Come nel precedente
argomento, anche in questo caso l’intento è quello di scandagliare i testi
conciliari sul gravoso tema della guerra.
Ed anche questa volta
debbo intrattenermi in una rapida premessa storica.
LA GUERRA NELLA
TRADIZIONE ECCLESIALE SINO ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE
La pace e la guerra
sono un tema antico quanto l’umanità: da sempre, in ogni società e civilizzazione,
in ogni epoca della sua storia, l’uomo ha vissuto questa costante tensione tra l’anelito
alla pace, alla concordia, alla collaborazione e il desiderio di possesso, di
vendetta, la brama di conquista.
E la storia del
pensiero umano si è sempre trovata di fronte a questa duplice realtà e ha
fornito di essa varie interpretazioni: già per Eraclito, in effetti, la guerra
era l’origine e la madre di ogni cosa (Giulio Cesareo).
Il tema se lo sono
trovato dinanzi anche i Padri conciliari e hanno reagito…come vedremo.
Intanto, per motivi
puramente espositivi, divido il tema in due: la guerra e la pace.
Facendoli entrambi
precedere da una premessa sul passato (rispetto al Concilio) e sul magistero di
Papa Giovanni, in entrambi i casi straordinariamente decisivo e sulla guerra
certamente più ardito.
Partiamo, allora, dal
primo tema: la guerra.
→ Per le prime comunità
cristiane l’obbedienza al precetto evangelico dell’amore comportava un rifiuto
netto della violenza e, a maggior ragione, della sua massima espressione, che è
la guerra (Anna Morisi).
In breve tempo, però,
le cose cambiarono radicalmente.
→ Assunto il potere
Costantino, con l’editto di Milano del 313 dichiarò lecita la religione
cristiana, mettendo fine alla condizione giuridica che per più di duecento anni
aveva giustificato le persecuzioni, e concesse ai cristiani piena libertà religiosa.
Questa novità in campo politico, segnata da un progressivo riavvicinamento tra
il potere politico imperiale e le autorità ecclesiastiche, porterà con sé delle
conseguenze molto importanti, per quanto riguarda il nostro tema.
“Già nell’estate del 314 il sinodo di Arles non
solo permette il servizio militare dei cristiani, ma lo dichiara addirittura un
dovere. Esso punisce la diserzione in tempo di pace con l’esclusione dai sacramenti.
Sarebbe difficile immaginare una cesura più drammatica nell’etica politica.
Quella che prima era considerata l’unica possibilità politica viene ora colpita
con la scomunica” (Hans Campenhausen).
Le ragioni politiche di
questa scelta, sono certamente comprensibili e probabilmente giustificabili.
La politica, tuttavia,
non fa la teologia: sarà dunque la riflessione teologica successiva che,
attingendo sia dalla tradizione biblico-patristica che da quella
filosofico-politica (soprattutto Platone, Aristotele, Cicerone), offrirà gli
elementi dottrinali che giustificheranno la nuova prassi e che daranno il via
ad un insegnamento secolare, che tanta fortuna avrà nel corso dei secoli, che è
quello della teoria della guerra giusta
(Giulio Cesareo).
Appunto, la guerra
giusta.
→ La prima grande
personalità cristiana che elabora una riflessione sistematica sulla pace e
sulla guerra come strumento di giustizia e di pace, è quella di S. Agostino.
La sua primaria
intenzione non è quella di parlare della guerra e giustificarla, anzi, per
converso cerca di mettere in luce il bene supremo della pace, dono
dell’Altissimo rivolto all’umanità, che si compirà definitivamente nell’escatologia
(la Civitas Dei).
La pace, frutto della
grazia di Dio, però è sempre minacciata dal male e dal peccato insiti nel cuore
dell’uomo e la violenza e la guerra ne sono i frutti più clamorosi.
Consapevole che la pace
perfetta è quella che sarà, Agostino sa che è possibile e doveroso compiere
tutti gli sforzi per costruire in terra la pace storicamente possibile. E
questo è compito primario dell’autorità politica, che ha il compito di
ristabilire le condizioni di giustizia e quindi di pace quando sono minacciate.
Praticamente Agostino,
collocato in quel particolare momento storico, si trova “costretto, primo
teologo cristiano, a dare forma sistematica al compromesso fra éthos politico
della prima cristianità, orientato alla nonviolenza, e partecipazione dei
cristiani all’esercizio del potere politico, ivi inclusi i mezzi militari
violenti” (Huber – Reuter).
Spetterà a lui, quindi,
individuare i criteri che possono rendere giusto un conflitto armato: si tratta
dello ius ad bellum.
Ecco i criteri: 1)che sia motivato da giusta causa;
2)che sia per davvero l’extrema ratio;
3) che sia mosso da retta intenzione;
4) che sia promosso dalla legittima
autorità.
“Lo schema della dottrina cattolica è stato così
fissato per sempre dalla penna di s. Agostino. Su di esso lavoreranno i
posteri, s. Tommaso, che lo espone in forma sistematica, e particolarmente i
teologi e moralisti del sec. XVI, tra i quali si segnalano il Vitoria e il
Suárez, che lo hanno svolto in un corpo organico di dottrina, rimasta quasi
immutata fino ai nostri giorni”
(Messineo).
→ Va precisato che S. Tommaso, riprendendo
Agostino, inquadra la dottrina della guerra all’interno della virtù della
carità e non in quello della giustizia.
Quindi tenterà di
comprendere se il combattere in guerra sia sempre peccaminoso.
La guerra è certo un
male, contrario al precetto della carità, che tuttavia per delle circostanze
straordinarie (di qui appunto la riflessione sui principi del bellum iustum) può essere resa
moralmente legittima, come mezzo di ristabilimento della giustizia violata. Tutto
ciò, inoltre, permette di comprendere ancora più chiaramente perché Tommaso
cominci a prendere in considerazione ed ad affrontare, la questione della valutazione etica del modo di fare la
guerra e dei mezzi e delle tecniche usati in battaglia (Giulio Cesareo):
siamo allo ius in bello.
I due criteri ulteriori
dell’insegnamento sulla guerra giusta saranno quindi:
1. il criterio di proporzionalità, che prende in
esame il rapporto tra i mali arrecati (anche dal punto di vista semplicemente
materiale) e i beni promossi, prodotti o semplicemente difesi con il ricorso al
conflitto;
2. la fondamentale discriminazione tra combattenti e non
combattenti, tra militari e civili: questi ultimi, dunque, non possono
essere coinvolti nelle ostilità e non devono inoltre fungere da bersaglio o
essere vittime di incursioni o attacchi armati dell’una o dell’altra parte
avversa.
Prima di fermarci un
attimo, vorrei avvertire di non lasciarsi andare a sommari giudizi sulla
dottrina della tradizione ecclesiale accennata.
Essa ha avuto lo scopo
di limitare la violenza e la guerra, sottraendole al libero arbitrio del
potente di turno, per ricondurle, viceversa, entro un alveo etico-giuridico a
servizio del bene comune e della giustizia.
Peccato, però, che la
dottrina della guerra giusta si sia progressivamente trasformata, in pratica,
in uno strumento privilegiato di giustificazione e di legittimazione teologica
ed etica proprio di ciò che intendeva limitare e regolare.
Per non andare troppo
indietro, basti ricordare che “Pio XI
condannò i nazionalismi, ma legittimò le guerre d’Etiopia e di Spagna. Nel
1939, contro la guerra parlò Pio XII e poche altre voci, ma non la voce corale
dei cristiani. Le giustificazioni religiose della guerra, facilmente piegate
alle pretese nazionalistiche, erano ancora attuali” (Sergio Luzzatto).
Stefano Gentili
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