La profonda svolta teologica di cui abbiamo parlato deve essere completata da un secondo argomento. La GS, affrontando i più gravi problemi sociali del nostro tempo, dichiara di volerlo fare procedendo “alla luce del vangelo e dell’esperienza umana” (GS 46). Questo specifica il metodo che la costituzione intende assumere nella seconda parte. La chiesa per vivere in pienezza la propria missione ha bisogno dell’esperienza umana, ha bisogno del mondo. Ciò è un preciso riferimento alla DOTTRINA DEI SEGNI DEI TEMPI.
A. Nei
documenti del Vaticano II si trova per tre volte l’uso esplicito della
formula.
→ Gaudium et spes 4“Per svolgere questo compito, è dovere
permanente della Chiesa di scrutare i
segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo
adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli
uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni
reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le
sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico”;
→ Unitatis redintegratio 4: “Siccome oggi, sotto il soffio della grazia
dello Spirito Santo, in più parti del mondo con la preghiera, la parola e
l'azione si fanno molti sforzi per avvicinarsi a quella pienezza di unità che
Gesù Cristo vuole, questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici
perché, riconoscendo i segni dei tempi,
partecipino con slancio all'opera ecumenica”;
→ Presbyterorum ordinis 9: “Siano pronti ad ascoltare il parere dei
laici, tenendo conto con interesse fraterno delle loro aspirazioni e giovandosi
della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell'attività umana, in
modo da poter assieme riconoscere i
segni dei tempi”.
Altre
volte i testi richiamano lo stesso concetto, pur non usando esplicitamente la
formula:
→ ad esempio, GS 11: “Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui
crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l'universo, cerca
di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui
prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri
segni della presenza o del disegno di Dio.
La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio
sulla vocazione integrale dell'uomo, orientando così lo spirito verso soluzioni
pienamente umane”;
→ ed ancora GS 44: “È dovere di tutto il popolo di Dio,
soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito Santo, ascoltare
attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola
di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio
compresa e possa venir presentata in forma più adatta”;
→ il concetto lo si può
infine rintracciare in Presbyterorum ordinis 6, Apostolicam Actuositatem 14, Dignitatis
Humanae 15.
B. L’acquisizione
della categoria dei segni dei tempi non era stata del tutto pacifica nella
fase di preparazione del concilio.
→ Si
può parlare di una preistoria della formula che muove il primo passo dalla
Scrittura. In Mt 16,2-3 infatti si dice:“Ma
egli rispose: "Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo
rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete
dunque interpretare l'aspetto del cielo e non
sapete distinguere i segni dei tempi?”
→ Nella tradizione teologica la troviamo nel teologo spagnolo del XVI sec. Melchior Cano (1509-1560), nella sua opera De Locis theologicis, dove per la prima volta tra i luoghi teologici che rivelano la presenza di Dio viene indicata anche la storia; un luogo laico accanto ai luoghi più sacrali (la chiesa, i sacramenti, la Bibbia). E nella storia, secondo Cano, luogo privilegiato di rivelazione di Dio sono i poveri.
→ Nella tradizione teologica la troviamo nel teologo spagnolo del XVI sec. Melchior Cano (1509-1560), nella sua opera De Locis theologicis, dove per la prima volta tra i luoghi teologici che rivelano la presenza di Dio viene indicata anche la storia; un luogo laico accanto ai luoghi più sacrali (la chiesa, i sacramenti, la Bibbia). E nella storia, secondo Cano, luogo privilegiato di rivelazione di Dio sono i poveri.
→ In tempi più recenti era
stato principalmente Giovanni XXIII ad usare la formula, nella Bolla di indizione del Vaticano II
(1961), poi nell’enciclica Pacem in
terris (1963). Quindi Paolo VI riprenderà la stessa formula nell’enciclica Ecclesiam suam (1964). Più tardi, in
documenti come la Populorum progressio
(1967) e la Octogesima adveniens (1971),
Paolo VI assumerà la scansione metodologica proposta dalla JOC -vedere, giudicare, agire- facendo della
lettura dei segni dei tempi addirittura il
punto di partenza per le riflessioni teologiche e per le indicazioni pastorali.
→ I biblisti cercarono di
opporsi al passaggio dal significato biblico - cristologico (il grande segno
dei tempi che viene indicato è Gesù, compimento dell’era messianica e punto
d’incontro di Dio con la storia dell’umanità) al significato sociologico - culturale;
ma la formula passa e il teologo M.D. Chenu, definisce così i segni dei tempi: “I fenomeni che, per la loro
generalizzazione e la loro frequenza, caratterizzano un’epoca e attraverso i
quali si esprimono i bisogni e le aspirazioni dell’umanità presente”.
C. E’ il significato di storia e il
riferimento ad essa la vera novità che entra nella teologia e nel magistero
con la formula dei segni dei tempi. Il passaggio appare chiaro richiamando
l’impostazione dei documenti della dottrina sociale della chiesa precedenti al
vaticano II.
• Nell’impianto metodologico,
ad esempio, della Rerum novarum la
storia era una realtà che stava deviando e che quindi occorreva riportare sulla
strada giusta con la chiarezza e la forza dell’insegnamento, al quale doveva seguire
la prassi, come esecuzione di un progetto ben strutturato. Il fondamento di
tale insegnamento non era tanto la Scrittura, quanto il concetto di natura. La storia, insomma era vista come realtà
passiva, amorfa che riceve dinamismo e forma da elementi ad essa estranei e
provenienti dal mondo delle idee, dei princìpi. In una storia sentita e
vissuta in questa maniera, il dovere dell’uomo è di tipo esecutivo e consiste
nel portare la storia, cioè gli avvenimenti, in linea con le idee e i princìpi.
• Ma l’attenzione per la
persona, che aveva mosso la stessa Rerum novarum, favorisce il cambiamento
metodologico, che sarà poi adottato dalla GS, attraverso l’assunzione della categoria della storicità, come categoria essenziale
dell’essere umano e di tutte le realtà e le esperienze, compresa l’esperienza
della fede cristiana. E due sono gli elementi portanti di una nuova visione
che nasce dall’acquisizione della
storicità.
→ Un elemento teologico (il Dio
della fede cristiana è il Dio della storia) maturato nella teologia
attraverso l’accresciuta conoscenza e familiarità con la Bibbia: Dio, più che
un “essere perfettissimo creatore e
signore di tutte le cose”, appare come il “Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”, il Dio della creazione,
dell’esodo, della sapienza; il Dio di Gesù Cristo. Un Dio che intreccia la sua storia con la storia di uomini, di un
popolo e che diviene il protagonista di una storia di salvezza.
→ Un elemento
antropologico, (l’uomo, con le sue
scelte nella storia, gioca se stesso) maturato attraverso l’assunzione della riflessione
personalistica (Newman, Teilhard de Chardin, Congar, Chenu, Daniélou,
Rahner, De Lubac) e in un clima culturale attento ad evidenziare la libertà della persona e dei gruppi
sociali, i diritti e i doveri, la partecipazione democratica (l’esperienza
tragica della seconda guerra mondiale appariva come la negazione sistematica e
teorizzata della persona umana, considerata solo oggetto o numero o pedina).
D. Dopo
la GS, la formula dei segni dei tempi viene esplicitamente o implicitamente usata
di continuo nei documenti papali (Populorum
progressio, Sollicitudo rei socialis)
e in quelli episcopali.
E
l’accoglienza della categoria della storicità determina l’acquisizione di una
scansione metodologica nella riflessione teologico - pastorale (già in
precedenza richiamata).
L’Esposizione
introduttiva della GS (4-10), pur essendo la parte più datata del documento, è
importante da un punto di vista metodologico: partire dall’ascolto
della storia contemporanea.
Dopo
la lettura dei fatti o fenomeni (vedere) il metodo prevede l’approfondimento
teologico, risalendo normalmente alle fonti del pensiero cristiano, Bibbia e
Tradizione (giudicare); infine vengono elaborate alcune indicazioni operative
(agire). Il metodo porta non solo a
leggere i fatti, ma a mettersi, come atteggiamento interiore previo, in un
ascolto empatico (profonda penetrazione) degli avvenimenti e degli uomini.
→ A livello di documenti, il
segno di questa rinnovata attenzione all’uomo e alla storia appare evidente
nella Centesimus annus di Giovanni
Paolo II.
I
primi tre capitoli sono una grande lettura sapienziale della storia
dell’Occidente europeo dalla Rerum novarum al 1989, condotta alla luce di
quello che viene definito “il principio
etico fondamentale”: la dignità della persona umana accolta nella sua
verità e nella sua libertà. Appare quasi una nuova stesura della GS.
Se
una differenza può essere notata essa consiste nel fatto che nella CA, come in
tutto il magistero dei Giovanni Paolo II, la
“lettura” degli avvenimenti non è semplice constatazione o registrazione da
accostare in un secondo momento alle fonti del pensiero cristiano, ma si tratta già di una lettura mirata e perciò
valutativa. In tal senso emblematica è la lettura dell’anno 1989 al
capitolo terzo: nel registrare i fatti se ne ricercano anche le cause, che
appaiono di natura filosofica, etica e religiosa, e vengono segnalate le
indicazioni operative.
E. La
dottrina dei segni dei tempi è così precisabile: lo Spirito di Dio è sempre all’opera nella storia; e perciò negli
eventi, nelle esigenze, nelle aspirazioni degli uomini del nostro tempo si deve
cercare quali possano essere i segni della presenza di Dio e quindi del
progetto di Dio per noi, che in questo tempo viviamo. Senza un’appassionata
attenzione a tali segni rischiamo di non essere in grado di comprendere la
chiamata di Dio per noi.
→ Si tratta di esperienze
umane dirette di sofferenza e di
aspirazioni (Giovanni XXIII nella PT, 1963, aveva indicato la reale liberazione
dei paesi decolonizzati, la rivendicazione della dignità dei lavoratori, il
riconoscimento della piena dignità della donna; ma anche la scelta per i poveri
fatta dalla Chiesa a Medellin come risposta a un preciso segno di oppressione
in America Latina).
→ E si tratta anche di un
altro tipo di esperienza che si può chiamare riflessa: tutta la ricchezza di conoscenze umane formatisi in
lunghi secoli e proveniente da ambiti scientifici, culturali: tutto ciò apre
sempre nuove vie alla verità e alla stessa comprensione della natura dell’uomo.
Ciò è di grande aiuto alla chiesa non solo per meglio proporre il vangelo, ma
prima di tutto per capirlo più profondamente.
E’
chiaro che tutte queste voci richiedono un discernimento,
ma è necessario prendere sul serio tutto
quello che l’esperienza umana riflessa - religiosa o atea che sia - ci offre.
Dovunque può esservi una traccia dello Spirito, che la chiesa deve essere in
grado di cogliere: questo era l’atteggiamento dei Padri e dei grandi teologi.
Naturalmente
non si dice che nella riflessione umana tutto è bello e buono o vero, ma si
dice - ed è certezza di fede - che dovunque lo Spirito è all’opera in ogni
coscienza umana, e che quest’opera dello Spirito va cercata amorevolmente. Da
questo il tema, ricorrente in tutta la GS, della cooperazione con gli uomini di
buona volontà (92) anche se non credenti o non cristiani.
Pertanto,
anche l’accusa al concilio di eccessivo
ottimismo è falsa e teologicamente ridicola.
Stefano
Gentili
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