venerdì 26 agosto 2011

UN PO’ DI STORIA DI LAICI (10). RIMETTIAMO IL TEMA DEI CRISTIANI LAICI ALL’ORDINE DEL GIORNO DELLE PROSSIME SCADENZE PASTORALI DIOCESANE

Se alle buone cose del passato, alle ultime sollecitazioni dello Spirito sinodale, del Vescovo Mario e a quelle iniziali del Vescovo Guglielmo, dovessi aggiungere soltanto le più recenti riflessioni che pesco a memoria dal livello nazionale - (ma senza dimenticare di partire dalla Christifideles laici, di Giovanni Paolo II del 30 dicembre 1988 e dagli insegnamenti di un maestro quale fu Giuseppe Lazzati ne La città dell’uomo. Costruire, da cristiani, la città dell’uomo a misura d’uomo, del 1984 e in Laicità e impegno cristiano nelle realtà temporali, del 1985) - direi che quanto a riflessione non siamo nel deserto dei tartari.
Anzi, basta leggere i seguenti saggi per rendersene conto: Paola Bignardi, Esiste ancora il laicato. Una riflessione a 40 anni dal Concilio, 2006. Enzo Bianchi, La differenza cristiana, 2006. Fulvio De Giorgi, Il brutto anatroccolo. Il laicato cattolico italiano, 2008. Giordano Frosini, La Chiesa siete voi, 2009. Paola Bignardi, Dare sapore alla vita. Da laici nel mondo e nella Chiesa, 2009.

Se non siamo nel deserto dei tartari, ma il terreno comincia ad essere dissodato; allora… duc in altum (Lc 5,4): liberiamoci dei timori e degli eventuali complessi e prendiamo il largo.
Riandiamo all’inizio e rimettiamo il tema dei cristiani laici all’ordine del giorno delle prossime scadenze pastorali diocesane e aiutiamoli, “in quanto adoratori dovunque santamente operanti, a consacrare a Dio il mondo stesso” (Lumen gentium, n. 34).
Stefano Gentili

giovedì 25 agosto 2011

UN PO’ DI STORIA DI LAICI (9). IL PRIMO SINODO DEL TERZO MILLENNIO TROVA LAICI CLERICODIPENDENTI

Il nuovo millennio per la diocesi – dopo essere stata allietata dalla venuta del Vescovo Mario Meini (1996) - si è aperto con la bella sorpresa del Sinodo Diocesano (2003-2005), voluto con forza dal Vescovo stesso, dopo una faticosa ed entusiasmante Visita pastorale diocesana, preceduta da una Missione diocesana (1998/99).

Esso ha rappresentato un autentico dono dello Spirito. Ha significato un momento di verifica e di rilancio dell’azione della chiesa diocesana, sollecitando e facendo sperimentare la gioia (e anche un po’ la fatica) di camminare insieme per contribuire alla costruzione del regno di Dio. Gli effetti maturi di quel lavoro si vedranno nel tempo, ma intanto sono ravvisabili i primi cambiamenti e il desiderio di conformarsi a quanto deciso.
Ancora una volta tutta l’attività pastorale è stata sottoposta ad attenta analisi ed importanti indicazioni teoriche e operative sono scaturite dai circa tre anni di lavoro.
Nel testo finale non vi è un documento esplicitamente dedicato ai laici, alla loro vocazione e missione, perché la commissione preparatoria consigliò di soffermarsi sulla specifica questione dei laici nella realtà socio-politica. Ma quello stesso documento (Laici cristiani nella realtà socio-politica, documento X, 2005) e tutti gli altri presuppongo in filigrana la presenza di laici conciliari.
Il testo sinodale andrebbe fatto più nostro, è ancora così fresco e attuale!

Nello stesso tempo non sono mancate puntuali sollecitazioni del Vescovo e del Consiglio pastorale diocesano ai cristiani laici della diocesi.
Ricordo la Christifideles laici nella Chiesa e nel mondo, elaborato dal Consiglio Pastorale Diocesano nel gennaio 2002; la Lettera del Vescovo Mario Meini ai fedeli laici della diocesi, del 19 settembre 2007; il documento Far tesoro della crisi. Riflessione del Consiglio Pastorale Diocesano sull’attuale contingenza economica, del 23 novembre 2008.

Non sono neppure mancati piccoli-grandi segni, sempre da parte del Vescovo, come la consuetudine (avviata nel giorno di S. Gregorio VII del 1998 e preceduta il Natale antecedente da una visita personale a tutti i sindaci) di incontrare almeno una volta all’anno tutti i sindaci dei comuni della diocesi, unitamente al presidente della provincia e a quello della locale comunità montana. Segno della stima che la Chiesa nutre per coloro che si dedicano istituzionalmente al bene comune e, in un certo senso, monito a tutti i cristiani perché prendano sul serio i propri doveri politici e non considerino la politica lontana, insignificante o, peggio, dannosa per se stessi e per la civile convivenza.

Aggiungerei anche le considerazioni fatte dal Vescovo Mario nel quadro di un’analisi della situazione della nostra Chiesa in uno degli ultimi incontri post-sinodali: parlando dei laici, dopo avere elogiato il loro impegno e la loro fede, segnalava anche un loro eccesso di clericodipendenza (2009). Questione sulla quale riflettere con grande attenzione e da usare come leva per fare nostro, nel pensiero e nell’azione, l’insegnamento conciliare sul laico cristiano.
Tanto più perché, allargando per un attimo lo spettro del ragionamento, abbiamo assistito negli ultimi anni all’emergere di richieste di esperienze di tipo più marcatamente spirituale, nelle quali alcuni laici pensano di condensare la propria esperienza cristiana. Altro fenomeno – quello del “laico spirituale” – sul quale riflettere.
Stefano Gentili

sabato 13 agosto 2011

UN PO’ DI STORIA DI LAICI (8). LA SPINTA ALL’IMPEGNO SOCIO-POLITICO E L’IMPREPARAZIONE CULTURALE DEI CATTOLICI

Ad essere precisi, un altro obiettivo contenevano gli orientamenti nazionali richiamati nel precedente post: la ricomposizione dell’area cattolica in campo socio-politico dinanzi all’evidente sfaldamento della cosiddetta prima repubblica. Ma il raggiungimento dell’obiettivo sostanzialmente ebbe a fallire per il precipitare degli eventi e la carenza di cultura politica nella quasi totalità del corpo cattolico nazionale.

Il grande corpo della comunità ecclesiale diocesana
poco sentì l’uragano che si sarebbe abbattuto sul sistema politico e poco s’impegnò a costruire mentalità nuove ed a formare laici cristiani.
La stessa questione della ricomposizione dell’area cattolica fu, da noi, sempre poco sentita o evitata ed invece il tema era molto laico e avrebbe dovuto trovare - insieme al desiderio di poter operare per una società migliore - i laici in trincea, nel momento della battaglia.
Ma laici da trincea ne avevamo pochissimi, la maggior parte agiva nelle retrovie occupandosi d’altro.

E quando - dopo l’uragano di tangentopoli, il crollo del sistema partitico, l’affacciarsi di gioiose macchine da guerra, le discese in campo, la ricerca di centri impossibili - si aprì, anche in diocesi e nell’intera area provinciale, l’imprevista possibilità di fornire al mondo della politica e delle istituzioni personale cattolico coerente, formato e culturalmente preparato, il nostro mondo, salvo poche eccezioni, fece sostanzialmente flop.

Nonostante il Vescovo Binini nel 1990 avesse invitato la nostra Chiesa ad “educare alla partecipazione socio-politica” (fissando incontri in quattro zone della diocesi) e uno sparuto gruppo di laici avesse compreso l’urgenza dei tempi e organizzato la Scuola di Formazione all’impegno sociale politico (1991), attività che, elevata per qualità di impianto e di relatori-testimoni (tra gli altri Tina Anselmi, P. Bartolomeo Sorge, Paolo Giuntella, Leoluca Orlando), di fatto fu troppo elitaria e non incise sulla base cattolica che si presentò del tutto impreparata agli appuntamenti elettorali degli anni ’94-’95-’96.

In uno di quegli appuntamenti mi trovai incastonato anch’io e, se dovessi narrare le incomprensioni, le smusate, le lettaracce che ricevetti da “amici cattolici” sol perché avevo fatto la scelta di capeggiare, come candidato alla Presidenza della Provincia di Grosseto, una coalizione che oggi si direbbe di centro-sinistra, potrei formare uno zibaldone.
Per la verità ci furono anche non pochi “amici cristiani” che compresero, non si scandalizzarono e in parte sostennero quella scelta.
Quelle scomposte reazioni non furono dettate da invidia o cattiveria. No, molto più semplicemente da una incapacità culturale di leggere gli avvenimenti e da vecchie consuetudini dure a morire.

Una di queste era l’anti-comunismo.
Poverini, pensavano che il nemico della ‘civiltà cristiana’ fosse sempre lo spauracchio marxista e che i comunisti mangiassero…i bambini.
E non si accorgevano del cambiamento epocale che era avvenuto e stava avvenendo sotto i loro occhi.

Dai primi anni ’80, i telecomandi dei nuovi tv color al quarto pulsante avevano quasi sempre l’emittente della Mondadori, Rete 4, e al tasto successivo Canale 5, proprietà di ‘un costruttore del Nord’. Questo mandava in onda un sacco di telefilm.
I personaggi di Dallas e Dinasty cominciarono ad essere vissuti come reali (la Pamela, Bobby, J.R.), i piccoli avevano iniziato a reclamare il Bim Bum Bam di Paolo Bonolis e quelli più grandicelli, ma accompagnati dagli adulti, volevano Drive in, dove le cameriere Carmen Russo e Lory del Santo mettevano meloni in bella mostra. Dinanzi all’impacciata televisione di Stato, le televisioni private (che Silvio aveva provveduto a comprare tutte) dipingevano nuovi mondi dalle tinte attraenti ed erano la prefigurazione del magico paese futuro e di un uomo nuovo finalmente liberato dai vecchi tabù.

Il regalo incommensurabile che il pentapartito aveva lasciato in eredità al Cavaliere (con tre decreti-salva-Silvio del governo Craxi tra l’84 e l’85; poi con un intervento del 1990, con il quale la Fininvest fu ammessa a trasmettere in diretta) avrebbe cambiato per sempre il Paese grazie all’uso, moderno, massiccio, spregiudicato che Berlusconi avrebbe fatto del ‘quarto potere’.

Insomma negli anni ’80 era cambiata larga parte della nostra società e si era giunti alla fine della Prima repubblica, seppellita dagli scandali di Tangentopoli; il mondo cattolico a livello nazionale ‘normalizzato e cloroformizzato’ da chi sappiamo, si trovò spiazzato ed anche quello diocesano, si fece trovare largamente impreparato ad interpretare e governare il nuovo.

Erano stati accecati, come lo fu l’indovino Tiresia dalla dea Era, mentre discettavano se si provava più piacere a rifare la Dc o a fare un altro centro e se i cattolici dovevano votare uniti oppure sparpagliati.
Stefano Gentili

venerdì 12 agosto 2011

UN PO’ DI STORIA DI LAICI (7). NEGLI ANNI DI “COMUNIONE” E “COMUNITÀ” SI PERSE DI VISTA LA SPECIFICITA’ LAICALE

Negli anni che vanno dall’85 alla fine del millennio non ravviso avvenimenti o fatti rilevanti che in ambito diocesano abbiano avuto a che fare esplicitamente con il laicato cristiano in quanto tale. Ma non furono anni ininfluenti. Anzi, cose importanti furono messe in cantiere.

Durante l’Episcopato di Mons. Eugenio Binini (1984-1991) è importante ricordare la Visita Pastorale (1986-1989) predisposta con grande cura, i fraterni rapporti del Vescovo con i presbiteri, i pellegrinaggi, le premure per il Seminario, l’attenzione alla catechesi e alla Caritas.

I quattro anni dell’episcopato di Mons. Giacomo Babini (1992-1996) furono caratterizzati da importanti Convegni Diocesani quasi tutti protesi ad individuare le strade di quella che Papa Giovanni Polo II chiamava la “nuova evangelizzazione”.

Ritengo, però, che indaffarati in diverse nobili cause pastorali, si distolse un po’ troppo lo sguardo dalla specifica vocazione laicale.
Eppure, paradossalmente, stava morendo un mondo vecchio e nascendo uno nuovo che reclamava proprio la presenza di cristiani laici adulti.

Ciò fu dovuto in larga parte agli orientamenti intrapresi dalla Chiesa italiana
: gli anni ’80 furono quelli del piano “Comunione e comunità” e gli anni ’90 di “Evangelizzazione e testimonianza della carità”.
Questi piani ebbero indubbie ricadute positive come quella di fare assumere alla pastorale, con sempre maggiore chiarezza, la realtà del territorio come luogo di responsabilità missionaria, di attenzione caritatevole e sociale (con ciò teoricamente offrendo spazio all’impegno dei laici cristiani). O quella di organizzare la Caritas in tutte le parrocchie.

Però la forte enfasi posta su concetti bellissimi e basilari come “comunione” e “comunità” – che per un verso riuscì a bloccare spinte centrifughe di gruppi e movimenti e a ricordarci che se non siamo uniti e se non ci amiamo non ci riconosceranno – rischiò di mettere in secondo piano la specificità della vocazione dei laici cristiani, inglobandola in una logica comunitaria nella quale è sembrato che tutti fossero un po’ tutto: tutti battezzati, tutti laici, tutti sacerdoti, tutti missionari, tutti a servizio del mondo, tutti consacrati, tutti… Tutto vero!
Ma quel ‘tuttismo’, a mio parere, distolse l’attenzione dalle tipicità e modalità con le quali le vocazioni del multiforme corpo della Chiesa si manifestano nei diversi stati di vita. Con ciò vanificandone l’apporto e rendendo apparentemente superfluo lo stesso associarsi dei laici, anche in ragione di un’impostazione pastorale che di fatto rese marginale ogni soggettività, specie se aggregata, in nome di una organizzazione unitaria e accentrata della pastorale.

Si sentiva dire (e alcuni purtroppo lo ripetono anche oggi) che di fronte a comunità ecclesiali pastoralmente vive (ove esistano), organizzate attorno ad un parroco efficiente e animate da presenze laicali impegnate e disponibili…bastava la parrocchia, non serviva altro: niente AC, niente laicato associato.
Fu (ed è) questo un grave fraintendimento, perché forse non è difficile trovare in parrocchia collaboratori disposti a dare una mano nella realizzazione di obiettivi utili e interessanti; ma non è così facile trovare persone che, nella corresponsabilità, offrano alla parrocchia un servizio qualificato dalla sensibilità e maturità di una vocazione laicale effettivamente sentita ed esercitata.
Specificità vocazionali garantite solo da un associarsi riconoscibile e strutturato, così come ai sacerdoti e ai religiosi è garantito da istituzioni quali seminari e conventi e da progetti educativi di lunga durata.

A corollario di questo periodo, nella logica di una Chiesa tutta ministeriale, presero piede le prime esperienze di ministri straordinari dell’eucaristia (dapprima a P. S. Stefano con don Angelo Comastri, poi in altre parrocchie) e, dal dicembre 1994, quella dei diaconi: questa particolarmente sollecitata anche nel successivo periodo, tanto da essere oggi giunti all’apprezzabile numero di 10 unità (più tre candidati).
Adulti che ad un certo punto del loro percorso laicale hanno percepito la chiamata a svolgere un’attività speciale all’interno della Chiesa. Doni per la nostra comunità diocesana, ma che non fanno altro che confermare la propensione ad-intra dei nostri percorsi formativi e degli sbocchi operativi.
Insomma, tra i laici cosiddetti impegnati lo sbocco più naturale del proprio impegno missionario sembra essere ancora alla fine degli anni ’90 di tipo ancora più pastorale.
Stefano Gentili

giovedì 11 agosto 2011

UN PO’ DI STORIA DI LAICI (6). IL SACRO FUOCO CONCILIARE: I CAMPI SCUOLA REGIONALI (Dolomiti) E DIOCESANI (Triana)

Pressoché nello stesso periodo decollò l’esperienza dei Campi-scuola giovanili promossi dall’Azione Cattolica, prima quelli regionali (Carbonin 1972, quindi Moena, Sappada, La Mendola, quelli a cui ricordo di aver partecipato), poi quelli diocesani (una breve parentesi a Faltona, quindi a Triana dal 1978).

Perché li considero così rilevanti?
Perché fu alla scuola di quelle esperienze, specie regionali, magistralmente guidate dall’assistente don Icilio Rossi, che molti nostri giovani (spinti a partecipare da Don Giorgio Gubernari) sentirono parlare di Concilio, di Chiesa-comunione, di vocazione dei laici, di partecipazione dei laici alla vita della Chiesa, di dialogo con il mondo, di giustizia sociale, di umanesimo integrale e plenario.

Lì maturarono decisioni e impegni che condussero un bel gruppo di giovani, oggi adulti, ad acquisire perlomeno una forma mentis conciliare
ed a trasferirla nei gruppi parrocchiali e nei campi scuola diocesani che dal 1978 inizieranno a decollare a pieno ritmo (i primi sotto la sapiente guida spirituale del giovane assistente diocesano AC Giovani, don Lido Lodolini e di quello AC Ragazzi, don Mario Amati).
E qui matureranno vocazioni alla vita laicale adulta e troveranno spazio quelle di speciale consacrazione: come non ricordare, tanto per fare un esempio piuttosto eclatante, la segretaria diocesana del movimento studenti di azione cattolica, Franca Lacchini, poi diventata monaca di clausura (cosa che poi avvenne, a livello regionale, anche per la pontassievina Isa Manzini).

Piccoli numeri, qualcuno potrebbe obiettare. Non saprei dire.
Certo è che dal 1978 alla metà degli anni ’90 sono transitati alla Triana una media di 250 ragazzi all’anno.
Dopo che, per una strana serie di coincidenze poi rivelatesi fasulle, la diocesi fu costretta a lasciare il Castello Piccolomini di Triana, i campi-scuola sono continuati in altre località ed ancora oggi offrono il loro servizio e danno frutti alla chiesa e alla società.
Ma non c’è dubbio che quelli di Triana rappresentarono un ‘unicum’ specie per l’entusiasmo che si respirava e per quel sacro fuoco che spingeva giovani laici a maturare impegni ecclesiali e sociali sempre più rilevanti. Per vedere i frutti di quel periodo bisognerebbe andare ad indagare nel vissuto di tanti singoli laici, uomini e donne che hanno preso sul serio la vita e l’appello cristiano. Ma la ‘privacy’ non mi consente di fare esempi.
Stefano Gentili

mercoledì 10 agosto 2011

UN PO’ DI STORIA DI LAICI (5). LA SCOSSA DEL VESCOVO D’ASCENZI

Provvidenzialmente due eventi concomitanti e provenienti entrambi dall’esterno innestarono il cambiamento: l’avvento del nuovo Vescovo, Giovanni D’Ascenzi (dicembre 1975) e l’esperienza dei campi-scuola regionali (quelli che ricordo vanno dal 1972 al 1978), griglia di partenza di quelli diocesani (dal 1977).

Il nuovo vescovo dette la sveglia e provocò la scossa necessaria. Specie attraverso i Convegni di Palidoro (ma anche quelli successivi di Triana, Pitigliano, Orbetello) l’azione della nostra Chiesa fu messa a ferro e a fuoco, nel senso che tutta la sua pastorale fu sottoposta ad un vaglio molto accurato e furono individuati i passi idonei a produrre il cambiamento.
Non pochi di questi passi prevedevano il coinvolgimento diretto dei laici e delle loro organizzazioni, Azione Cattolica in primis, ma anche di categoria (maestri, insegnanti, universitari, medici, lavoratori) sia nella fase della testimonianza che in quella della elaborazione pastorale: videro la luce i primi Consigli Pastorali Diocesani, composti da molti laici, anche di provenienza, per così dire, extra-moenia. Il primo del 1977 era articolato in 20 sacerdoti, 6 suore e 27 laici, oltre al Vescovo.

Forte spirava il vento della diocesanità e questo lo percepivano anche i cristiani laici, invitati ad ampliare i propri orizzonti localistici.
Molta attenzione fu posta nell’analisi e nella terapia per la evangelizzazione della popolazione di campagna, allora ancora numerosa.

Nel settembre del 1977 fu addirittura costituito il Comitato Permanente per la promozione socio-culturale della montagna amiatina, alla luce della perdurante crisi economica e occupazionale di quella zona.
Nel marzo 1979 una serie di interessanti conversazioni sull’occupazione giovanile, l’Europa e di natura religiosa videro la presenza di relatori d’eccezione, come Giuseppe De Rita, Cesare Dall’Oglio, Mario I. Castellano, Pietro Pavan.

Durante il marzo del 1982 vide la luce il primo incontro di laici cattolici (corredato da due opuscoli dai titoli significativi: “Per una presenza attiva ed efficace della nostra Chiesa nella società” e “Missione dei laici nella Chiesa e nella società”), nel quale il Vescovo – dopo avere enucleato una serie di problemi della nostra zona (invecchiamento, disoccupazione-emigrazione giovanile, denatalità, distacco tra sociale e politico) – ricordava: “mio dovere è denunciare i problemi e suscitare la vostra sensibilità all’impegno serio per risolverli con spirito di servizio per amore della giustizia”. Ed invitava i laici cristiani a “conoscere bene, e perciò studiare, lo squilibrio e le distorsioni presenti nel nostro territorio, ricercarne le cause vere e profonde, così da proporre rimedi efficaci”, ad “acquisire una conoscenza adeguata della Dottrina sociale della Chiesa” ed a “lavorare uniti per una presenza efficace”.

La nostra Chiesa, insomma, si apriva al mondo, al sociale, alle professioni, spingeva per la creazione di cooperative giovanili, dialogava e sfidava il mondo della politica sia nella parte più istituzionale, allora egemonizzata da personale comunista e socialista, che in quello partitico con l’allora naturale riferimento alla DC sempre più in fase di consunzione.
Con in mano la dottrina sociale cristiana – presentata in diversi corsi o giornate di riflessione e aggiornamento - la Chiesa diocesana, specie nel suo vertice - appariva all’avanguardia anche rispetto a chi aveva fatto fino allora del progresso e dell’uguaglianza il proprio vessillo.
In campo culturale e formativo nacquero i centri Tre Fontane di Orbetello, Fortezza Orsini di Pitigliano, Silvio Piccolomini di Triana.

L’entusiasmo fu tanto, la sorpresa fu enorme e le resistenze lo furono altrettanto. Non sorpresero quelle esterne, colpirono quelle interne.
Non è questa la sede per un bilancio di quella stagione – ricca di tante altre iniziative – ma da lì scaturì la spinta iniziale ad un rinnovato impegno dei laici cristiani nella chiesa e nella società, dalla quale non si sarebbe più tornati indietro. Anche se nel concreto di alcuni protagonisti laici di quel periodo in seguito si verificò un ritorno ai ranghi di partenza: chi all’esterno, allontanandosi progressivamente dalla vita ecclesiale quotidiana, chi all’interno, allontanandosi dalla vita sociale. Con danno reciproco. E le associazioni cristiane di categoria languirono sino all’estinzione.
Stefano Gentili

martedì 9 agosto 2011

UN PO’ DI STORIA DI LAICI (4). LA NOSTRA CHIESA DIOCESANA HA VISSUTO QUESTO PERIODO…COME HA POTUTO

O meglio, come le forze e le convinzioni del momento gli consentivano di viverlo e, quindi, ora prendendo il toro per le corna ora tentando di schivarlo. Talvolta agendo più in solitaria, tal’altra usufruendo dell’apporto regionale e nazionale, specie grazie al contributo offerto dall’Azione Cattolica diocesana, associazione che per una lunga fase dei citati 35 anni (e a mio parere ancora oggi) ha rappresentato il fulcro della vita laicale associata.
E’ in questo grande sforzo della nostra chiesa diocesana di essere testimone sempre più autentica del suo Signore nel vortice di un cambiamento, a volte tellurico, che si inserisce la vicenda dei cristiani laici della diocesi.

Se dovessi ricordare in estrema sintesi i principali eventi e fatti che hanno potuto influenzare la vita dei nostri laici direi i seguenti:
•i Convegni diocesani di Palidoro e seguenti,
•i Corsi sociali e sulla Dottrina sociale cristiana,
•l’esperienza dei Campi-scuola diocesani e regionali,
•l’accompagnamento che l’Azione Cattolica ha assicurato per lungo tempo alla formazione dei Gruppi parrocchiali giovanili e le occasioni formative che la stessa ha promosso mediante incontri con responsabili nazionali e regionali preparati e testimoni,
•il rinnovamento della Catechesi, specie attraverso i convegni annuali dei catechisti,
•la nascita del settimanale diocesano Confronto,
•l’organizzarsi della Caritas nelle singole parrocchie,
•la Scuola di formazione all’impegno sociale e politico,
•il Sinodo diocesano e le sollecitazioni del Vescovo Mario.
Alcuni di questi sono stati veri e propri eventi ecclesiali, altri settoriali e qualcuno di nicchia; non è facile quindi misurare l’influenza provocata sul laicato cristiano, anche perché il termometro non è del tutto nelle nostre mani (mi soffermerò, in seguito, sui tre avvenimenti che ritengo più significativi).

Certo è, almeno ai miei occhi, che cambiamenti, crescite, conversioni ci sono state; non hanno coinvolto masse sterminate di fedeli, ma sono transitate nel profondo delle coscienze di tanti singoli laici che, in un tempo difficile, hanno maturato scelte di vita impegnative e significative.

E non era facile, anche perché si veniva da una fase diocesana delicata quanto ai laici: questo almeno mi sembrò di comprendere quando, da poco maggiorenne, fui scelto come Presidente diocesano e scaraventato nell’arena. Scegliere un diciannovenne come presidente dell’AC unitaria poteva essere dettato dal coraggio o dalla disperazione (mi si passi il termine). Forse entrambi, ma ciò non toglie che stessero ad indicare la difficoltà di acquisire disponibilità o la necessità di produrre forti cambiamenti.
In effetti, dal 1970 al 1976 l’AC diocesana era passata da 1372 a 587 iscritti e il gruppo dei laici più impegnati di allora, perlopiù costituito da giovani-adulti, per motivi di lavoro dovette lasciare la diocesi e, forse, la parte più adulta risentiva ancora molto di una educazione pre-conciliare che faticava ad innestare i cambiamenti che la Chiesa italiana post-conciliare e l’Azione Cattolica della scelta religiosa reclamavano.

Non che a livello parrocchiale non vi fossero belle figure laicali. Anzi, uomini e specialmente donne di profonda spiritualità, senso della chiesa, attente al prossimo, specie quello più bisognoso, costellarono la vita di alcune parrocchie. Qualcuna ci ha lasciato, altre sono ancora con il testimone in mano a condurre la buona battaglia.
Ma certo, il numero era troppo esiguo, soprattutto rispetto al corpo cattolico ancora molto tradizionalista, per sopportare lo sforzo che ci attendeva: convertirsi come singoli e come comunità ecclesiale alla Chiesa tratteggiata dal Concilio Vaticano II, anche per quel che riguardava la vocazione e il ruolo dei laici.
Stefano Gentili

lunedì 8 agosto 2011

UN PO’ DI STORIA DI LAICI (3). I BUONI SEMI DEL PASSATO

Non è questa la sede per ricostruire la storia del laicato diocesano, né io sarei la persona adatta a farlo. Posso però rammentare alcuni passaggi che hanno coinvolto più o meno direttamente i laici da quando, nel 1976, fui nominato presidente diocesano dell’Azione Cattolica. Trentacinque anni che mi hanno visto partecipe dapprima molto interno alle cose ecclesiali, poi sempre più diretto verso quello che si è soliti chiamare mondo.

Periodo dal quale si pose fine alle amministrazioni apostoliche e la diocesi ebbe di nuovo un Vescovo tutto per sé, prese consistenza territoriale - dopo aver lasciato sul campo le parrocchie di Alberese e Rispescia (11.02.1976) - dapprima, con l’inclusione delle parrocchie di S. Fiora, Bagnolo e Bagnore (28.10.1977), poi con l’aggiunta dell’Abbazia delle Tre Fontane (10.06.1981) e assunse una fisionomia definitiva che successivi scossoni non sono stati in grado di sfigurare.

Periodo che ha visto il succedersi di quattro Vescovi, Giovanni D’Ascenzi (1975-1983), Eugenio Binini (1984-1991), Giacomo Babini (1992-1996), Mario Meini (1996-2010) ciascuno con una sua spiccata fisionomia, personalità, spiritualità e impostazione pastorale.

Periodo che ci ha fatto assistere ad un significativo ricambio di sacerdoti con la progressiva perdita di centralità dei preti ordinati nell’immediato dopoguerra fino al termine degli anni 60’, l’avvento di quelli ordinati a cavallo del Concilio fino al decennio successivo, l’ingresso di quelli che per diversi anni sono stati chiamati i preti giovani (dal 1981 al 1994), sino ai …giovanissimi sacerdoti.

Periodo nel quale cambiamenti sociali, economici, politici, culturali hanno profondamente cambiato l’uomo, la società e gli stili di vita, anche delle aree apparentemente più marginali come la nostra, modificando il comportamento religioso e l’atteggiamento nei riguardi della fede, specie delle giovani generazioni.

Periodo dove il non lontano evento conciliare e le prime realizzazioni del post-concilio reclamavano notevoli cambi di passo nelle chiese diocesane quanto al loro essere e al loro porsi nei confronti del mondo, richiedevano un personale ecclesiastico e laico più attento ai messaggi, criptati o rumorosi, che provenivano da una società in profondo cambiamento.
Stefano Gentili

domenica 7 agosto 2011

UN PO’ DI STORIA DI LAICI (2). IL TANTO BENE CHE C’È OGGI NEL LAICATO CATTOLICO

La molla del disagio richiamata nel precedente post non annebbia la vista e non impedisce di vedere il tanto bene che c’è nel laicato cattolico della diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello.
Basta volgere lo sguardo al variegato panorama offerto dalla testimonianza dei fedeli cristiani laici ed è possibile vedere, oggi, l’Azione Cattolica, della quale la Chiesa non può fare a meno, le altre aggregazioni laicali (Cursillos de Cristianidad, Cammino neocatecumenale, Acli, Agesci, Scout d’Europa, Anspi, Csi, Unitalsi, Rinnovamento nello spirito, volontariati, apostolati, Terz’ordine francescano secolare, società, gruppi di preghiera e quelle dedicate ad aspetti ancora più specifici) frutto maturo della libertà riconosciuta ai laici nel contesto dell’ecclesiologia di comunione e risposta alla varietà dei carismi che lo Spirito suscita.

E’ facile notare anche tutti gli altri laici, non consociati, che rappresentano gran parte dei fedeli della Diocesi e costituiscono il tessuto basilare della comunità della Chiesa.
Non sono moltissime persone, specie quelle aggregate non sono le falangi di un tempo, ma sono sicuramente donne e uomini, animati da autentico spirito cristiano, che collaborano con il vescovo e i sacerdoti nella evangelizzazione e nella crescita della Chiesa, si potrebbe dire - parafrasando la Lumen gentium 33 - “alla maniera di quegli uomini e quelle donne che aiutavano l’apostolo Paolo nel Vangelo e faticavano molto per il Signore”.
Stefano Gentili

sabato 6 agosto 2011

UN PO’ DI STORIA DI LAICI (1). IL SANO DISAGIO DEI CRISTIANI LAICI

Partiamo dal fondo. Pochi mesi prima che giungesse la notizia della nomina di Mons. Mario Meini a Vescovo della diocesi di Fiesole il Consiglio Pastorale della diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello aveva deciso di dedicare il piano pastorale dell'anno 2010-2011 ai “fedeli cristiani laici”. C’era stata inizialmente qualche perplessità, ma in seguito - specie dietro la spinta di alcuni laici - l’idea era passata all’intero consiglio anche se andavano discusse le modalità realizzative.

Nello stesso tempo, un gruppo di circa 30 laici aveva iniziato a riflettere sulla “questione cristiani laici” con tre incontri da gennaio a marzo del 2010 all’insegna del discernimento e della parresia (franchezza). Il perché lo esplicitarono nel primo incontro prendendo a prestito recenti parole di P. Bartolomeo Sorge.
Perché “senza laici cristiani preparati e maturi verrebbe meno un contributo essenziale alla crescita civile e umana della nostra società. Saranno soprattutto essi a sostenere il dialogo interculturale, necessario per creare l'ethos comune di cui ha bisogno l'umanità del terzo millennio in via di globalizzazione, nel rispetto del pluralismo e della laicità della politica e della cultura, in modo da accompagnare e orientare in senso autenticamente umano l'inarrestabile sviluppo tecnico e scientifico dei nostri giorni”.

“Nello stesso tempo, per quanto riguarda la missione della Chiesa, soltanto la presenza di un laicato maturo, capace di leggere con fede i ‘segni dei tempi’ e di rispondere con coerenza e competenza alle sfide sociali della nuova evangelizzazione, potrà impedire che la comunità cristiana ceda alla tentazione, in cui altre volte è caduta, di ripiegarsi su se stessa, di chiudersi a riccio di fronte agli attacchi frontali e alle difficoltà con cui è chiamata a misurarsi”. (P. Bartolomeo Sorge, La staffetta del 60°, in Aggiornamenti Sociali, dicembre 2009).
A cui aggiunsero, a livello, ancor più esistenziale, il desiderio di vivere felicemente il cristianesimo come laici; di far sì che i laici cristiani della nostra diocesi potessero riscoprire la gioia di essere cristiani coerenti con la chiamata che viene loro fatta; di riuscire a comunicare, specie ai più giovani, il fascino e l’importanza della proposta cristiana ordinaria.

Come era maturata la scelta del Consiglio pastorale diocesano?
La genesi era rintracciabile nell’azione di in un piccolo gruppo di persone (una parte dei trenta) che aveva avuto il coraggio di fare emergere il serpeggiante disagio presente in alcuni laici e qualche presbitero e che trovava riscontro nell’imbarazzo che si era già manifestato a livello nazionale e in non poche chiese locali: quello di non riuscire a pensare e a vivere una laicità cristiana matura.
Disagio che si rivolgeva in primo luogo nei confronti degli stessi laici, perché si vedevano incapaci di uscire da una situazione considerata insoddisfacente per se stessi, per la comunità ecclesiale, per la società. Insomma, per usare l’espressione tratta da un recente libro di Fulvio De Giorgi, questo gruppo di laici si sognava “cigno” e si vedeva “brutto anatroccolo”.
In realtà, a mio parere, la non lontana esperienza del Sinodo Diocesano stava dando i primi frutti spingendo ad una lettura in controluce e nel profondo della propria esperienza.
Stefano Gentili