mercoledì 14 novembre 2012

LA RIVOLUZIONE SESSUALE DELLA GAUDIUM ET SPES (prima parte)

PITIGLIANO, 18 DEL POMERIGGIO. Lettere del Concilio (4 a) 

Le presente Lettera è un po’ diversa dalle precedenti, perché non cita mai il testo conciliare, base fondamentale del nostro percorso.
E’ però la necessaria premessa insieme alla lettera che seguirà a breve (per non essere proprio lunghissimi) alla terza Lettera nella quale andremo proprio a citare passi della Gaudium et spes relativi al tema in questione.

La parola rivoluzione riportata nel titolo può apparire esorbitante, ma non v’è dubbio che la dottrina conciliare sulla sessualità, contenuta in alcuni passaggi della Gaudium et spes (parte II, capitolo I: “dignità del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione”), rappresenta un’autentica svolta rispetto alla logica dominante fin dai primi secoli dell’annuncio cristiano.
Prima di entrare nel merito è opportuno raccontare brevemente il passato. Per questo mi avvalgo delle riflessioni del teologo Enrico Chiavacci.

Anzi, ancor prima, vado a ricordare, con Gianfranco Ravasi, che quando il cristianesimo fece la sua comparsa, sulla questione sessualità, mise sul tavolo una serie di carte vincenti:
• l'Incarnazione, prima fra tutte, che trascinava con sé l'esaltazione del corpo contro ogni riserva spiritualistica greca;
• il matrimonio che introduceva una prima parità (nel capitolo 7 della Prima Lettera ai Corinzi san Paolo propone una significativa trattazione duplice, sia per il marito sia per la moglie);
• la sorprendente innovazione del celibato/verginità non come statuto anagrafico, ma come ministero ecclesiale e sociale;
• ma soprattutto la nuova categoria agape, ben diversa dall'eros greco.
Nonostante tutte queste carte vincenti, lo sguardo sulla sessualità in campo cattolico è stato, per così dire, molto complesso, assai teorico, poco disponibile, sempre in teoria, a guardare la realtà nella sua dimensione positiva e realizzante.
Va anche considerato che l’annuncio cristiano è nato in un preciso contesto culturale e ad esso i primi trasmettitori del messaggio si sono riferiti per veicolare determinati contenuti, così come il cristianesimo ha nel corso della storia occidentale influenzato a sua volta i costumi del vivere civile.
Ma andiamo un po’ a ricordare alcune tappe della evoluzione della visione cristiana sulla sessualità.

DALL’APOSTOLO PAOLO A PRIMA DEL CONCILIO VATICANO II
Nella ricerca di un’etica sessuale da proporre alla Chiesa nel suo rapido diffondersi i primi grandi Padri e scrittori cristiani dovettero, come detto, appoggiarsi agli schemi filosofici loro disponibili.

Le stesse lettere di Paolo, e paoline in genere, presentano precetti e consigli legati a situazioni particolari, e soprattutto elenchi di vizi che sono quasi tutti ripresi dalla morale stoica o cinica o comunque di derivazione aristotelica, che Paolo conosceva bene.

La dottrina morale dei Padri, ripresa poi dai libretti di confessione e dalla spiritualità monastica, è legata sia alla derivazione platonica sia a quella aristotelica. Ma, almeno in materia di sessualità, l’idea di legge naturale sembra dominare fino ad Agostino.

Nella tradizione filosofica latina, che è in gran parte post-aristotelica, la legge che regola la natura è espressione della volontà del creatore o di una qualche divinità o interiore coscienza, comunque concepita, e come tale è doveroso moralmente comprenderla e seguirla.
Più spesso la legge naturale è vista come legge di un’etica eudemonistica (se vuoi star bene, segui la tua natura).
Il ragionamento di base è il seguente: se in tutti gli animali – e l’essere umano appartiene al genere animale – l’istinto sessuale è finalizzato alla procreazione, solo i comportamenti sessuali ordinati alla procreazione sono secondo natura. “Id quod natura omnia animalia docuit” (ciò che la natura a tutti gli animali insegnò) viene insegnato all’uomo per mezzo della ragione invece che dell’istinto.
Accanto a questo vero e proprio principio primo in materia di morale sessuale, ve ne è un altro (che in qualche modo rispecchia ancora l’importanza sociale del ruolo sessuale): la superiorità dell’uomo sulla donna, con una varietà di motivazioni che si avvicendano in pratica fino al nostro secolo, mescolando o intervallando ragionamenti biblici, filosofici, scientifici. Così l’attività sessuale riceve l’approvazione etica quando è mirata alla procreazione. Nella predicazione cristiana le leggi della natura sono espressione della volontà di Dio e, come tali, devono essere seguite (così ad esempio si presenta la morale sessuale di Ambrogio). Nella lettura della sessualità domina l’elemento procreazionista, e dominerà fino ad oggi.

Una svolta significativa, e più severa, si ha in Agostino: qui il modello filosofico platonico è dominante. La corporeità viene sempre considerata un elemento negativo rispetto alla vocazione tutta spirituale dell’uomo. Di conseguenza ogni comportamento di risposta allo stimolo carnale è per se stesso un allontanarsi dalla perfezione di Dio.
Ma Dio stesso ha voluto che la coppia uomo-donna procreasse: ciò, dopo il peccato originale, non può purtroppo avvenire che come risposta all’istinto carnale. E perciò esclusivamente come risposta alla vocazione a procreare l’attività sessuale trova la sua giustificazione morale. Il sesso è sempre un disordine morale, e solo con questa precisa intenzione è accettabile.

Alla lettura procreazionista si aggiunge una componente pessimistica. Tale impostazione di un’etica sessuale cristiana rimane praticamente stabile fino a Tommaso, pur con diverse accentuazioni nel diritto, nella predicazione, nella prassi confessionale, nella spiritualità.
Non è certo estranea ad essa (e in particolare alla spiritualità monastica) la graduale introduzione del celibato ecclesiastico.

Tommaso, strettamente legato ad Aristotele (da poco tradotto in latino), esce decisamente dall’eredità platonizzante: l’istinto è parte della natura ed è quindi in sé buono, a patto che non si vanifichi la sua naturale finalità, valida per tutto il mondo animale. Ed è questa la dottrina e la disciplina ufficiale ancora vigente nella chiesa, nonostante che il Concilio Vaticano II nella Costituzione Gaudium et spes presenti una lettura della sessualità profondamente diversa e assai più ricca.

Tornando ai due principi - procreazionista e di superiorità dell’uomo sulla donna – si deve dire che essi restano immutati nella teologia morale cattolica, nella filosofica morale occidentale, nell’organizzazione sociale e anche nel diritto penale praticamente fino agli anni ’60 del XX secolo.

E soffermandoci per un attimo sul secondo principio – la superiorità dell’uomo sulla donna – va ricordato  che nel quadro di quello schema tradizionale, la vita nuova era vista tutta nel seme maschile: la donna doveva limitarsi ad accogliere il seme per farlo sviluppare fino al parto. (La scoperta scientifica della funzione attiva dell’ovulo risale solo alla fine del XVIII secolo, ma compresa e sviluppata solo verso la fine del XIX con la combinazione dei cromosomi).
Nel rapporto sessuale la funzione della donna è sostanzialmente passiva: l’eccitazione è necessaria solo nell’uomo, e la donna ha il dovere di subire l’aggressione maritale.
L’eccitazione sessuale della moglie non era ben vista: era tollerata solo per facilitare l’ingresso del marito.
Ricorda esplicitamente Chiavacci, “Io ho memoria dei cauti accenni di mia nonna e anche di mia madre sulla loro condizione; e nel 1949 nei corsi di morale matrimoniale mi veniva insegnato che il marito può sempre chiedere il debito coniugale, ma non è conveniente che sia la moglie a chiederlo; mi si insegnava anche che la posizione naturale – e perciò non peccaminosa – era quella dell’uomo sopra la donna: altre posizioni non erano considerate lecite, salvo casi di necessità”.

Ma nei 700 anni trascorsi da Tommaso al Concilio molte cose sono successe nella morale cristiana in materia di sessualità.
È da notare che resta sempre più accentuata la centralità del comportamento fisico: quando, fra il ‘500-‘600, nasce la teologia morale come disciplina autonoma, essa diviene rapidamente una praxis confessariorum piuttosto che una vera teologia.
Il richiamo al testo biblico è solo occasionale, per versetti isolati, senza alcuna preoccupazione per una visione globale della sessualità umana: si ha invece una casistica sterminata sui singoli comportamenti sessuali dentro e fuori del matrimonio. In questo quadro si inserisce la rigidità morale del giansenismo, con inevitabili richiami ad Agostino.

S. Alfonso offre una teologia morale legata a questo quadro generale, ma con occhio pastorale e preoccupato di aiutare il penitente e con la preoccupazione di citare e discutere ampiamente le opinioni dei vari Autori.
Da S. Alfonso a oggi ben poco è cambiato fino al Concilio (ed oltre): la moralità è letta tutta all’interno dei singoli comportamenti mentre il tema dell’amore da un lato, e la fatica di un migliore approfondimento biblico dall’altro vengono completamente ignorati: la natura e il contronatura di singoli gesti costituiscono argomento dominante (e definitivo,valido in eterno) della valutazione morale.
Due esempi sono illuminanti. Nel Codice di Diritto Canonico in vigore fino al 1983, can. 1013, il fine primario del matrimonio è la procreazione; il coito coniugale fuori di questa precisa finalità è detto remedium concupiscentiae, cioè qualcosa di non bello ma comunque tollerabile sempre però che non si impedisca un’eventuale procreazione (il c.d. metodo di Ogino, sorto negli anni ’30, fu molto discusso fino al 1951, quando Pio XII – sia pure per casi seri – lo dichiarò ammissibile).
Sempre negli anni ’30 alcuni teologi tedeschi cercarono di introdurre l’idea che l’esser due in uno, idea perfettamente biblica, fosse un valore in sé e non solo strumentale alla procreazione, ma la tesi fu rifiutata e ancora nel 1959 la Civiltà Cattolica ribadiva energicamente il rifiuto.

Nel ringraziare Enrico Chiavacci, docente di teologia morale, per le riflessioni a cui ho potuto attingere, vi rimando alla seconda Lettera: “La scossa del XX secolo”.
Stefano Gentili

Nessun commento: