Partiamo dal fondo. Pochi mesi prima che giungesse la notizia della nomina di Mons. Mario Meini a Vescovo della diocesi di Fiesole il Consiglio Pastorale della diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello aveva deciso di dedicare il piano pastorale dell'anno 2010-2011 ai “fedeli cristiani laici”. C’era stata inizialmente qualche perplessità, ma in seguito - specie dietro la spinta di alcuni laici - l’idea era passata all’intero consiglio anche se andavano discusse le modalità realizzative.
Nello stesso tempo, un gruppo di circa 30 laici aveva iniziato a riflettere sulla “questione cristiani laici” con tre incontri da gennaio a marzo del 2010 all’insegna del discernimento e della parresia (franchezza). Il perché lo esplicitarono nel primo incontro prendendo a prestito recenti parole di P. Bartolomeo Sorge.
Perché “senza laici cristiani preparati e maturi verrebbe meno un contributo essenziale alla crescita civile e umana della nostra società. Saranno soprattutto essi a sostenere il dialogo interculturale, necessario per creare l'ethos comune di cui ha bisogno l'umanità del terzo millennio in via di globalizzazione, nel rispetto del pluralismo e della laicità della politica e della cultura, in modo da accompagnare e orientare in senso autenticamente umano l'inarrestabile sviluppo tecnico e scientifico dei nostri giorni”.
“Nello stesso tempo, per quanto riguarda la missione della Chiesa, soltanto la presenza di un laicato maturo, capace di leggere con fede i ‘segni dei tempi’ e di rispondere con coerenza e competenza alle sfide sociali della nuova evangelizzazione, potrà impedire che la comunità cristiana ceda alla tentazione, in cui altre volte è caduta, di ripiegarsi su se stessa, di chiudersi a riccio di fronte agli attacchi frontali e alle difficoltà con cui è chiamata a misurarsi”. (P. Bartolomeo Sorge, La staffetta del 60°, in Aggiornamenti Sociali, dicembre 2009).
A cui aggiunsero, a livello, ancor più esistenziale, il desiderio di vivere felicemente il cristianesimo come laici; di far sì che i laici cristiani della nostra diocesi potessero riscoprire la gioia di essere cristiani coerenti con la chiamata che viene loro fatta; di riuscire a comunicare, specie ai più giovani, il fascino e l’importanza della proposta cristiana ordinaria.
Come era maturata la scelta del Consiglio pastorale diocesano?
La genesi era rintracciabile nell’azione di in un piccolo gruppo di persone (una parte dei trenta) che aveva avuto il coraggio di fare emergere il serpeggiante disagio presente in alcuni laici e qualche presbitero e che trovava riscontro nell’imbarazzo che si era già manifestato a livello nazionale e in non poche chiese locali: quello di non riuscire a pensare e a vivere una laicità cristiana matura.
Disagio che si rivolgeva in primo luogo nei confronti degli stessi laici, perché si vedevano incapaci di uscire da una situazione considerata insoddisfacente per se stessi, per la comunità ecclesiale, per la società. Insomma, per usare l’espressione tratta da un recente libro di Fulvio De Giorgi, questo gruppo di laici si sognava “cigno” e si vedeva “brutto anatroccolo”.
In realtà, a mio parere, la non lontana esperienza del Sinodo Diocesano stava dando i primi frutti spingendo ad una lettura in controluce e nel profondo della propria esperienza.
Stefano Gentili
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