascorsi da Tommaso al Concilio molte cose sono successe nella morale
cristiana in materia di sessualità.
È da notare che resta sempre più accentuata la centralità
del comportamento fisico: quando, fra il ‘500-‘600, nasce la teologia
morale come disciplina autonoma, essa diviene rapidamente una praxis confessariorum piuttosto che una
vera teologia.
Il richiamo al testo
biblico è solo occasionale, per versetti isolati, senza alcuna
preoccupazione per una visione globale della sessualità umana: si ha invece
una casistica sterminata sui singoli comportamenti sessuali dentro e
fuori del matrimonio. In questo quadro si inserisce la rigidità morale del
giansenismo, con inevitabili richiami ad Agostino.
→ S. Alfonso offre una
teologia morale legata a questo quadro generale, ma con occhio pastorale e
preoccupato di aiutare il penitente e con la preoccupazione di citare e
discutere ampiamente le opinioni dei vari Autori.
Da S. Alfonso a oggi ben
poco è cambiato fino al Concilio (ed oltre): la moralità è letta tutta
all’interno dei singoli comportamenti mentre
il tema dell’amore da un lato, e la fatica di un migliore approfondimento
biblico dall’altro vengono completamente ignorati: la natura e il contronatura di singoli gesti costituiscono argomento
dominante (e definitivo,valido in eterno) della valutazione morale.
Due esempi sono
illuminanti. Nel Codice di Diritto Canonico in vigore fino al 1983, can. 1013,
il fine primario del matrimonio è la procreazione; il coito coniugale fuori di
questa precisa finalità è detto remedium
concupiscentiae, cioè qualcosa di non bello ma comunque tollerabile sempre
però che non si impedisca un’eventuale procreazione (il c.d. metodo di Ogino,
sorto negli anni ’30, fu molto discusso fino al 1951, quando Pio XII – sia pure
per casi seri – lo dichiarò ammissibile).
Sempre negli anni ’30
alcuni teologi tedeschi cercarono di introdurre l’idea che l’esser due in uno,
idea perfettamente biblica, fosse un valore in sé e non solo strumentale alla
procreazione, ma la tesi fu rifiutata e ancora nel 1959 la Civiltà Cattolica
ribadiva energicamente il rifiuto.
Nel ringraziare Enrico Chiavacci, docente di teologia morale, per le riflessioni a cui ho potuto attingere, vi rimando alla seconda
Lettera: “La scossa del XX secolo”.
Stefano Gentili
Nessun commento:
Posta un commento