Ci siamo lasciati
nell’ultima lettera affermando che la Provvidenza volle che proprio al centro del
terremoto di cui abbiamo parlato si svolgesse il Concilio Vaticano II: la Chiesa ebbe così modo di prendere
posizione, e una posizione piena di coraggio e di speranza.
Ma non fu così semplice
e le resistenze non mancarono, tanto era radicato quello che la messicana Luz
Maria Longoria, presente al Concilio con il marito Josè Alvarez Icaza (in veste
di uditori), pose in discussione e che, come abbiamo compreso, era fissato nei
manuali di teologia, in uso prima del Concilio: la questione dei fini “primari”
e “fini secondari” del matrimonio, dove primaria era la procreazione dei figli
e secondario il rimedio alla concupiscenza dell’atto sessuale.
La copresidente del
Movimiento Familiar Cristiano (MFC), molto attiva all’interno del gruppo che
doveva esaminare lo “schema XIII”, chiese di liberare l’atto sessuale dal senso
di colpa e di restituire ad esso la sua insita motivazione d’amore. Ad un padre
conciliare disse: “Disturba molto a noi madri di famiglia che i figli risultino
frutto della concupiscenza. Io personalmente ho avuto molti figli senza alcuna
concupiscenza: essi sono il frutto dell’amore” (tratto da
http://www.c3dem.it/).
Amen!
L’atto sessuale
nel matrimonio è vissuto come espressione gioiosa dell’amore dei coniugi e non come
qualcosa di brutto, appena da tollerare!
E quanto ci voleva a dire
una cosa del genere! E perché non era stato detto!
Se poi si vuol dire che
il peccato può anche abbrutire la sfera sessuale, questo è vero come lo è per
qualsiasi altra cosa sotto il cielo, foss’anche la più alta e nobile.
Ma andiamo a cogliere
gli elementi di novità che la Gaudium et spes ai numeri 47-51 introduce.
Intanto va notato che
risulta centrale la inseparabilità della
sessualità dalla relazione tra persone vista nella sua globalità: il
matrimonio è definito come “intima
comunità di vita e d'amore coniugale”. Questa “intima unione” è vista come
“mutua donazione di due persone”. Si
tratta quindi di un amore “eminentemente
umano”, diretto da persona a persona e che coinvolge le espressioni
dell’anima e del corpo. E pertanto “questo
amore è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall'esercizio degli
atti che sono propri del matrimonio”: il rapporto sessuale è dunque visto
come espressione e arricchimento del dono reciproco fra persone. Il sesso come
comunicazione.
Ormai la moralità nella sfera sessuale non può
più esser letta (almeno primariamente) nei singoli comportamenti sessuali, ma
nell’animo – o meglio: nel quadro globale della relazione fra persone – da cui
tali comportamenti scaturiscono.
Leggiamo parti del
testo.
L'intima comunità di vita
e d'amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è
stabilita dall'alleanza dei coniugi, vale a dire dall'irrevocabile consenso
personale. E così, è dall'atto umano col quale i coniugi mutuamente si
danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l'istituzione
del matrimonio, che ha stabilità per ordinamento divino. In vista del bene dei
coniugi, della prole e anche della società, questo legame sacro non dipende
dall'arbitrio dell'uomo. Perché è Dio stesso l'autore del matrimonio, dotato di
molteplici valori e fini: tutto ciò è di somma importanza per la continuità del
genere umano, il progresso personale e la sorte eterna di ciascuno dei membri
della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la prosperità della
stessa famiglia e di tutta la società umana.
Per la sua stessa natura l'istituto
del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla
educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento. E così
l'uomo e la donna, che per l'alleanza coniugale « non sono più due, ma una sola
carne » (Mt 19,6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l'intima unione
delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e
sempre più pienamente la conseguono.
Questa intima unione, in
quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli,
esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità (GS
48).
Cristo Signore ha effuso
l'abbondanza delle sue benedizioni su questo amore dai molteplici aspetti,
sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello della sua
unione con la Chiesa. Infatti, come un tempo Dio ha preso l'iniziativa di un'alleanza
di amore e fedeltà con il suo popolo cosi ora il Salvatore degli uomini e sposo
della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del
matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa
e si è dato per essa così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro
fedelmente, per sempre, con mutua dedizione. L'autentico amore coniugale è
assunto nell'amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del
Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi in maniera
efficace siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento
della sublime missione di padre e madre. Per questo motivo i coniugi cristiani
sono fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e
la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo con la forza di tale sacramento
il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dello spirito di Cristo, per
mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità,
tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua
santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio (GS 48).
I fidanzati sono
ripetutamente invitati dalla parola di Dio a nutrire e potenziare il loro
fidanzamento con un amore casto, e gli sposi la loro unione matrimoniale con un
affetto senza incrinature. Anche molti nostri contemporanei annettono un grande
valore al vero amore tra marito e moglie, che si manifesta in espressioni
diverse a seconda dei sani costumi dei popoli e dei tempi. Proprio perché
atto eminentemente umano, essendo diretto da persona a persona con un
sentimento che nasce dalla volontà, quell'amore abbraccia il bene di tutta la
persona; perciò ha la possibilità di arricchire di particolare dignità le
espressioni del corpo e della vita psichica e di nobilitarle come elementi e
segni speciali dell'amicizia coniugale.
Il Signore si è degnato di
sanare, perfezionare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia e
carità. Un tale amore, unendo assieme valori umani e divini, conduce gli
sposi al libero e mutuo dono di se stessi, che si esprime mediante sentimenti e
gesti di tenerezza e pervade tutta quanta la vita dei coniugi anzi, diventa più
perfetto e cresce proprio mediante il generoso suo esercizio. È ben
superiore, perciò, alla pura attrattiva erotica che, egoisticamente coltivata,
presto e miseramente svanisce.
Questo amore è espresso
e sviluppato in maniera tutta particolare dall'esercizio degli atti che sono
propri del matrimonio. Ne consegue
che gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onesti e
degni; compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che
essi significano ed arricchiscono vicendevolmente nella gioia e nella
gratitudine gli sposi stessi (GS 49).
In queste brevi frasi
della GS si ha una svolta netta e coraggiosa nei confronti di tutta la
tradizione in materia di morale sessuale in precedenza descritta.
Il tema morale della
sessualità è ormai visto primariamente come parte dell’unico grande tema
morale della carità, mentre il tema della natura passa decisamente in
secondo piano.
Ed è rilevante il fatto
che qui si torna alla radice biblica, laddove in forme ed espressioni diverse
resta sempre ferma la lettura della sessualità
come espressione di amore: non di una infatuazione passeggera ma di un
amore "forte come la morte".
Il tema del
procreazionismo come necessaria giustificazione dell’attività sessuale è
certamente ancora sottolineato, ma non ha l’esclusiva.
Così quando gli sposi
cristiani, fidando nella divina Provvidenza e coltivando lo spirito di
sacrificio , svolgono il loro ruolo procreatore e si assumono generosamente le
loro responsabilità umane e cristiane, glorificano il Creatore e tendono alla
perfezione cristiana.
Tra i coniugi che in tal
modo adempiono la missione loro affidata da Dio, sono da ricordare in modo
particolare quelli che, con decisione prudente e di comune accordo, accettano
con grande animo anche un più grande numero di figli da educare
convenientemente.
Il matrimonio tuttavia non
è stato istituito soltanto per la procreazione; il carattere stesso di
alleanza indissolubile tra persone e il bene dei figli esigono che anche il
mutuo amore dei coniugi abbia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e
arrivi a maturità. E perciò anche se la prole, molto spesso tanto vivamente
desiderata, non c'è, il matrimonio perdura come comunità e comunione di tutta
la vita e conserva il suo valore e la sua indissolubilità (GS 50).
Nella Bibbia e nel
Concilio i peccati in materia sessuale sono dunque peccati contro l’amore, ma
nella tradizione cristiana sono peccati contro la legge naturale letta con gli
occhi dei filosofi greco-romani precristiani.
E anche
l’indissolubilità della “comunità di vita e di amore” non è più fondata – come
invece in praticamente tutti i manuali di morale preconciliari – sulla
necessità dell’educazione dei figli o della stabilità sociale, che restano
peraltro elementi moralmente di grande significato – ma sulla totalità del dono
reciproco.
Questa intima unione, in
quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la
piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità (GS 48).
Si noti che
nell’applicazione particolare al rapporto sessualità-procreazione il Concilio
afferma che “la sessualità propria
dell'uomo e la facoltà umana di generare sono meravigliosamente superiori a
quanto avviene negli stadi inferiori della vita”, mentre tutta la
tradizione della legge naturale partiva proprio dall’osservazione della vita
animale ("id quod natura omnia
animalia docuit" - ciò che la natura insegnò a tutti gli animali).
La sessualità propria dell'uomo
e la facoltà umana di generare sono meravigliosamente superiori a quanto
avviene negli stadi inferiori della vita; perciò anche gli atti specifici della
vita coniugale, ordinati secondo la vera dignità umana, devono essere
rispettati con grande stima (GS 51).
A me pare che le
acquisizioni della Gaudium et spes traccino la strada per disegnare un’etica della sessualità, che tragga ispirazione dal
cristianesimo, umanizzante e positiva.
Quanto è accaduto nel
post-Concilio non sempre è andato nella direzione auspicata.
“Dall’enciclica Humanae vitae (1968) di Paolo VI ai
nostri giorni, la morale sessuale cattolica si trova, a livello mondiale, in
una situazione difficile.
A partire al più tardi
da quel documento, l’insegnamento morale del magistero e la pratica quotidiana,
non solo dei cattolici che hanno preso le distanze dalla Chiesa, hanno imboccato
strade diverse, come hanno molto chiaramente potuto osservare i
pastori. Di conseguenza in molti casi nella predicazione, nella catechesi e nella
pastorale non si affronta praticamente più il tema della sessualità” (Stefan
Orth).
Per la verità ormai da
tempo, in molte parti del mondo, in campo cattolico si discutono in materia di
etica sessuale specialmente due affermazioni centrali del magistero, presenti
anche nell’enciclica Humanae vitae:
• il luogo della sessualità vissuta è unicamente
quello del matrimonio fra un uomo e una donna, per cui la morale sessuale è sempre morale coniugale;
• ogni atto sessuale deve essere aperto alla
procreazione, per cui non è permessa
la regolazione artificiale delle nascite.
Probabilmente le argomentazioni
«taglia unica» non rendono giustizia alla varietà dell’esistenza umana.
Indipendentemente dal fatto di essere sposati, di convivere, di essere celibi o
single, tutti devono sforzarsi di integrare la sessualità nel proprio essere;
al riguardo, ognuno deve essere giudicato alla luce delle sue concrete condizioni
di vita.
• Poi c’è la grande questione del piacere. Può
essere conferito significato morale
positivo alla ricerca del piacere?
La risposta a questa
domanda richiede una profonda riflessione sul valore etico del piacere.
Ricorda il teologo
Enrico Chiavacci, che nella dottrina recepita (ancora oggi) il piacere sessuale
è legittimato moralmente come mezzo al fine. La ricerca del piacere in sé è
immorale perché ignora il fine (la procreazione) da cui la ricerca del piacere
è legittimata e a cui deve sempre coscientemente tendere.
Se invece il piacere
sessuale è visto come un’area particolare in cui la doverosa ricerca
dell’autotrascendersi si esprime e, parzialmente, si realizza e il circolo del
piacere sessuale non si chiude in se stesso, ma tende a esprimere (o parzialmente
realizzare) una gratificazione costituita dalla relazione con l’altro - e
pertanto l’altro entra principalmente come termine di un atteggiamento
relazionale/oblativo - il piacere
può ben’avere un profondo significato
etico, sia nella ricerca sia nella soddisfazione, come espressione puntuale
della tendenza alla realizzazione di sé: e tale tendenza è un dovere
morale.
Esso non è strumento di
altri fini, è piuttosto la concretizzazione in un preciso momento di un valore
che domina tutta l’esistenza.
Benedetto XVI, volando
su alti livelli, ci ha ricordato nella “Deus Caritas est” (specie al n. 10), che
l’Amore non esclude l’eros ma lo comprende, lo purifica e lo innalza
definitivamente sino a trasformarlo in agape.
Io penso che ci sia
materia per meditare e per uscire dal
silenzio, annunciando le potenzialità umanizzanti dell’etica sessuale
cristiana.
Occorre avere il
coraggio di rivedere criticamente i sistemi etico-normativi della morale
cristiana riguardo al piacere, nati non dalla Parola ma da filoni culturali o
filosofici tipici dell’Occidente.
Migliori e più
approfondite letture del piacere in genere e in specie di quello sessuale sono
richieste dalla ricerca filosofica e scientifica e dallo stesso supremo
magistero del Concilio Vaticano II.
E anche dal vissuto
positivo di molte persone cristiane (e non cristiane).
Stefano Gentili
1 commento:
il piacere può ben’avere un profondo significato etico, sia nella ricerca sia nella soddisfazione, come espressione puntuale della tendenza alla realizzazione di sé
Da dove è tratta questa frase?
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