martedì 27 novembre 2012

L’OCCHIO DELLA GAUDIUM ET SPES SULLA PIAGA DELLA GUERRA (1)

PITIGLIANO, 18 DEL POMERIGGIO. Lettere del Concilio (5 a)

Come nel precedente argomento, anche in questo caso l’intento è quello di scandagliare i testi conciliari sul gravoso tema della guerra.
Ed anche questa volta debbo intrattenermi in una rapida premessa storica.

LA GUERRA NELLA TRADIZIONE ECCLESIALE SINO ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE
La pace e la guerra sono un tema antico quanto l’umanità: da sempre, in ogni società e civilizzazione, in ogni epoca della sua storia, l’uomo ha vissuto questa costante tensione tra l’anelito alla pace, alla concordia, alla collaborazione e il desiderio di possesso, di vendetta, la brama di conquista.
E la storia del pensiero umano si è sempre trovata di fronte a questa duplice realtà e ha fornito di essa varie interpretazioni: già per Eraclito, in effetti, la guerra era l’origine e la madre di ogni cosa (Giulio Cesareo).
Il tema se lo sono trovato dinanzi anche i Padri conciliari e hanno reagito…come vedremo.
Intanto, per motivi puramente espositivi, divido il tema in due: la guerra e la pace.
Facendoli entrambi precedere da una premessa sul passato (rispetto al Concilio) e sul magistero di Papa Giovanni, in entrambi i casi straordinariamente decisivo e sulla guerra certamente più ardito.
Partiamo, allora, dal primo tema: la guerra.

Per le prime comunità cristiane l’obbedienza al precetto evangelico dell’amore comportava un rifiuto netto della violenza e, a maggior ragione, della sua massima espressione, che è la guerra (Anna Morisi).
In breve tempo, però, le cose cambiarono radicalmente.
Assunto il potere Costantino, con l’editto di Milano del 313 dichiarò lecita la religione cristiana, mettendo fine alla condizione giuridica che per più di duecento anni aveva giustificato le persecuzioni, e concesse ai cristiani piena libertà religiosa. Questa novità in campo politico, segnata da un progressivo riavvicinamento tra il potere politico imperiale e le autorità ecclesiastiche, porterà con sé delle conseguenze molto importanti, per quanto riguarda il nostro tema.
“Già nell’estate del 314 il sinodo di Arles non solo permette il servizio militare dei cristiani, ma lo dichiara addirittura un dovere. Esso punisce la diserzione in tempo di pace con l’esclusione dai sacramenti. Sarebbe difficile immaginare una cesura più drammatica nell’etica politica. Quella che prima era considerata l’unica possibilità politica viene ora colpita con la scomunica” (Hans Campenhausen).
Le ragioni politiche di questa scelta, sono certamente comprensibili e probabilmente giustificabili.
La politica, tuttavia, non fa la teologia: sarà dunque la riflessione teologica successiva che, attingendo sia dalla tradizione biblico-patristica che da quella filosofico-politica (soprattutto Platone, Aristotele, Cicerone), offrirà gli elementi dottrinali che giustificheranno la nuova prassi e che daranno il via ad un insegnamento secolare, che tanta fortuna avrà nel corso dei secoli, che è quello della teoria della guerra giusta (Giulio Cesareo).

Appunto, la guerra giusta.
La prima grande personalità cristiana che elabora una riflessione sistematica sulla pace e sulla guerra come strumento di giustizia e di pace, è quella di S. Agostino.
La sua primaria intenzione non è quella di parlare della guerra e giustificarla, anzi, per converso cerca di mettere in luce il bene supremo della pace, dono dell’Altissimo rivolto all’umanità, che si compirà definitivamente nell’escatologia (la Civitas Dei).
La pace, frutto della grazia di Dio, però è sempre minacciata dal male e dal peccato insiti nel cuore dell’uomo e la violenza e la guerra ne sono i frutti più clamorosi.
Consapevole che la pace perfetta è quella che sarà, Agostino sa che è possibile e doveroso compiere tutti gli sforzi per costruire in terra la pace storicamente possibile. E questo è compito primario dell’autorità politica, che ha il compito di ristabilire le condizioni di giustizia e quindi di pace quando sono minacciate.
Praticamente Agostino, collocato in quel particolare momento storico, si trova “costretto, primo teologo cristiano, a dare forma sistematica al compromesso fra éthos politico della prima cristianità, orientato alla nonviolenza, e partecipazione dei cristiani all’esercizio del potere politico, ivi inclusi i mezzi militari violenti” (Huber – Reuter).
Spetterà a lui, quindi, individuare i criteri che possono rendere giusto un conflitto armato: si tratta dello ius ad bellum.
Ecco i criteri: 1)che sia motivato da giusta causa; 2)che sia per davvero l’extrema ratio; 3) che sia mosso da retta intenzione; 4) che sia promosso dalla legittima autorità.

“Lo schema della dottrina cattolica è stato così fissato per sempre dalla penna di s. Agostino. Su di esso lavoreranno i posteri, s. Tommaso, che lo espone in forma sistematica, e particolarmente i teologi e moralisti del sec. XVI, tra i quali si segnalano il Vitoria e il Suárez, che lo hanno svolto in un corpo organico di dottrina, rimasta quasi immutata fino ai nostri giorni” (Messineo).

Va precisato che S. Tommaso, riprendendo Agostino, inquadra la dottrina della guerra all’interno della virtù della carità e non in quello della giustizia.
Quindi tenterà di comprendere se il combattere in guerra sia sempre peccaminoso.
La guerra è certo un male, contrario al precetto della carità, che tuttavia per delle circostanze straordinarie (di qui appunto la riflessione sui principi del bellum iustum) può essere resa moralmente legittima, come mezzo di ristabilimento della giustizia violata. Tutto ciò, inoltre, permette di comprendere ancora più chiaramente perché Tommaso cominci a prendere in considerazione ed ad affrontare, la questione della valutazione etica del modo di fare la guerra e dei mezzi e delle tecniche usati in battaglia (Giulio Cesareo): siamo allo ius in bello.
I due criteri ulteriori dell’insegnamento sulla guerra giusta saranno quindi:
1. il criterio di proporzionalità, che prende in esame il rapporto tra i mali arrecati (anche dal punto di vista semplicemente materiale) e i beni promossi, prodotti o semplicemente difesi con il ricorso al conflitto;
2. la fondamentale discriminazione tra combattenti e non combattenti, tra militari e civili: questi ultimi, dunque, non possono essere coinvolti nelle ostilità e non devono inoltre fungere da bersaglio o essere vittime di incursioni o attacchi armati dell’una o dell’altra parte avversa.

Prima di fermarci un attimo, vorrei avvertire di non lasciarsi andare a sommari giudizi sulla dottrina della tradizione ecclesiale accennata.
Essa ha avuto lo scopo di limitare la violenza e la guerra, sottraendole al libero arbitrio del potente di turno, per ricondurle, viceversa, entro un alveo etico-giuridico a servizio del bene comune e della giustizia.
Peccato, però, che la dottrina della guerra giusta si sia progressivamente trasformata, in pratica, in uno strumento privilegiato di giustificazione e di legittimazione teologica ed etica proprio di ciò che intendeva limitare e regolare.
Per non andare troppo indietro, basti ricordare che “Pio XI condannò i nazionalismi, ma legittimò le guerre d’Etiopia e di Spagna. Nel 1939, contro la guerra parlò Pio XII e poche altre voci, ma non la voce corale dei cristiani. Le giustificazioni religiose della guerra, facilmente piegate alle pretese nazionalistiche, erano ancora attuali” (Sergio Luzzatto).

Stefano Gentili

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