venerdì 30 novembre 2012

L’OCCHIO DELLA GAUDIUM ET SPES SULLA PIAGA DELLA GUERRA (2)

PITIGLIANO, 18 DEL POMERIGGIO. Lettere del Concilio (5 b)

Quasi improvvisamente, ma alcune avvisaglie già c’erano state (PIO XII, Allocuzione alla VII Assemblea medica mondiale, 30.09.1954), l’inizio degli anni ’60 porta con sé una serie di prese di posizioni magisteriali (pontificie e conciliari) decisive per lo sviluppo di un’ etica teologia che guardasse in modo nuovo e più evangelico le questioni relative alla pace e alla guerra.
Sempre con riferimento esplicito al tema della guerra, i Padri conciliari, fedeli al motto vedere-giudicare-agire, vedranno… che erano accadute COSE (specie negli ultimi 15 anni) che li obbligavano “a considerare l'argomento della guerra con mentalità completamente nuova” (GS 80).

Quali erano state queste “cose”?
Io le descriverei con tre H:
Hitler  e tutta la sua vicenda che condurrà alla II Guerra mondiale (con i suoi milioni di morti e il devastante epilogo di Auschwitz),
Hiroshima (la bomba Atomica, sganciata anche su Nagasaki),
la Bomba H (ad idrogeno o termonucleare: 250-350 volte superiore alla bomba Atomica) prodotta nel 1952 dagli USA e nel 1953 dall’URSS, accompagnata nel 1957 dai missili balistici intercontinentali (ICBM). Fu anche differenziata la possibilità di attacco nucleare: si era, infatti, in grado di attaccare dal cielo grazie agli aerei da guerra (bombardieri), da terra grazie agli ICBM, dal mare grazie ai sottomarini (Giulio Cesareo).

La terza H e i suoi sviluppi aprì la strada alla teoria della deterrenza strategica nucleare, che condurrà ad una corsa agli armamenti sempre più sfrenata, al fine di superare in continuazione l’avversario quanto a potenza militare.
Infatti, “sia l’Unione Sovietica che gli Stati Uniti sarebbero (stati) in grado di scagliare l’uno contro l’altro le rispettive armi nucleari, senza però alcuna speranza di impedire alla maggior parte della ogive nucleari avversarie di arrivare quasi tutte vicino ai bersagli, causando così disastri inimmaginabili. Ma anche dopo un siffatto attacco di sorpresa, il paese colpito avrebbe (avuto) ancora un numero di missili sufficienti per effettuare un’efficace rappresaglia, e distruggere così ampie aree del paese attaccante. Le perdite di entrambe le parti ascenderebbero a milioni di morti, e le rispettive risorse economiche sarebbero annientate” (Burrows – Goff).

GIOVANNI XXIII: L’USO DELLA FORZA MILITARE “ALIENUM EST A RATIONE”
Cose che aveva già visto bene Papa Giovanni XXIII quando irromperà con il suo pontificato, segnando una svolta radicale nella vita della Chiesa.
Anche se va pur detto che “Roncalli quando divenne papa non aveva precedenti significativi di militanza contro la guerra per la pace. […] Non si conoscono neppure notizie di una sua attenzione per gli uomini e i movimenti che nell’ambito cristiano e anche in quello specificamente cattolico avevano sviluppato posizioni pacifiste”.
Ma a partire dal 1961, con l’aggravarsi della crisi internazionale (la questione dei missili a Cuba), comincia la sua attività di instancabile promotore della pace e del dialogo, in modo particolare nei confronti del blocco comunista. “Si assiste perciò ad un crescendo di interventi pubblici su questa problematica, che non mancavano di sollevare riserve e resistenze sempre più marcate nella curia ma anche negli ambienti politici ad essa collegati” (Giuseppe Alberigo).

Al vertice di questo cammino si collocherà, l’11 aprile del 1963, la pubblicazione dell’enciclica Pacem in Terris che rappresenterà una vera e propria rivoluzione, rispetto all’insegnamento magisteriale precedente, nei confronti dei temi legati alla pace e alla guerra.

Tutta l’enciclica tende a mostrare come la pace, a cui tutti anelano, non può non stabilirsi che su delle relazioni fondate sulla giustizia e sulla carità.
La guerra, allora, nasce e si sviluppa in contesti di ingiustizia: anzi, essa può portare proprio alla distruzione dei rapporti sociali. Il discorso si fa palmare nella terza parte (ai numeri 39-41, in particolare) quando, riflettendo sulla maniera di stabilire un’equa e solidale collaborazione tra le varie Nazioni, si tocca il tema degli armamenti e del disarmo.

L’argomentazione si snoda in quattro tappe:
1. l’enorme quantità di armamenti prodotti e stoccati è anzitutto uno spreco gigantesco di risorse (finanziarie, scientifiche) che, al contrario, potrebbero essere utilizzate per lo sviluppo dei rispettivi popoli e delle popolazioni dei Paesi del Terzo Mondo;
2. si passa poi a smascherare l’assurdità della corsa agli armamenti, attraverso la quale si intende procurare la propria sicurezza, cercando continuamente di superare in potenza militare il proprio possibile avversario: e anche se le armi tacciono, certamente non è possibile per questo parlare di pace, né tanto meno di sicurezza;
3. per di più, l’uso delle armi nucleari in un eventuale conflitto potrebbe davvero condurre ad una catastrofe di dimensioni inimmaginabili: sia per il numero di vittime che sarebbe in grado di procurare, che per gli stravolgimenti (a causa soprattutto della quantità di radiazioni diffuse su scala planetaria) dell’intero ecosistema terrestre, mettendo a repentaglio, qualora la guerra fosse generalizzata, la stessa esistenza umana nel suo complesso; dunque “giustizia, saggezza e umanità” richiedono da un lato la fine della corsa agli armamenti per dare avvio, invece, “simultaneamente e reciprocamente” (PT 39) ad un progressivo ma effettivo disarmo e al bando delle armi nucleari;
4. viene, infine, rivolto l’invito alle autorità politiche, affinché si impegnino nel fare in modo che le tensioni e le dispute fra Stati siano affrontate e risolte essenzialmente per via diplomatica, attraverso la lealtà, il rispetto della giustizia e del diritto internazionale (Giulio Cesareo).

Quasi al termine e a sintesi del percorso fatto, al n. 67, troviamo una delle affermazioni centrali dell’enciclica, una vera e propria pietra miliare per la ricerca etico-teologica, una discriminante con cui tutta la riflessione successiva dovrà necessariamente fare i conti: l’uso della forza militare per risolvere le controversie internazionali “ALIENUM EST A RATIONE”.

Ecco il testo latino: “Quare aetate hac nostra, quae vi atomica gloriatur, alienum est a ratione, bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda”.
Purtroppo la traduzione italiana – come talvolta accade – (“per cui riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia”) fa perdere la razionalità del testo latino.
Meglio la traduzione francese:  “Il devient humainement impossible de penser que la guerre soit, en notre ère atomique, le moyen adéquat pour obtenir justice d’une violation de droits” (Dragas).

Con un tratto di penna viene definitivamente abbandonata la teoria della guerra giusta e ogni pessimismo antropologico o teologico che possa giustificare moralmente i conflitti armati (la teologia del male minore).
Si afferma con chiarezza e lucidità che nel nostro tempo, in cui sono a disposizione le armi atomiche, è impensabile, irrazionale e illogico (“alienum est a ratione”) credere di ristabilire il diritto violato, con la guerra.

Tutto questo apre finalmente la strada alla ricerca di nuovi percorsi di riflessione e alla possibilità di individuare nuovi criteri e nuove strade per superare le contese internazionali in una maniera più umana e, soprattutto, più degna dell’uomo.
E proprio in questa direzione Giovanni XXIII insiste perché, al fine di risolvere le tensioni che possono insorgere tra stati sovrani, si provveda all’istituzione di un’Autorità internazionale imparziale (non asservita cioè agli interessi di una Potenza o di un gruppo di Nazioni) con competenza universale.
La categoria morale, che richiede ed orienta direttamente la promozione di una autorità mondiale, è l’introduzione de concetto di “bene comune universale”.

“Il bene comune universale pone ora problemi a dimensioni mondiali che non possono essere adeguatamente affrontati e risolti che ad opera di Poteri pubblici […] che siano in grado di operare in modo efficiente sul piano mondiale. […] Devono essere in grado di operare efficacemente; però, nello stesso tempo, la loro azione deve essere informata a sincera ed effettiva imparzialità; deve cioè essere un'azione diretta a soddisfare alle esigenze obiettive del bene comune universale” (PT 45-46).

Assurdità della guerra e necessità di un’Autorità internazionale che metta gli uni insieme agli altri: lo ribadirà, qualche anno dopo (il 4 ottobre 1965), Papa Paolo VI nel solenne discorso alle Nazioni Unite:
“Voi attendete da Noi questa parola, che non può svestirsi di gravità e di solennità: non gli uni contro gli altri, non più, non mai! A questo scopo principalmente è sorta l'Organizzazione delle Nazioni Unite; contro la guerra e per la pace ! Ascoltate le chiare parole d'un grande scomparso, di John Kennedy, che quattro anni or sono proclamava: "L'umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all'umanità". Non occorrono molte parole per proclamare questo sommo fine di questa istituzione. Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell'intera umanità!”. 

Stefano Gentili

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