Partii insieme a don Lido e altri amici, il 9 dicembre 1980, per Sant’Angelo dei Lombardi. Rientrammo con il cuore in gola e la sensazione di avere ricevuto più che dato.
Il 1980 lo
ricordo soprattutto per il terremoto dell’Irpinia: 90 secondi di scossa alle
19,34 di domenica 23 novembre avrebbero, alla fine, procurato quasi 3.000
morti, 9.000 feriti e 280.000 sfollati. Mi torna alla memoria perché la nostra
diocesi si mobilitò subito con una raccolta fondi e un gruppo di noi si diresse
verso quelle terre devastate. La nostra gente fu, come al solito, generosa e
nel giro di un mese furono raccolti più di 15 milioni di lire, oltre a generi
alimentari e indumenti. La Caritas diocesana prese contatti con la Caritas
nazionale e ci fu chiesto di partecipare come volontari in un paese
particolarmente colpito, Sant’Angelo dei Lombardi.
Nei primi
giorni di dicembre ci si mobilitò per sistemare una roulotte che ci mise a
disposizione, mi pare, Primo Cabri. Credo fosse sua e non di don Piero, come si
dice nel resoconto del settimanale diocesano Confronto del 4 gennaio 1981.
Si partì il 9 dicembre alle 2,00 di notte per questo non breve
viaggio: eravamo io, don Lido Lodolini da
Pitigliano, Lucio Luzzetti di Scansano, Alberto Bisconti e la figlia Letizia di
Magliano in Toscana, seguiti da un camion che trasportava roulotte, viveri e
vestiario.
Quando
arrivammo ci accolsero la neve e i primi palazzi accartocciati su se stessi.
Devastante. Ci si sistemò in un campo sterrato, insieme ad altri sopraggiunti e
si presero i contatti con i responsabili locali i quali ci indicarono i compiti
da svolgere.
Cosa mi torna
alla mente?
Le tende che
insieme a Lucio consegnammo e aiutammo ad erigere ad un gruppo di contadini,
Letizia che seguiva i bambini e distribuiva i pasti, una Messa molto sentita
nella contrada dove operavamo. Alberto impegnassimo in tante piccole cose
concrete. Don Lido operativo su tutti i fronti; il nostro desiderio di portare,
insieme agli aiuti concreti, la forza cristiana della fede.
Ma anche il
freddo delle notti nella roulotte scaldata (si fa per dire) da una stufetta a
gas pericolosa assai, i bisogni fisiologici da collocare dentro una buca
all’aperto (alla faccia del bidet) circondata mi sembra da poche tavole, il
passaggio, di tanto in tanto, di qualche bossetto locale. Poi le ruspe tedesche
apparentemente molto efficienti ma, che a nostro parere, andavano poco per il
sottile nel togliere le macerie e qualche corpo che stava sotto; gli indumenti
collocati per terra perché i cittadini ne potessero usufruire.
Domenica 14
pomeriggio lasciammo S. Angelo con il cuore in gola e la sensazione di avere,
ancora una volta, ricevuto più che dato.
Lucio rimase
un’altra settimana ed altri gruppi diocesani seguirono la nostra avventura. Uno
di questi sarà composto da Don Enzo Baccioli di Sorano, che farà dire alla fine
di una messa al sindaco di S. Angelo, Rosanna Repole, “sei riuscito a farmi piangere”, Stella Bevillotti di Roccalbegna,
Monica Brignali di Sorano, Franca Giovani di P.S. Stefano e suor Camilla di
Bisceglie (settimanale Confronto, 19 aprile 1981).
Le
impressioni a caldo possono essere lette negli articoli a firma Stefano (io) e
Lucio (Luzzetti).
A rileggerli
oggi, debbo ammettere che essi risentivano del nostro desiderio, forse
eccessivo, di rispondere ad una mentalità anche allora piuttosto comune e in
parte veicolata dai mezzi d’informazione: quella di considerare quelle persone
come terroni. Lucio lo dice chiaramente nel suo articolo, “gente che non merita niente, che non vuol lavorare, non vuol
ricostruire, che sa in pratica solo piangere”.
Non era così, non erano santi, né super efficienti. Erano persone normali, come noi. Ma, in quel momento, noi stavamo dalla loro parte.
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