La chiamata, il Car a Taranto, la Scuola di guerra aerea di Firenze. Tempo perso? Forse non del tutto. Le belle amicizie.
L’esistenza umana, com’è noto, ha delle improvvise accelerazioni
che quasi ti stordiscono e le cose che erano rimaste sospese, improvvisamente,
si realizzano. Fu così per me nella prima metà abbondante degli anni ’80, gli
anni di Craxi e De Mita e dell’Italia rampante.
Ho già detto che avevo portato a compimento gli studi
universitari, ma prima della loro conclusione ricevetti la chiamata, non quella
divina, quella militare.
Avevo quasi 25 anni e pensare di dover trascorrere 12 mesi dentro
una caserma o giù di lì, insieme a frullacchiotti diciottenni provenienti da
chissà dove, non mi entusiasmava affatto. Ma tant’è. Rimasi anche sorpreso dal
fatto che mi avesse chiamato l’aeronautica militare e non ricordo se durante la
visita di leva a 18 anni avessi espresso quella preferenza. Forse sì.
Detti in fretta il penultimo esame e presentai istanza per poter
essere inviato nella caserma dell’aeronautica più vicina alla sede
universitaria; era infatti possibile quella soluzione per gli studenti che
dovevano sostenere un massimo di due esami e la tesi (ed a me di esame ne
mancava solo uno). Giunto a casa, appresi che per il famoso C.A.R. (centro
addestramento reclute) di circa un mese, mi sarei dovuto recare a Taranto. Taranto? E sti cavoli!
Un mese dopo (intorno al 20 ottobre), con il treno Orvieto-Roma e
Roma-Taranto, via Battipaglia, mi recai al Saram di Taranto. Pochi chilometri
prima dell’arrivo mi sembrava di essere giunto in Africa: sabbia, dune,
piantagioni basse e rade. Sceso dal treno chiesi indicazioni e feci una bella
camminata per giungere alla caserma. Primi incontri di rito, destinazione
dell’alloggio (camerata con una ventina di brande), consegna
dell’abbigliamento: giacca, pantaloni, cravatta, cappotto, camicia, scarpe e
copri scarpe, tuta, borsone, bustina (cappello), biancheria, sapone in pomata,
spazzola per scarpe e ceretta nera.
Iniziò così l’avventura dell’aviere Stefano Gentili. O meglio, del
missile o missilone (come ci chiamavamo scherzandoci sopra) Stefano Gentili.
Ricordo esercitazioni, alza bandiera, brande, comandi e poco altro. Ci stetti
25 giorni e mi sembrava di essere entrato in un mondo di matti. Quel periodo fu
allietato dalla venuta dei miei genitori e Rossella il giorno del giuramento.
Il primo giuramento laico della mia vita, per il secondo sarebbero trascorsi 13
anni, da presidente della Provincia.
A fine Car ebbi la destinazione sperata, Firenze, sede della mia università; per la precisione, alla Scuola di Guerra Aerea ubicata
all’interno del parco delle cascine. L’immediata collocazione fu tra il gruppo
autisti e in seguito mi assegnarono anche un giornaliero lavoro d’ufficio
(disbrigo patenti e altro). Lavavo le auto e guidavo auto, pulmini e pullman
dentro Firenze o dove c’era da andare.
Questo mi permise di uscire dalla leva con una patente di guida
corrispondente alla D civile. Girare con il pullman dentro Firenze, anche se in
zone riservate al traffico dei mezzi speciali, fu un’esperienza inizialmente
ardua, poi vissuta con grande scioltezza.
Noi autisti facevamo poche marce, ma alcune furono veramente
memorabili. La ricordo una, se non sbaglio fatta eseguire (o addirittura
guidata) dal generale di Brigata, Stelio Nardini, in seguito anche capo di
stato maggiore dell’aeronautica. E la ricordo perché ci comportammo come una
vera armata Brancaleone. Un giovane aviere, quando il comandante non vedeva,
faceva in continuazione i versi di Totò. Ci beccammo una bella punizione, ma fu
una soddisfazione. Fu una soddisfazione perché quell’anno di leva ci sembrava
veramente tempo perso, specie per quelli come me, più grandi d’età.
L’estate fu caldissima: la stazione meteo ufficiale di Firenze
Peretola segnò il record assoluto di temperatura dal 1951 ad oggi, con +42.6°c.
L’altra stazione meteo, quella di Firenze Ximeniano, segnò il valore di
+41.6°c, che era il record assoluto di questa stazione meteo dal 1813. Cioè nel
luglio 1983 fu raggiunta la temperatura massima di questi 201 anni. E noi la
sentivamo tutta: l’abbigliamento nelle camerate al massimo prevedeva le
mutande.
Durante le licenze riuscivamo ad uscire qualche ora prima, imboscandoci
dentro i pulmini del trasporto mensa o del pane. La sera uscivo poche volte.
Con gli amici rammento le bischerate fatte lungo le Cascine, zona nota per
prostitute e travestiti. Bischerate che taluni di questi facevano solo a
parole, almeno in mia presenza. C’era il mito di un travestito molto bello (e
lo era effettivamente) che svolgeva servizietti a gente altolocata.
In effetti quell’anno di naia non
fu del tutto tempo perso. Questo grazie ad alcune persone con le quali ebbi
modo di stringere amicizia. Sul fronte dei graduati ricordo il maresciallo
Caoduro, il tenente Leuzzi e soprattutto il maresciallo Marcello Lorenzoni. Con
quest’ultimo siamo entrati di nuovo in contatto nel 2007 e da quel momento mi
chiama tutti gli anni a Natale per gli auguri. Poco tempo dopo il trapianto mi
è venuto anche a trovare. È proprio una bella persona. Tra gli avieri ricordo
diversi volti, ma pochi nomi. Specie con alcuni strinsi una buona amicizia. Ottima
fu con Patrizio Innocenti, bravo imprenditore e con il quale recentemente sono
di nuovo entrato in contatto, ma la più profonda di tutti è stata con
Alessandro Bartoli, affermato professionista di Città di Castello. Forse fu la
stessa età o anche la consonanza di vedute su molte cose della vita che ha poi
reso questa nostra amicizia forte come l’acciaio. Sulle questioni di fondo la
pensiamo ancora allo stesso modo, ma abbiamo orientamenti politici leggermente
differenti. Confido però nella canzone di Cocciante “Tu sei il mio amico carissimo”:
“né soldi, né donne, né politica potranno dividerci”.
Ottobre 1982. Con tuta e bustina a Taranto. |
Ottobre 1983. Firenze, giorno del congedo con gli amici più stretti. |
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