La strategia per la vita faceva parte del mio Dna e in Azione Cattolica era diventata un programma. Fu quindi naturale la nostra battaglia contro la 194. Incontri, scontri, battaglie con la penna e i volantini. Poi la dura sconfitta, che ci aprì gli occhi.
Il terzo
fatto significativo si colloca negli anni ’80. Erano gli anni – per dirla con
l’amico Bertani – nei quali c’era chi “vestiva
alla marinara, chi la sera andava in via Veneto e anche chi leggeva La Chiesa
italiana e le prospettive del paese”.
A proposito,
che fine ha fatto quell’illuminato documento della conferenza episcopale
italiana?
Sparito dalla
circolazione. Perché ebbe quello strano destino? Perché sparì dalla
circolazione e non se ne è più riparlato? Eppure era un piccolo saggio di
appena 28 paginette ed anche senza note. “Con
gli ultimi e con gli emarginati, potremo tutti recuperare un genere diverso di
vita. Demoliremo, innanzitutto, gli idoli che ci siamo costruiti: denaro,
potere, consumo, spreco, tendenza a vivere al di sopra delle nostre
possibilità”. Alcune risposte mi frullano per la testa. Una è di carattere
ecclesiale ed è tutta italiana, l’altra è di natura politica e riguarda quella
nostrana e quella internazionale; ce n’è poi una anche di carattere culturale
che ha a che fare con la Pamela, Bobby, J.R., Bim Bum Bam, Drive in. Mentre
l’oggettistica e i programmi televisivi si spalmano su tutto il decennio quel
documento è del 1981.
Proprio l’anno in cui mi catapultai nella battaglia
referendaria per l’abrogazione della legge 194/78, Norme per la tutela
sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza
(popolarmente detta legge sull’aborto), che legalizzava e autorizzava l’aborto
presso le strutture pubbliche entro i primi 90 giorni di gravidanza.
Con alcuni
amici ed amiche ci buttammo a capofitto in quella campagna, convinti che fosse
una lotta di civiltà e consapevoli del fatto che il vento soffiava e veniva
sospinto nel verso contrario ai nostri desideri e alle nostre convinzioni.
Per la verità
la nostra attenzione alla vita, in Azione Cattolica, era già iniziata. Anzi la
chiamavamo proprio, sia a livello nazionale che locale, Strategia per la vita e riguardava la maternità (contrasto
dell’aborto, adozione, affidamento educativo), ma anche altre povertà materiali
e immateriali, come la tossicodipendenza.
“Chi ha paura di Virginia?” era un po’
il nostro slogan del 1981, supportato da un opuscolo mignon di 20 paginette nel
quale si descriveva dettagliatamente e succintamente il percorso della vita dal
14° giorno del ciclo materno (“Io,
Virginia, con il mio identikit unico e irripetibile, individuato dai 46
cromosomi contenenti 6 milioni di geni, già esisto”) al 90° (“Ora misuro 8 centimetri e peso 25 grammi…mi
spuntano i capelli e le unghie: mi preparo così ad affrontare la vita”).
Noi facevamo parte del Movimento per la vita, nato a livello nazionale e
rappresentavamo una sua articolazione periferica (vedere il settimanale
diocesano Confronto del 19 aprile 1981).
La battaglia fu entusiasmante e dura. Dovevamo rispondere colpo su colpo alle ragioni di quelli che
secondo noi portavano acqua alla cultura della morte. Il giudizio detto così –
a ripensarci oggi – era errato, perché diversi di coloro che non volevano
l’abrogazione della legge lo facevano per togliere l’aborto (che esisteva,
eccome, e in condizioni pericolose) dalla clandestinità. Ma altrettanti erano
gli invasati dell’utero è mio e lo gestisco io. E poi c’erano anche i cinici:
quelli che volevano sfruttare il referendum per ragioni politiche. Fu dura la
battaglia, perché quello era il periodo nel quale la foga social-comunista e
radical-femminista facevano la voce grossa, dopo la vittoria sul divorzio e
l’ascesa elettorale.
Ma questi
fatti, lungi dallo scoraggiarci, ci gasarono di più. E allora via con i
volantinaggi, i contatti porta a porta, gli incontri formativi, culturali e
scientifici (per i quali ricordo di aver predisposto una sinossi tra la legge
194 e le modifiche che voleva apportare il movimento per la vita e quelle ancor
più permissive dei radicali), la partecipazione ai dibattiti anche se in
minoranza schiacciante. A tal proposito rammento ancora un dibattito al teatro
Salvini di Pitigliano nel quale a rappresentare la parte nostra, quella di chi
voleva la vita del feto-bambino difesa ad ogni costo, invitammo P. Vincenzo
D’Ascenzi che fece valere le ragioni della vita in modo asciutto, argomentato,
chiaro e scientificamente ineccepibile. P. D’Ascenzi, che pure era accusato di
essere troppo indulgente verso il mondo marxista, accusava i comunisti, “di tradire le attese del popolo poiché esso
non era a favore di una legge sull’aborto ma fu spinto verso questa scelta da
una ragione di opportunismo politico per aumentare il blocco compatto della
sinistra e del fronte laico, per indebolire la Democrazia Cristiana”.
La battaglia fu ardua e si combatté senza esclusione di colpi sino
all’ultimo momento, anche attraverso le parrocchie.
E così fecero anche gli altri, che a differenza di noi potevano usufruire di
un’autentica macchina organizzativa micidiale e capillare. Organizzammo in modo
ferreo anche la nostra presenza ai seggi con scrutatori e rappresentanti di
lista agguerriti, ma alla fine la batosta fu clamorosa. A livello nazionale
21.505.323 elettori dissero NO all’abrogazione della legge e 10.119.797 SI: in
percentuale di 68 a 32. E nei comuni della diocesi fu anche peggio (a parte
l’Isola del Giglio). Le differenze erano circa le stesse delle elezioni e
quindi la gente, in larga parte, dette retta ancora una volta alle indicazioni
dei partiti, con qualche rara eccezione. Anzi, alcuni che votavano DC e altri
di centro non votarono o votarono no. Cosa, per alcuni, ancora più indigesta.
Eppure in
campo ecclesiale molti ancora pensavano all’Italia come un paese cattolico o
almeno ossequioso alle indicazioni morali della Chiesa, nonostante vi fosse già
stata la sberla del divorzio. Il risveglio fu traumatico, ma almeno mise tutti
dinanzi alla realtà. Ci fu chi si mise a inveire, chi disse “ripartiamo da 32”, chi, come alcuni
amici cattolici di P. S. Stefano, si impegnò a “dare la vita all’oggi” e chi aveva già invitato sulle pagine
diocesane – sotto il titolo “Bambino mio:
ricchezza dell’umanità” – a dare alla luce i bambini, ma aiutando la donna
ad essere sempre più donna e madre.
E noi? Noi,
in Azione Cattolica, continuammo a portare avanti la strategia per la vita.
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