IL DECALOGO DEL LAICO DI AZIONE CATTOLICA
Nel 1973 si conclude l’opera di rinnovamento.
Emblematici della corrispondenza della nuova struttura dell'ACI e del suo progetto formativo al profilo di laico, voluto dalla Chiesa del Concilio, sono le dichiarazione di Bachelet, davanti al papa, dell'obbedienza in piedi degli aderenti all'associazione e soprattutto il decalogo del laico di ACI, che Paolo VI consegna all'associazione proprio in quell’anno (1).
Analizzando questa suggestiva dichiarazione d’amore sarà facile comprendere il carisma dell’AC.
1. LA MISSIONE DELL’AC E’ LA MISSIONE DELLA CHIESA
Paolo VI parte dalla natura e dallo scopo dell’Azione Cattolica: la sua missione è la missione stessa della Chiesa. Come dice lo Statuto, l’Azione Cattolica si impegna per la realizzazione del fine generale apostolico della Chiesa (2). E questo era già stato sottolineato nella Premessa allo Statuto stesso: ciò che caratterizza l’Azione Cattolica è infatti l’assumere, come propria finalità essenziale, non questo o quel campo di apostolato, ma il fine stesso apostolico della Chiesa nella sua globalità.
L’AC ha davanti a sé un compito straordinariamente alto, che il Concilio ha così sintetizzato, come il primo dei contrassegni delle varie forme di apostolato di Azione Cattolica: l’evangelizzazione e la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza, in modo da impregnare dello spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti (3).
2. L’AC E’ A SERVIZIO DELLA CHIESA LOCALE
Però questa collaborazione potrebbe anche rimanere nel vago, nella sfera delle buone intenzioni, se non trovasse concreta e stimolante applicazione nella realtà quotidiana: il che significa che l’Azione Cattolica è e deve essere al servizio nella Chiesa locale (4).
Si abituino i laici ad agire, nella parrocchia, in intima unione con i loro sacerdoti; apportino alla comunità della Chiesa i propri problemi e quelli del mondo ....diano secondo le proprie possibilità il loro contributo a ogni iniziativa apostolica e missionaria della propria famiglia ecclesiastica (5).
3. L’AC E’ SPIRITO DI COMUNIONE
Questa partecipazione alle esigenze di tutto il fronte dell’apostolato mette in luce quel carattere comunitario dell’Azione Cattolica, che è anch’esso, secondo il Concilio, una sua nota caratteristica: i laici agiscono uniti a guisa di corpo organico affinché sia meglio espressa la comunità delle Chiese e l’apostolato riesca efficace (6).
È questo il modo di vivere, oggi, quella comunanza fraterna, quella koinonia (Atti 2, 42) che fu alle origini il segno più evidente della Chiesa, e che deve far riconoscere i cristiani generosi nelle mutazioni e nelle contraddizioni del mondo di oggi.
4. L’AC COLLABORA CON LA GERARCHIA
Ribadisce il Papa che senza la collaborazione con la Gerarchia ecclesiastica non si dà Azione Cattolica: il Concilio Vaticano II è stato esplicito su questo punto quando ha richiesto sia la collaborazione con la Gerarchia, sia la superiore guida di questa come note caratteristiche perché vi sia Azione Cattolica (7).
Bene fa perciò lo Statuto a ribadire il principio fino dal numero 1; e, nel darne la definizione al numero 5, esso traccia un vero programma di vita, inquadrato in una visione profondamente teologica e pastorale: L’Azione Cattolica Italiana, per realizzare il proprio servizio alla costruzione e missione del Popolo di Dio, collabora direttamente con la Gerarchia, posta dal Signore a reggere la Chiesa, in un rapporto di piena comunione e fiducia. Accoglie con aperta disponibilità la sua guida e le offre con responsabile iniziativa il proprio organico e sistematico contributo per l’unica pastorale della Chiesa. Collabora alla crescita della comunione fra laici, clero e Vescovi.
La collaborazione con la Gerarchia ecclesiastica si rende meglio visibile e operante nella presenza, in mezzo all’associazione, dell’Assistente Ecclesiastico.
Lo Statuto ne traccia esaurientemente la fisionomia e il posto entro la vita dell’Associazione di Azione Cattolica, come di colui che contribuisce ad alimentare la vita spirituale ed il senso apostolico e a promuoverne l’unità (8).
5. LA NECESSITA’ DI CONOSCERE LA TEOLOGIA DEL LAICATO
Come abbiamo richiesto un inserimento nella ecclesiologia del Concilio Vaticano II, - annota ancora Papa Paolo VI - così pensiamo che non si possa dare vera Azione Cattolica senza un adeguato approfondimento della natura e della posizione del laico nella Chiesa: diciamo pure, senza una conoscenza compiuta della teologia del laicato, richiesta dal tempo nostro.
La lettura dello Statuto scopre grandi ricchezze in questa direzione, che sarebbero incomprensibili senza questa necessaria conoscenza teologica. Così avviene quando si parla dell’impegno dei laici a formarsi all’apostolato nella loro specifica condizione di vita (9), a collaborare alla missione della Chiesa secondo il modo loro proprio portando la loro esperienza ed assumendo la loro responsabilità nella vita dell’Associazione; a testimoniare nella loro vita l’unione con Cristo e ad informare allo spirito cristiano le scelte da loro compiute, con propria personale responsabilità, nell’ambito delle realtà temporali.
Peraltro il Concilio ha distinto bene, nel Decreto sull’apostolato dei laici, il laicato cattolico e l’Azione Cattolica, la quale unisce più strettamente i laici all’apostolato gerarchico e rende più prezioso il loro contributo alla diffusione del regno di Cristo, in virtù delle quattro note caratteristiche, che secondo il Decreto Apostolicam Actuositatem (10) devono coesistere insieme perché l’azione laicale diventi vera Azione Cattolica. Dimenticare quelle note vorrebbe dire esporre l’Azione Cattolica a perdere la sua identità.
6. LA RESPONSABILITA’ DEL LAICATO DI AZIONE CATTOLICA
Ma v’è di più, carissimi figli – annota ancora Paolo VI. La Chiesa stessa vi dà fiducia; la Chiesa vi chiama. Non è poco ciò ch’ella attende da voi! Non vi richiede solo una vaga presenza, una testimonianza nebulosa, o un impegno a parole: ella vi affida se stessa e il suo avvenire!
L’Azione Cattolica, infatti, è chiamata dal Concilio a collaborare "per piantare la Chiesa e per lo sviluppo della comunità cristiana" insieme con altri tipi specifici di ministero - sacerdoti, diaconi, catechisti, religiosi e religiose - "che, suscitati nell’ambito stesso dei fedeli da una vocazione divina, debbono essere da tutti promossi e rispettati con cura premurosa" (11). Quale impegno è dunque questo!
E’ alla luce di questa particolare vocazione che Paolo VI si impegnerà in una straordinaria definizione. Affermerà in modo solenne “la particolare rilevanza dell’Azione Cattolica che, in quanto collaborazione dei laici all’apostolato gerarchico della Chiesa, ha un posto non storicamente contingente, ma teologicamente motivato nella struttura ecclesiale” (12).
Per una collaborazione così alta, preziosa, "che vi associa, ovunque voi siate, intimamente alla natura e alla vocazione apostolica e missionaria della Chiesa" ricorda il Papa, è pertanto necessaria una solida preparazione interiore affinché l’Azione Cattolica mantenga la sua "ispirazione spirituale-religiosa", come Paolo VI l’aveva definita nella Lettera del 10 ottobre 1969 per l’approvazione dello Statuto.
Così vede con grande soddisfazione che l’art. 13 dello Statuto presenta il dovere di contribuire alla realizzazione delle finalità dell’Associazione con la preghiera e con il sacrificio, con lo studio e con l’azione.
7. IL VALORE DELLA PREGHIERA. Essa è l’anima di ogni apostolato, e perciò, se mancasse, l’Azione Cattolica verrebbe a essere privata della sua spina dorsale.
8. LA NECESSITA’ DEL SACRIFICIO. In un momento in cui la mentalità permissiva ed edonistica sembra aver infiacchito le volontà con l’esaltazione dell’istinto e del capriccio, occorre richiamare l’impegno comune - e specialmente dei giovani, tanto generosi per natura - al significato del sacrificio come valore formativo della persona umana.
9. L’IMPORTANZA DELLO STUDIO. Lo studio è importante perché oggi, come ieri, l’apostolato è difficile, è contrastato, suppone convinzioni profonde e durature: e le convinzioni non si improvvisano, né si affidano alla labile carica del sentimento, ma esigono una solida preparazione della mente insieme con l’allenamento della volontà.
10. L’AZIONE. Infine, l’azione: "che è il vostro appellativo per antonomasia, e sgorga incoercibile dalla ricchezza interiore, alimentata dalle fonti spirituali che vi abbiamo finora descritte.
L’azione vi chiama a dare la testimonianza a Cristo nell’impegno apostolico e temporale, con propria personale responsabilità" (13).
Lo Statuto, ispirandosi al Concilio, "vi ha dischiuso tutto il campo delle realtà temporali, in cui, come laici, potete e dovete essere presenti".
(1) Paolo VI, Discorso ai delegati dell’Azione Cattolica Italiana, 22 settembre 1973.
(2) Statuto dell’Azione Cattolica Italiana, 1969, n. 1.
(3) Apostolicam Actuositatem, 20.
(4) Statuto dell’Azione Cattolica Italiana, 1969, n. 6.
(5) Apostolicam Actuositatem, 10.
(6) Apostolicam Actuositatem, 20.
(7) Cfr. Apostolicam Actuositatem, 20, b, d.
(8) Statuto dell’Azione Cattolica Italiana, 1969, n. 10.
(9) Statuto dell’Azione Cattolica Italiana, 1969, n. 3.
(10) Apostolicam Actuositatem, 20:
a) Fine immediato di tali organizzazioni è il fine apostolico della Chiesa, cioè l'evangelizzazione e la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza, in modo che riescano ad impregnare dello spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti.
b) I laici, collaborando con la gerarchia secondo il modo loro proprio, portano la loro esperienza e assumono la loro responsabilità nel dirigere tali organizzazioni, nel ponderare le circostanze in cui si deve esercitare l'azione pastorale della Chiesa e nella elaborazione ed esecuzione del loro programma di azione.
c) I laici agiscono uniti a guisa di corpo organico, affinché sia meglio espressa la comunità della Chiesa e l'apostolato riesca più efficace.
d) Questi laici, sia che si offrano spontaneamente, o siano invitati all'azione e alla cooperazione diretta con l'apostolato gerarchico, agiscono sotto la superiore direzione della gerarchia medesima, la quale può sancire tale cooperazione anche per mezzo di un “ mandato ” esplicito.
(11) Ad Gentes, n. 15.
(12) Paolo VI, Discorso ai partecipanti all’Assemblea Nazionale dell’ACI, 25 aprile 1977.
(13) Statuto dell’Azione Cattolica Italiana, 1969, n. 3.
Questo decimo post è l'ultimo della serie. Saluto con affetto e...ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
martedì 22 novembre 2011
domenica 20 novembre 2011
9. L’AZIONE CATTOLICA CONCILIARE TRA STORIA E TEOLOGIA
IL METODO DELLA REVISIONE DI VITA
Il secondo tratto che caratterizza questo periodo di trasformazione può essere ravvisato nello sforzo di elaborare un itinerario educativo globale. Questo sforzo porta anche all’assunzione del cosiddetto metodo della revisione di vita.
E’ un metodo che si propone di promuovere una crescita della Chiesa nel mondo, tra i giovani e gli adulti, attraverso un’interpretazione della realtà fatta alla luce del Vangelo. E’ anche di più: è una spiritualità laicale, orientata a formare la persona, credente, responsabile, protagonista della sua esistenza e del cambiamento del mondo, alla luce della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa.
La revisione di vita è un metodo di lettura cristiana dei fatti quotidiani sorto in Belgio tra le due guerre all'interno dei gruppi giovanili di Azione Cattolica Operaia, la J.O.C. (1). Esso richiama la centralità della vita. Dichiarava il suo inventore Joseph-Léon Cardijn: ”Niente definizioni astratte: che cosa è la società, il lavoro, il salario, il sindacato… E’ necessario raccontare, ripetere episodi, fatti, avvenimenti…, ma concretamente, in modo vivace… E’ necessario rendere tutti coscienti dei problemi sollevati dalla loro vita specifica, dal loro lavoro: dove lavorate? Come siete arrivati a questo lavoro? Come siete trattati? E, sempre in modo vivace, è necessario risalire ai principi, scendere alla conclusione, alla condotta da seguire, al comportamento da tenere”.
Acquisizione piena della lettura dei segni dei tempi e rivoluzione mentale da porre in atto. Mica poco!
IL PROGETTO FORMATIVO APOSTOLICO
Quanto detto doveva portare - è un altro elemento caratterizzante le scelte statutarie - a indicare la primaria importanza di un progetto formativo apostolico, inteso a trasformare l'adesione all'associazione in scelta, in scelta di vita, per raggiungere una sicura qualità ecclesiale e umana in un impegno solidale nella Chiesa e nella società.
Tale itinerario di crescita personale e collettiva, correlato ovviamente all'età e all'ambiente, trovava un punto essenziale di riferimento nella catechesi riferita alla Parola di Dio, al magistero conciliare e sociale della Chiesa e alle linee pastorali della Cei.
(1) La revisione di vita è una riflessione guidata, con un metodo preciso, di cui l'essenziale consiste nel l'esaminare un fatto o un problema e nel rileggerlo o rivederlo in tre momenti successivi ben distinti tra loro:
1 ) Si analizza il fatto nelle sue componenti umane e motivazionali = VEDERE
2) Si tenta di darne una lettura e interpretazione di fede, ricorrendo al Vangelo = GIUDICARE
3) Ci si impegna a tradurre in cambiamento di mentalità e in azione concreta il frutto del giudizio venuto dalla Parola = AGIRE
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
Il secondo tratto che caratterizza questo periodo di trasformazione può essere ravvisato nello sforzo di elaborare un itinerario educativo globale. Questo sforzo porta anche all’assunzione del cosiddetto metodo della revisione di vita.
E’ un metodo che si propone di promuovere una crescita della Chiesa nel mondo, tra i giovani e gli adulti, attraverso un’interpretazione della realtà fatta alla luce del Vangelo. E’ anche di più: è una spiritualità laicale, orientata a formare la persona, credente, responsabile, protagonista della sua esistenza e del cambiamento del mondo, alla luce della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa.
La revisione di vita è un metodo di lettura cristiana dei fatti quotidiani sorto in Belgio tra le due guerre all'interno dei gruppi giovanili di Azione Cattolica Operaia, la J.O.C. (1). Esso richiama la centralità della vita. Dichiarava il suo inventore Joseph-Léon Cardijn: ”Niente definizioni astratte: che cosa è la società, il lavoro, il salario, il sindacato… E’ necessario raccontare, ripetere episodi, fatti, avvenimenti…, ma concretamente, in modo vivace… E’ necessario rendere tutti coscienti dei problemi sollevati dalla loro vita specifica, dal loro lavoro: dove lavorate? Come siete arrivati a questo lavoro? Come siete trattati? E, sempre in modo vivace, è necessario risalire ai principi, scendere alla conclusione, alla condotta da seguire, al comportamento da tenere”.
Acquisizione piena della lettura dei segni dei tempi e rivoluzione mentale da porre in atto. Mica poco!
IL PROGETTO FORMATIVO APOSTOLICO
Quanto detto doveva portare - è un altro elemento caratterizzante le scelte statutarie - a indicare la primaria importanza di un progetto formativo apostolico, inteso a trasformare l'adesione all'associazione in scelta, in scelta di vita, per raggiungere una sicura qualità ecclesiale e umana in un impegno solidale nella Chiesa e nella società.
Tale itinerario di crescita personale e collettiva, correlato ovviamente all'età e all'ambiente, trovava un punto essenziale di riferimento nella catechesi riferita alla Parola di Dio, al magistero conciliare e sociale della Chiesa e alle linee pastorali della Cei.
(1) La revisione di vita è una riflessione guidata, con un metodo preciso, di cui l'essenziale consiste nel l'esaminare un fatto o un problema e nel rileggerlo o rivederlo in tre momenti successivi ben distinti tra loro:
1 ) Si analizza il fatto nelle sue componenti umane e motivazionali = VEDERE
2) Si tenta di darne una lettura e interpretazione di fede, ricorrendo al Vangelo = GIUDICARE
3) Ci si impegna a tradurre in cambiamento di mentalità e in azione concreta il frutto del giudizio venuto dalla Parola = AGIRE
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
sabato 19 novembre 2011
8. L’AZIONE CATTOLICA CONCILIARE TRA STORIA E TEOLOGIA
LA RIFONDAZIONE ORGANIZZATIVA
Intanto occupiamoci della rifondazione organizzativa tesa fortemente a sostanziare la prima scelta strategica di questo periodo: l’unificazione.
Dai rami dell’AC prima del nuovo Statuto – Unione Uomini di AC, Unione Donne di AC (UDACI) Gioventù Maschile di AC (GIAC) e Gioventù Femminile (GF), – scompare la distinzione per sesso e si creano i SETTORI GIOVANI E ADULTI, si rinnovano i MOVIMENTI DEGLI STUDENTI (1) e dei LAVORATORI (2).
Lo statuto lascia in sospeso la riconsiderazione dei Movimenti (FUCI (3), LAUREATI, MAESTRI), ma questi iniziano ugualmente un percorso innovativo che porterà il Movimento dei Maestri (4) a sciogliersi alcuni anni dopo ed a trasformarsi nel Movimento di impegno educativo di Azione Cattolica (MIEAC) e quello dei Laureati (5) a sfociare, nel 1980, nella fondazione del Movimento ecclesiale di impegno culturale (MEIC).
Di straordinario rilievo è la nascita dell’ACR. È un virgulto nuovo del fertile ceppo dei movimenti sorti dai rami dell’AC prima del nuovo Statuto. Erano i Fanciulli di AC.
La GF si occupava delle bambine: Angioletti e Piccolissime, Beniamine e Aspiranti alla Gioventù Femminile.
L’UDACI si occupava dei bambini: Fiamme Bianche, Verdi e Rosse.
La GIAC si occupava degli Aspiranti maggiori e minori alla Gioventù Maschile.
In quegli anni della fantasia al potere si avverte la necessità di unire le forze e rendere efficaci i capitali educativi acquisiti nel tempo per far fronte alla bufera della resa educativa e del qualunquismo. L’aver avuto alle spalle una ricchezza enorme rende possibile la trasformazione e il potenziamento.
L’ACR nasce forte, quindi, per eredità. Ma si mette anche subito all’opera per conservare e ampliare il capitale. Si dà un progetto educativo. Fa la scelta decisiva del Gruppo educatori. Punta inequivocabilmente al protagonismo dei ragazzi: protagonisti per vocazione e per grazia. A misura di ragazzi.
Il presidente Vittorio Bachelet ne traccia, nel 1971, un profilo straordinario che tira in ballo anche il modo di pensare degli adulti:
“Credo che l’aver fortemente richiamato la loro (dei ragazzi) dignità di cristiani e la ricchezza del dono che essi fanno alla comunità, è un grande servizio che l’AC rende non solo ai piccoli ma all’intera comunità cristiana. L’aver sottolineato questo dono, questa corresponsabilità attiva anche attraverso la forma dell’impegno associativo dei fanciulli e dei preadolescenti sottolinea infatti che anche essi sono non solo oggetto dell’azione pastorale, ma soggetti della costruzione della Chiesa partecipi a pieno titolo – e certamente a loro misura – della sua missione apostolica; e questa consapevolezza arricchisce tutta la Chiesa.
Se riusciremo a capire bene questo, non avremo reso un servizio solo ai più piccoli; infatti la presenza dei piccoli nell’AC aiuterà l’associazione stessa a capirsi e ad attuare meglio il suo compito.
Se noi capiremo come i ragazzi possono essere soggetti attivi nella Chiesa, capiremo anche come gli adulti possono essere soggetti attivi nella Chiesa. Perché io credo che noi qualche volta abbiamo le idee un po’ confuse su cosa significhi essere adulti o maturi nella Chiesa.
Quasi che questa maturità sia una sorta di acquisizione, di accumulo di esperienza, di capacità culturale o di semplice progresso di età. Mentre è la misura della corrispondenza della risposta di ciascuno alla chiamata e alle possibilità concrete che il Signore offre. E sono spesso non solo i più piccoli, ma anche i più semplici quelli che, nella Chiesa, hanno statura più grande; sono essi che hanno voce più attiva nella Chiesa, che è mistero di grazia. Per questo l’ACR può diventare una pagina di speranza non solo nella vita dell’AC, ma nella vita della Chiesa“ (6).
Infatti, come dirà il Vescovo Aldo Del Monte: “l’ACR ha stimolato il rinnovamento della catechesi in tutta la Chiesa italiana. Ha promosso la partecipazione attiva dei ragazzi alla Liturgia e ha offerto esperienze valide per una promozione della presenza dei ragazzi nella vita delle comunità” (7).
A livello nazionale, diocesano e parrocchiale nuovi organi prendono il posto dei precedenti al ’69: l’Assemblea, il Consiglio, la Presidenza, il Presidente. Viene istituito il Delegato regionale eletto dal Consiglio regionale.
Ma c’è di più. C’è anche il fatto che la sua struttura organizzativa è tutta articolata sulla natura democratica della vita associativa e della designazione dei responsabili, con la parità tra uomo e donna e con un profilo nazionale rispettoso, anzi rafforzato dalle autonomie locali diocesane e parrocchiali.
(1) Nel 1910, all'interno della Società della Gioventù cattolica sono previsti i primi circoli di studenti chiamati ad essere sale e luce nel mondo della scuola, marcandone la finalità missionaria. Qualche anno più tardi, nel 1925, nasce la Jec, l'organizzazione europea che vuole collegare i movimenti di studenti di Azione Cattolica dei vari Paesi. A partire dal 1935, si consolida l'esperienza di un Movimento di studenti con propri dirigenti, una propria struttura, un proprio organo di stampa.
Nel 1954 nasce GS, la Gioventù Studentesca della Giac e della Gf. Dopo pochi anni, però, la sigla GS viene sostituita con quella di Movimento Studenti.
Anche perché sotto la guida di don Luigi Giussani, insegnante di religione presso il liceo classico Berchet di Milano, si avvia un percorso, diverso per metodo educativo, che condurrà alla nascita di Comunione e Liberazione.
Nel 1969 l'Azione Cattolica italiana si rinnova nello spirito del Concilio Vaticano II. Nasce, ufficialmente, il Msac, il Movimento Studenti di Azione Cattolica.
(2) Nato nel 1936, il Movimento Lavoratori è l’Azione Cattolica dei lavoratori. Costituisce l’espressione missionaria dell’AC nel mondo del lavoro.
(3) Dopo il Concilio Vaticano II, la FUCI avviò una grande riflessione sul proprio ruolo nell’Università, nella Chiesa e nella società: si confrontò, non senza contrasti, con i profondi rivolgimenti del ’68, e con la nascita di nuovi movimenti, quali Comunione e Liberazione. Visse alterne vicende negli anni ’70 e ’80, soffrendo dell’emorragia di iscritti e dei problemi economici propri di tutte le associazioni cattoliche di quegli anni, e tuttavia continuando con forza la propria attività di approfondimento culturale e di presenza nell’università, attività che conobbe un discreto rilancio alla fine degli anni ’80.
(4) Il Movimento maestri di Azione cattolica è costituito nel settembre del 1946 sul tronco dell’esperienza della Sezione maestri di Azione cattolica, sorta nel 1929, dopo lo scioglimento da parte del regime fascista di tutte le organizzazioni professionali e di categoria.
Nel 1990, con un’Assemblea costituente celebrata a Roma dal 6 all’8 dicembre, il Movimento maestri si scioglie per far sorgere il Movimento di impegno educativo di Azione cattolica (MIEAC), che ne raccoglie l’eredità.
Il rapporto con l’Azione cattolica è precisato su basi nuove nel Documento normativo che viene approvato al Congresso straordinario tenutosi a Grottaferrata nel 2004, in cui si definisce il Mieac come movimento esterno.
(5) Il Movimento laureati di Azione cattolica è fondato nel 1933 da Igino Righetti e Giovanni Battista Montini, all’epoca presidente e assistente della Federazione universitaria cattolica italiana portando a compimento il progetto di dare continuità alla formazione religiosa e intellettuale dei giovani fucini, dopo gli anni universitari, attraverso una specifica associazione.
Il processo di rinnovamento sviluppatosi tra “i laureati” nel periodo post-conciliare, ed in particolare negli anni del Convegno promosso dalla Chiesa italiana sul tema “Evangelizzazione e promozione umana” (1976), sfocia nel 1980 nella fondazione del Movimento ecclesiale di impegno culturale (MEIC), che, riallacciandosi alla tradizione, nella nuova denominazione e struttura intende essere un riferimento per il mondo culturale cattolico.
(6) Vittorio Bachelet, tratto da Il nuovo impegno, n.8, aprile ’71.
(7) Frase di Mons. Aldo Del Monte, dal 1963 assistente centrale dell’Unione Donne dell’Azione Cattolica e poi vice assistente dell’ACI, quando era direttore dell’Ufficio Catechistico Nazionale, parlando agli educatori e assistenti diocesani dell’ACR.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
Intanto occupiamoci della rifondazione organizzativa tesa fortemente a sostanziare la prima scelta strategica di questo periodo: l’unificazione.
Dai rami dell’AC prima del nuovo Statuto – Unione Uomini di AC, Unione Donne di AC (UDACI) Gioventù Maschile di AC (GIAC) e Gioventù Femminile (GF), – scompare la distinzione per sesso e si creano i SETTORI GIOVANI E ADULTI, si rinnovano i MOVIMENTI DEGLI STUDENTI (1) e dei LAVORATORI (2).
Lo statuto lascia in sospeso la riconsiderazione dei Movimenti (FUCI (3), LAUREATI, MAESTRI), ma questi iniziano ugualmente un percorso innovativo che porterà il Movimento dei Maestri (4) a sciogliersi alcuni anni dopo ed a trasformarsi nel Movimento di impegno educativo di Azione Cattolica (MIEAC) e quello dei Laureati (5) a sfociare, nel 1980, nella fondazione del Movimento ecclesiale di impegno culturale (MEIC).
Di straordinario rilievo è la nascita dell’ACR. È un virgulto nuovo del fertile ceppo dei movimenti sorti dai rami dell’AC prima del nuovo Statuto. Erano i Fanciulli di AC.
La GF si occupava delle bambine: Angioletti e Piccolissime, Beniamine e Aspiranti alla Gioventù Femminile.
L’UDACI si occupava dei bambini: Fiamme Bianche, Verdi e Rosse.
La GIAC si occupava degli Aspiranti maggiori e minori alla Gioventù Maschile.
In quegli anni della fantasia al potere si avverte la necessità di unire le forze e rendere efficaci i capitali educativi acquisiti nel tempo per far fronte alla bufera della resa educativa e del qualunquismo. L’aver avuto alle spalle una ricchezza enorme rende possibile la trasformazione e il potenziamento.
L’ACR nasce forte, quindi, per eredità. Ma si mette anche subito all’opera per conservare e ampliare il capitale. Si dà un progetto educativo. Fa la scelta decisiva del Gruppo educatori. Punta inequivocabilmente al protagonismo dei ragazzi: protagonisti per vocazione e per grazia. A misura di ragazzi.
Il presidente Vittorio Bachelet ne traccia, nel 1971, un profilo straordinario che tira in ballo anche il modo di pensare degli adulti:
“Credo che l’aver fortemente richiamato la loro (dei ragazzi) dignità di cristiani e la ricchezza del dono che essi fanno alla comunità, è un grande servizio che l’AC rende non solo ai piccoli ma all’intera comunità cristiana. L’aver sottolineato questo dono, questa corresponsabilità attiva anche attraverso la forma dell’impegno associativo dei fanciulli e dei preadolescenti sottolinea infatti che anche essi sono non solo oggetto dell’azione pastorale, ma soggetti della costruzione della Chiesa partecipi a pieno titolo – e certamente a loro misura – della sua missione apostolica; e questa consapevolezza arricchisce tutta la Chiesa.
Se riusciremo a capire bene questo, non avremo reso un servizio solo ai più piccoli; infatti la presenza dei piccoli nell’AC aiuterà l’associazione stessa a capirsi e ad attuare meglio il suo compito.
Se noi capiremo come i ragazzi possono essere soggetti attivi nella Chiesa, capiremo anche come gli adulti possono essere soggetti attivi nella Chiesa. Perché io credo che noi qualche volta abbiamo le idee un po’ confuse su cosa significhi essere adulti o maturi nella Chiesa.
Quasi che questa maturità sia una sorta di acquisizione, di accumulo di esperienza, di capacità culturale o di semplice progresso di età. Mentre è la misura della corrispondenza della risposta di ciascuno alla chiamata e alle possibilità concrete che il Signore offre. E sono spesso non solo i più piccoli, ma anche i più semplici quelli che, nella Chiesa, hanno statura più grande; sono essi che hanno voce più attiva nella Chiesa, che è mistero di grazia. Per questo l’ACR può diventare una pagina di speranza non solo nella vita dell’AC, ma nella vita della Chiesa“ (6).
Infatti, come dirà il Vescovo Aldo Del Monte: “l’ACR ha stimolato il rinnovamento della catechesi in tutta la Chiesa italiana. Ha promosso la partecipazione attiva dei ragazzi alla Liturgia e ha offerto esperienze valide per una promozione della presenza dei ragazzi nella vita delle comunità” (7).
A livello nazionale, diocesano e parrocchiale nuovi organi prendono il posto dei precedenti al ’69: l’Assemblea, il Consiglio, la Presidenza, il Presidente. Viene istituito il Delegato regionale eletto dal Consiglio regionale.
Ma c’è di più. C’è anche il fatto che la sua struttura organizzativa è tutta articolata sulla natura democratica della vita associativa e della designazione dei responsabili, con la parità tra uomo e donna e con un profilo nazionale rispettoso, anzi rafforzato dalle autonomie locali diocesane e parrocchiali.
(1) Nel 1910, all'interno della Società della Gioventù cattolica sono previsti i primi circoli di studenti chiamati ad essere sale e luce nel mondo della scuola, marcandone la finalità missionaria. Qualche anno più tardi, nel 1925, nasce la Jec, l'organizzazione europea che vuole collegare i movimenti di studenti di Azione Cattolica dei vari Paesi. A partire dal 1935, si consolida l'esperienza di un Movimento di studenti con propri dirigenti, una propria struttura, un proprio organo di stampa.
Nel 1954 nasce GS, la Gioventù Studentesca della Giac e della Gf. Dopo pochi anni, però, la sigla GS viene sostituita con quella di Movimento Studenti.
Anche perché sotto la guida di don Luigi Giussani, insegnante di religione presso il liceo classico Berchet di Milano, si avvia un percorso, diverso per metodo educativo, che condurrà alla nascita di Comunione e Liberazione.
Nel 1969 l'Azione Cattolica italiana si rinnova nello spirito del Concilio Vaticano II. Nasce, ufficialmente, il Msac, il Movimento Studenti di Azione Cattolica.
(2) Nato nel 1936, il Movimento Lavoratori è l’Azione Cattolica dei lavoratori. Costituisce l’espressione missionaria dell’AC nel mondo del lavoro.
(3) Dopo il Concilio Vaticano II, la FUCI avviò una grande riflessione sul proprio ruolo nell’Università, nella Chiesa e nella società: si confrontò, non senza contrasti, con i profondi rivolgimenti del ’68, e con la nascita di nuovi movimenti, quali Comunione e Liberazione. Visse alterne vicende negli anni ’70 e ’80, soffrendo dell’emorragia di iscritti e dei problemi economici propri di tutte le associazioni cattoliche di quegli anni, e tuttavia continuando con forza la propria attività di approfondimento culturale e di presenza nell’università, attività che conobbe un discreto rilancio alla fine degli anni ’80.
(4) Il Movimento maestri di Azione cattolica è costituito nel settembre del 1946 sul tronco dell’esperienza della Sezione maestri di Azione cattolica, sorta nel 1929, dopo lo scioglimento da parte del regime fascista di tutte le organizzazioni professionali e di categoria.
Nel 1990, con un’Assemblea costituente celebrata a Roma dal 6 all’8 dicembre, il Movimento maestri si scioglie per far sorgere il Movimento di impegno educativo di Azione cattolica (MIEAC), che ne raccoglie l’eredità.
Il rapporto con l’Azione cattolica è precisato su basi nuove nel Documento normativo che viene approvato al Congresso straordinario tenutosi a Grottaferrata nel 2004, in cui si definisce il Mieac come movimento esterno.
(5) Il Movimento laureati di Azione cattolica è fondato nel 1933 da Igino Righetti e Giovanni Battista Montini, all’epoca presidente e assistente della Federazione universitaria cattolica italiana portando a compimento il progetto di dare continuità alla formazione religiosa e intellettuale dei giovani fucini, dopo gli anni universitari, attraverso una specifica associazione.
Il processo di rinnovamento sviluppatosi tra “i laureati” nel periodo post-conciliare, ed in particolare negli anni del Convegno promosso dalla Chiesa italiana sul tema “Evangelizzazione e promozione umana” (1976), sfocia nel 1980 nella fondazione del Movimento ecclesiale di impegno culturale (MEIC), che, riallacciandosi alla tradizione, nella nuova denominazione e struttura intende essere un riferimento per il mondo culturale cattolico.
(6) Vittorio Bachelet, tratto da Il nuovo impegno, n.8, aprile ’71.
(7) Frase di Mons. Aldo Del Monte, dal 1963 assistente centrale dell’Unione Donne dell’Azione Cattolica e poi vice assistente dell’ACI, quando era direttore dell’Ufficio Catechistico Nazionale, parlando agli educatori e assistenti diocesani dell’ACR.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
venerdì 18 novembre 2011
7. L’AZIONE CATTOLICA CONCILIARE TRA STORIA E TEOLOGIA
IL VENTO DEL CAMBIAMENTO
L’AC, come abbiamo visto nel primo paragrafo, si trova dunque nel vortice del cambiamento, che la turba e la entusiasma.
L’entusiasmo nei responsabili più sensibili è legato alle buone notizie conciliari.
Il turbamento deriva dal processo di secolarizzazione in atto, dalle resistenze al nuovo provenienti da una larga fetta della gerarchia ecclesiale e del clero ed anche dalle perplessità e resistenze di non pochi responsabili e iscritti di base dell’associazione.
E’ turbata dal crollo verticale delle iscrizioni. Nel 1948 contava 2.500.000 mila iscritti; nel 1964, 3.500.000 mila; nel 1974 ne conterà 600.000 mila. Nel 2004 si stabilizzeranno intorno ai 350.000 mila.
Perde il consenso di ampi strati della popolazione, ma bisogna tener presente un altro fattore. L’AC degli anni settanta non è più l'unica Associazione dei laici cattolici. Dopo il Concilio nascono nuove realtà, alcune delle quali fondate anche da ex appartenenti all'associazione. Il Movimento dei Focolari, la Comunità di Sant’Egidio, Comunione e Liberazione (che fu parte dell'AC fino alla fine degli anni '60), il Rinnovamento nello Spirito cominciano proprio dagli anni sessanta la loro diffusione e crescita.
Altre associazioni dall’AC un tempo coordinate, diventano autonome e vanno per la loro strada.
Nel complesso il numero di laici cattolici impegnati è andato solo parzialmente diminuendo, essendosi distribuito in realtà diverse.
Ed è anche turbata dalla strada da intraprendere per rinnovare la sua struttura alla luce dei dettami del Concilio, consapevole, specie nel presidente che la guidava, che “non è … che la modificazione delle strutture statutarie possa costituire il toccasana dei nostri problemi. Vi ho ripetuto forse anche troppe volte quanto sia convinto che ciò che conta davvero è il cambiamento di mentalità, la disponibilità del cuore, la generosità del dono” (1).
Provvidenzialmente, c’è un Papa amico (Paolo VI) e una parte della gerarchia decisa a concretizzare le linee conciliari (Mons. Enrico Bartoletti, Mons. Filippo Franceschi, Mons. Emilio Guano, per citarne alcuni).
Provvidenzialmente, sono gli anni della presidenza di Vittorio Bachelet (2) e dell’assistente generale, Mons. Franco Costa (3).
E’ con questi protagonisti – e molti altri – che nasce la scelta delle scelte: la scelta religiosa.
LA SCELTA RELIGIOSA
Ma cosa è la scelta religiosa?
Per spiegarlo utilizzo le riflessioni di due presidenti nazionali, Vittorio Bachelet e Alberto Monticone.
La prima citazione è veramente illuminante; sono parole di Vittorio Bachelet tratte da un’intervista del 1979, dove lui ripete parole del 1965:
“Di fronte a questo mondo che cambia, di fronte alla crisi di valori, nel cambiamento del quadro sociale e culturale, forse con una intuizione anticipatrice, o comunque con una nuova consapevolezza l’AC si chiese su cosa puntare. Valeva la pena correre dietro a singoli problemi, importanti, ma consequenziali, o puntare invece alle radici? Nel momento in cui l’aratro della storia scavava a fondo rivoltando profondamente le zolle della realtà sociale italiana che cosa era importante? Era importante gettare seme buono, seme valido. La scelta religiosa – buona o cattiva che sia l’espressione- è questo: riscoprire la centralità dell’annuncio di Cristo, l’annuncio della fede da cui tutto il resto prende significato. Quando ho riflettuto a queste cose e ho tentato di esprimerle ho fatto riferimento a S. Benedetto che in un altro momento di trapasso culturale trovò nella centralità della liturgia, della preghiera, della cultura il seme per cambiare il mondo, o – per meglio dire – per conservare quello che c’era di valido dell’antica civiltà e innestarlo come seme di speranza nella nuova. Questa è la scelta religiosa”.
La seconda è una bella e storicamente fondata spiegazione di Alberto Monticone (4):
“Per scelta religiosa dell’ACI si intende l'inizio di un nuovo modello di associazionismo ecclesiale, alla luce del Concilio al servizio della comunità ecclesiale e dei suoi Pastori, affidato con metodo democratico alla responsabilità dei laici, radicato nelle realtà locali, avente come finalità primaria la formazione di laici cristiani lungo l'arco di ogni età, che conseguono la loro azione nella Chiesa e nella società in forma aggregata. Essa intese gettare un ponte tra l'appartenenza alla città di Dio nella sua concretezza locale e la partecipazione da cristiani alla città dell'uomo, anche questa individuata nella specificità di tempo e di luogo. La scelta religiosa abbandonò negli anni ’60 il collateralismo politico con il partito della DC, pur riconoscendo in esso il riferimento ai valori umani sorretti dall’ispirazione cristiana, lo sforzo di mediazione per la laicità della politica e la presenza di donne e uomini formatisi nella stessa ACI. Contribuì a distinguere l'ambito ecclesiale da quello politico partitico, mirò a liberare la Chiesa dal coinvolgimento in politica, affermò il valore della laicità cristiana esercitata in forma individuale e collettiva. In sostanza fu la scelta associativa per un laicato conciliare e per una cittadinanza cristianamente ispirata e laicamente declinata”.
La scelta religiosa, non fu una presunzione, né un’evasione spiritualistica. Nacque da un giudizio storico, severo e radicale. Nacque dalla convinzione che il regime di cristianità (5) fosse avviato ad un irreversibile tramonto e che, piuttosto che tentare restaurazioni - impossibili e neppure desiderabili - convenisse piuttosto prepararsi ai tempi nuovi ripartendo dalle fondamenta, dal nucleo essenziale della fede, dalla fede nuda e pura (6).
La radicalità del cambiamento imponeva un mutamento di scenario, ripartire dalla radice e prepararsi ai tempi lunghi, in attesa che quel che si era seminato cominciasse a germogliare e infine a dar frutto.
Essa non fu mai sinonimo di fuga dalle realtà temporali, non doveva portare i fedeli laici a rinchiudersi in sacrestia; spingeva piuttosto la Chiesa intera a farsi presente in ogni campo dell'impegno temporale, restando però sul piano religioso ed etico che le è proprio: annunziando la Parola, comunicando la vita divina con i sacramenti, testimoniando la fede nel cuore dei problemi dell'uomo attraverso il servizio della carità.
(1) Ernesto Preziosi, Il Concilio, l’AC, lo Statuto, in Dialoghi, 03/2003, p. 75.
(2) Vittorio Bachelet. Papa Giovanni XXIII nel 1959 lo nomina vicepresidente nazionale e nel 1964 Paolo VI lo nomina Presidente Generale per la prima volta (verrà riconfermato anche per i due mandati successivi, fino al 1973).
(3) Mons. Franco Costa, assistente centrale della FUCI dal 1955 al 1963 e assistente generale dell'ACI dal 1963 al 1972.
(4) Tratto da Alberto Monticone (Presidente nazionale dell'Azione Cattolica dal 1980 al 1986), La scelta religiosa dell’Azione Cattolica e il cattolicesimo italiano.
(5) Il regime di cristianità aveva implicato l’ esistenza di una società organica in cui l’ appartenenza cristiana era stata lo sfondo e l’ ispirazione necessaria della vita della persona umana dall’ inizio alla fine. Lo si considera realizzato nel periodo medievale.
(6) Come dirà Giuseppe Dossetti. Uomo politico, poi sacerdote e monaco, sostenne e difese la dignità e la centralità della persona; fu testimone autentico della radicalità del Vangelo, della ricerca dell’essenziale, della fedeltà alla parola di Dio. Diceva che si deve vivere la fede pura, senza puntelli e senza presìdi di sorta, che i cristiani si devono ricompattare sulla parola di Dio e sull'Evangelo. “Di fronte alle difficoltà, sempre più dovremo, in questa nuova stagione che si apre nel nostro paese, contare esclusivamente sulla parola del Signore, sull'Evangelo riflettuto, meditato, assimilato. Siamo destinati a vivere in un mondo che richiede la fede nuda e pura. E la Chiesa stessa, se non si fa più spirituale, non riuscirà ad adempiere alla sua missione e a collegare veramente i figli del Vangelo”.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
L’AC, come abbiamo visto nel primo paragrafo, si trova dunque nel vortice del cambiamento, che la turba e la entusiasma.
L’entusiasmo nei responsabili più sensibili è legato alle buone notizie conciliari.
Il turbamento deriva dal processo di secolarizzazione in atto, dalle resistenze al nuovo provenienti da una larga fetta della gerarchia ecclesiale e del clero ed anche dalle perplessità e resistenze di non pochi responsabili e iscritti di base dell’associazione.
E’ turbata dal crollo verticale delle iscrizioni. Nel 1948 contava 2.500.000 mila iscritti; nel 1964, 3.500.000 mila; nel 1974 ne conterà 600.000 mila. Nel 2004 si stabilizzeranno intorno ai 350.000 mila.
Perde il consenso di ampi strati della popolazione, ma bisogna tener presente un altro fattore. L’AC degli anni settanta non è più l'unica Associazione dei laici cattolici. Dopo il Concilio nascono nuove realtà, alcune delle quali fondate anche da ex appartenenti all'associazione. Il Movimento dei Focolari, la Comunità di Sant’Egidio, Comunione e Liberazione (che fu parte dell'AC fino alla fine degli anni '60), il Rinnovamento nello Spirito cominciano proprio dagli anni sessanta la loro diffusione e crescita.
Altre associazioni dall’AC un tempo coordinate, diventano autonome e vanno per la loro strada.
Nel complesso il numero di laici cattolici impegnati è andato solo parzialmente diminuendo, essendosi distribuito in realtà diverse.
Ed è anche turbata dalla strada da intraprendere per rinnovare la sua struttura alla luce dei dettami del Concilio, consapevole, specie nel presidente che la guidava, che “non è … che la modificazione delle strutture statutarie possa costituire il toccasana dei nostri problemi. Vi ho ripetuto forse anche troppe volte quanto sia convinto che ciò che conta davvero è il cambiamento di mentalità, la disponibilità del cuore, la generosità del dono” (1).
Provvidenzialmente, c’è un Papa amico (Paolo VI) e una parte della gerarchia decisa a concretizzare le linee conciliari (Mons. Enrico Bartoletti, Mons. Filippo Franceschi, Mons. Emilio Guano, per citarne alcuni).
Provvidenzialmente, sono gli anni della presidenza di Vittorio Bachelet (2) e dell’assistente generale, Mons. Franco Costa (3).
E’ con questi protagonisti – e molti altri – che nasce la scelta delle scelte: la scelta religiosa.
LA SCELTA RELIGIOSA
Ma cosa è la scelta religiosa?
Per spiegarlo utilizzo le riflessioni di due presidenti nazionali, Vittorio Bachelet e Alberto Monticone.
La prima citazione è veramente illuminante; sono parole di Vittorio Bachelet tratte da un’intervista del 1979, dove lui ripete parole del 1965:
“Di fronte a questo mondo che cambia, di fronte alla crisi di valori, nel cambiamento del quadro sociale e culturale, forse con una intuizione anticipatrice, o comunque con una nuova consapevolezza l’AC si chiese su cosa puntare. Valeva la pena correre dietro a singoli problemi, importanti, ma consequenziali, o puntare invece alle radici? Nel momento in cui l’aratro della storia scavava a fondo rivoltando profondamente le zolle della realtà sociale italiana che cosa era importante? Era importante gettare seme buono, seme valido. La scelta religiosa – buona o cattiva che sia l’espressione- è questo: riscoprire la centralità dell’annuncio di Cristo, l’annuncio della fede da cui tutto il resto prende significato. Quando ho riflettuto a queste cose e ho tentato di esprimerle ho fatto riferimento a S. Benedetto che in un altro momento di trapasso culturale trovò nella centralità della liturgia, della preghiera, della cultura il seme per cambiare il mondo, o – per meglio dire – per conservare quello che c’era di valido dell’antica civiltà e innestarlo come seme di speranza nella nuova. Questa è la scelta religiosa”.
La seconda è una bella e storicamente fondata spiegazione di Alberto Monticone (4):
“Per scelta religiosa dell’ACI si intende l'inizio di un nuovo modello di associazionismo ecclesiale, alla luce del Concilio al servizio della comunità ecclesiale e dei suoi Pastori, affidato con metodo democratico alla responsabilità dei laici, radicato nelle realtà locali, avente come finalità primaria la formazione di laici cristiani lungo l'arco di ogni età, che conseguono la loro azione nella Chiesa e nella società in forma aggregata. Essa intese gettare un ponte tra l'appartenenza alla città di Dio nella sua concretezza locale e la partecipazione da cristiani alla città dell'uomo, anche questa individuata nella specificità di tempo e di luogo. La scelta religiosa abbandonò negli anni ’60 il collateralismo politico con il partito della DC, pur riconoscendo in esso il riferimento ai valori umani sorretti dall’ispirazione cristiana, lo sforzo di mediazione per la laicità della politica e la presenza di donne e uomini formatisi nella stessa ACI. Contribuì a distinguere l'ambito ecclesiale da quello politico partitico, mirò a liberare la Chiesa dal coinvolgimento in politica, affermò il valore della laicità cristiana esercitata in forma individuale e collettiva. In sostanza fu la scelta associativa per un laicato conciliare e per una cittadinanza cristianamente ispirata e laicamente declinata”.
La scelta religiosa, non fu una presunzione, né un’evasione spiritualistica. Nacque da un giudizio storico, severo e radicale. Nacque dalla convinzione che il regime di cristianità (5) fosse avviato ad un irreversibile tramonto e che, piuttosto che tentare restaurazioni - impossibili e neppure desiderabili - convenisse piuttosto prepararsi ai tempi nuovi ripartendo dalle fondamenta, dal nucleo essenziale della fede, dalla fede nuda e pura (6).
La radicalità del cambiamento imponeva un mutamento di scenario, ripartire dalla radice e prepararsi ai tempi lunghi, in attesa che quel che si era seminato cominciasse a germogliare e infine a dar frutto.
Essa non fu mai sinonimo di fuga dalle realtà temporali, non doveva portare i fedeli laici a rinchiudersi in sacrestia; spingeva piuttosto la Chiesa intera a farsi presente in ogni campo dell'impegno temporale, restando però sul piano religioso ed etico che le è proprio: annunziando la Parola, comunicando la vita divina con i sacramenti, testimoniando la fede nel cuore dei problemi dell'uomo attraverso il servizio della carità.
(1) Ernesto Preziosi, Il Concilio, l’AC, lo Statuto, in Dialoghi, 03/2003, p. 75.
(2) Vittorio Bachelet. Papa Giovanni XXIII nel 1959 lo nomina vicepresidente nazionale e nel 1964 Paolo VI lo nomina Presidente Generale per la prima volta (verrà riconfermato anche per i due mandati successivi, fino al 1973).
(3) Mons. Franco Costa, assistente centrale della FUCI dal 1955 al 1963 e assistente generale dell'ACI dal 1963 al 1972.
(4) Tratto da Alberto Monticone (Presidente nazionale dell'Azione Cattolica dal 1980 al 1986), La scelta religiosa dell’Azione Cattolica e il cattolicesimo italiano.
(5) Il regime di cristianità aveva implicato l’ esistenza di una società organica in cui l’ appartenenza cristiana era stata lo sfondo e l’ ispirazione necessaria della vita della persona umana dall’ inizio alla fine. Lo si considera realizzato nel periodo medievale.
(6) Come dirà Giuseppe Dossetti. Uomo politico, poi sacerdote e monaco, sostenne e difese la dignità e la centralità della persona; fu testimone autentico della radicalità del Vangelo, della ricerca dell’essenziale, della fedeltà alla parola di Dio. Diceva che si deve vivere la fede pura, senza puntelli e senza presìdi di sorta, che i cristiani si devono ricompattare sulla parola di Dio e sull'Evangelo. “Di fronte alle difficoltà, sempre più dovremo, in questa nuova stagione che si apre nel nostro paese, contare esclusivamente sulla parola del Signore, sull'Evangelo riflettuto, meditato, assimilato. Siamo destinati a vivere in un mondo che richiede la fede nuda e pura. E la Chiesa stessa, se non si fa più spirituale, non riuscirà ad adempiere alla sua missione e a collegare veramente i figli del Vangelo”.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
mercoledì 16 novembre 2011
6. L’AZIONE CATTOLICA CONCILIARE TRA STORIA E TEOLOGIA
ALCUNE NOVITA’ DEL CONCILIO VATICANO II CIRCA IL CRISTIANO LAICO
Le novità introdotte nell’idea di Chiesa e del suo rapporto con il mondo trovano nella rinnovata figura del cristiano laico la cartina al tornasole più evidente.
La riflessione teologica riconosce che i laici partecipano a pieno titolo all'unica missione evangelizzatrice della Chiesa. Tra Gerarchia e semplici fedeli, cioè, non vi è differenza di dignità e identiche sono la missione e la vocazione alla perfezione; diversa invece è la funzione: i membri della Gerarchia “per volontà di Cristo sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri” (1), mentre i laici, vivendo nel secolo e implicati negli affari temporali, “sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo” (2).
Un impegno genuinamente secolare che deve evitare gli errori opposti in cui molti cadono:
• da un lato, i nostalgici della cristianità, che rimpiangono il tempo quando il trono e l'altare, la spada e la croce si sovrapponevano (prospettiva ormai superata non solo storicamente, ma anche teologicamente);
• dall'altro, coloro che, scoraggiati dalla crisi dei valori e della fede, cercano rifugio in uno spiritualismo disincarnato.
Ne emerge che il laico è un vero cristiano, è un battezzato e nel battesimo si condensa l’essenziale, il cuore, il tutto. Non c’è bisogno di aggiungere altro, per avere la dignità di essere cristiani, per essere riconosciuti figli nella Chiesa.
Nella radice battesimale si colloca il fondamento della novità di vita dei cristiani laici. Da qui scaturisce la chiamata alla santità che li riguarda, in quanto “abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere nella santità di tutto il loro operare” (3), come espressione della loro configurazione a Cristo nella quotidianità.
Anzi, contribuendo “come fermento alla santificazione del mondo” sono testimoni privilegiati di quell’amore pasquale per il mondo che è compito di tutta la comunità.
Il Concilio, quindi, delinea una vocazione laicale la cui dignità non è minore a quella di chiunque altro nella Chiesa.
Si tratta, anche in questo caso, di una “svolta” significativa, se si pensa al ruolo puramente passivo che la teologia post tridentina assegnava ai laici: “Solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l’autorità necessari per promuovere e dirigere tutti i membri verso il fine della società. Quanto alla moltitudine, essa non ha altro diritto che quello di lasciarsi guidare e, come docile gregge, seguire i suoi pastori” (4).
La santità, come detto, diviene la prospettiva di tutti, perché è il battesimo l'origine della chiamata alla santità. Essa non è più privilegio di pochi: cristiani eletti con la statura degli eroi o persone comunque eccezionali. E’ invece una chiamata universale, perché presso Dio non vi è preferenza di persone (5).
Si passa dallo stato di santità alla santità di stato: è un capovolgimento.
La santità è possibile dentro le condizioni ordinarie della famiglia, del lavoro, delle relazioni sociali e politiche. Non bisogna fuggire chissà dove per diventare santi. I laici “cercano il regno di Dio trattando le cose temporali”: è proprio non sfuggendo ad esse che si realizza la ricerca del Regno.
E ciò ancora una volta a differenza di quanto accadeva prima del Concilio quando si riteneva che il fedele laico, per realizzarsi pienamente, dovesse ispirarsi alla spiritualità e al carisma dell'uno o dell'altro ordine religioso.
Il dato certo è che il Signore chiama tutti; chiama ognuno di noi per nome. La diversità dei carismi e dei ministeri nell’unico popolo di Dio riguarda le forme della risposta, non l’universalità della chiamata.
Il sacerdote contribuisce alla santificazione del mondo attraverso il ministero, il religioso attraverso la testimonianza dei consigli evangelici, il laico mediante la presenza nel mondo, testimoniando la forza santificatrice della Grazia all’interno delle realtà temporali.
Insomma, mentre il compito primario e immediato dei pastori è la costruzione della Chiesa e l’evangelizzazione con le azioni tipiche dell’attività pastorale, il compito primario e immediato dei laici è la costruzione della città dell’uomo con le azioni tipiche della vita quotidiana.
Naturalmente la condizione battesimale dei laici e il loro essere membri della comunità cristiana li abilita a prendere parte alla stessa missione apostolica o pastorale della Chiesa.
L’appartenenza alla Chiesa è il fondamento che impegna i laici a condividere, a loro modo e per loro parte, la missione salvifica della Chiesa stessa, nel triplice e unitario momento dell’annuncio della Parola, della celebrazione del culto, del servizio all’uomo nella carità.
Il testo conciliare sull’apostolato dei laici può essere un importante punto di riferimento: “Come partecipi della missione di Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno la loro parte attiva nella vita e nell'azione della Chiesa. All'interno delle comunità ecclesiali la loro azione è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei pastori non può per lo più ottenere il suo pieno effetto. Infatti i laici che hanno davvero spirito apostolico, ad esempio di quegli uomini e di quelle donne che aiutavano Paolo nella diffusione del Vangelo (cfr. At 18,18-26; Rm 16,3), suppliscono a quello che manca ai loro fratelli e confortano cosi sia i pastori, sia gli altri membri del popolo fedele (cfr. 1 Cor 16,17-18). Nutriti dall'attiva partecipazione alla vita liturgica della propria comunità, partecipano con sollecitudine alle sue opere apostoliche; conducono alla Chiesa gli uomini che forse ne vivono lontani; cooperano con dedizione generosa nel comunicare la parola di Dio, specialmente mediante l'insegnamento del catechismo; rendono più efficace la cura delle anime ed anche l'amministrazione dei beni della Chiesa, mettendo a disposizione la loro competenza” (6).
(1) Lumen gentium, n. 32.
(2) Lumen gentium, n. 31.
(3) Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Christifideles laici, n. 16.
(4) Pio X, Enciclica Vehementer, 11 febbraio 1906.
(5) Confrontare con la Lettera agli Efesini, 6,9: “E anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso i vostri schiavi. Lasciate da parte le minacce e ricordate che in cielo c'è il Signore loro e vostro, il quale non fa distinzione di persone”.
(6) Apostolicam actuositatem, n. 10.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
Le novità introdotte nell’idea di Chiesa e del suo rapporto con il mondo trovano nella rinnovata figura del cristiano laico la cartina al tornasole più evidente.
La riflessione teologica riconosce che i laici partecipano a pieno titolo all'unica missione evangelizzatrice della Chiesa. Tra Gerarchia e semplici fedeli, cioè, non vi è differenza di dignità e identiche sono la missione e la vocazione alla perfezione; diversa invece è la funzione: i membri della Gerarchia “per volontà di Cristo sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri” (1), mentre i laici, vivendo nel secolo e implicati negli affari temporali, “sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo” (2).
Un impegno genuinamente secolare che deve evitare gli errori opposti in cui molti cadono:
• da un lato, i nostalgici della cristianità, che rimpiangono il tempo quando il trono e l'altare, la spada e la croce si sovrapponevano (prospettiva ormai superata non solo storicamente, ma anche teologicamente);
• dall'altro, coloro che, scoraggiati dalla crisi dei valori e della fede, cercano rifugio in uno spiritualismo disincarnato.
Ne emerge che il laico è un vero cristiano, è un battezzato e nel battesimo si condensa l’essenziale, il cuore, il tutto. Non c’è bisogno di aggiungere altro, per avere la dignità di essere cristiani, per essere riconosciuti figli nella Chiesa.
Nella radice battesimale si colloca il fondamento della novità di vita dei cristiani laici. Da qui scaturisce la chiamata alla santità che li riguarda, in quanto “abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere nella santità di tutto il loro operare” (3), come espressione della loro configurazione a Cristo nella quotidianità.
Anzi, contribuendo “come fermento alla santificazione del mondo” sono testimoni privilegiati di quell’amore pasquale per il mondo che è compito di tutta la comunità.
Il Concilio, quindi, delinea una vocazione laicale la cui dignità non è minore a quella di chiunque altro nella Chiesa.
Si tratta, anche in questo caso, di una “svolta” significativa, se si pensa al ruolo puramente passivo che la teologia post tridentina assegnava ai laici: “Solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l’autorità necessari per promuovere e dirigere tutti i membri verso il fine della società. Quanto alla moltitudine, essa non ha altro diritto che quello di lasciarsi guidare e, come docile gregge, seguire i suoi pastori” (4).
La santità, come detto, diviene la prospettiva di tutti, perché è il battesimo l'origine della chiamata alla santità. Essa non è più privilegio di pochi: cristiani eletti con la statura degli eroi o persone comunque eccezionali. E’ invece una chiamata universale, perché presso Dio non vi è preferenza di persone (5).
Si passa dallo stato di santità alla santità di stato: è un capovolgimento.
La santità è possibile dentro le condizioni ordinarie della famiglia, del lavoro, delle relazioni sociali e politiche. Non bisogna fuggire chissà dove per diventare santi. I laici “cercano il regno di Dio trattando le cose temporali”: è proprio non sfuggendo ad esse che si realizza la ricerca del Regno.
E ciò ancora una volta a differenza di quanto accadeva prima del Concilio quando si riteneva che il fedele laico, per realizzarsi pienamente, dovesse ispirarsi alla spiritualità e al carisma dell'uno o dell'altro ordine religioso.
Il dato certo è che il Signore chiama tutti; chiama ognuno di noi per nome. La diversità dei carismi e dei ministeri nell’unico popolo di Dio riguarda le forme della risposta, non l’universalità della chiamata.
Il sacerdote contribuisce alla santificazione del mondo attraverso il ministero, il religioso attraverso la testimonianza dei consigli evangelici, il laico mediante la presenza nel mondo, testimoniando la forza santificatrice della Grazia all’interno delle realtà temporali.
Insomma, mentre il compito primario e immediato dei pastori è la costruzione della Chiesa e l’evangelizzazione con le azioni tipiche dell’attività pastorale, il compito primario e immediato dei laici è la costruzione della città dell’uomo con le azioni tipiche della vita quotidiana.
Naturalmente la condizione battesimale dei laici e il loro essere membri della comunità cristiana li abilita a prendere parte alla stessa missione apostolica o pastorale della Chiesa.
L’appartenenza alla Chiesa è il fondamento che impegna i laici a condividere, a loro modo e per loro parte, la missione salvifica della Chiesa stessa, nel triplice e unitario momento dell’annuncio della Parola, della celebrazione del culto, del servizio all’uomo nella carità.
Il testo conciliare sull’apostolato dei laici può essere un importante punto di riferimento: “Come partecipi della missione di Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno la loro parte attiva nella vita e nell'azione della Chiesa. All'interno delle comunità ecclesiali la loro azione è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei pastori non può per lo più ottenere il suo pieno effetto. Infatti i laici che hanno davvero spirito apostolico, ad esempio di quegli uomini e di quelle donne che aiutavano Paolo nella diffusione del Vangelo (cfr. At 18,18-26; Rm 16,3), suppliscono a quello che manca ai loro fratelli e confortano cosi sia i pastori, sia gli altri membri del popolo fedele (cfr. 1 Cor 16,17-18). Nutriti dall'attiva partecipazione alla vita liturgica della propria comunità, partecipano con sollecitudine alle sue opere apostoliche; conducono alla Chiesa gli uomini che forse ne vivono lontani; cooperano con dedizione generosa nel comunicare la parola di Dio, specialmente mediante l'insegnamento del catechismo; rendono più efficace la cura delle anime ed anche l'amministrazione dei beni della Chiesa, mettendo a disposizione la loro competenza” (6).
(1) Lumen gentium, n. 32.
(2) Lumen gentium, n. 31.
(3) Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Christifideles laici, n. 16.
(4) Pio X, Enciclica Vehementer, 11 febbraio 1906.
(5) Confrontare con la Lettera agli Efesini, 6,9: “E anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso i vostri schiavi. Lasciate da parte le minacce e ricordate che in cielo c'è il Signore loro e vostro, il quale non fa distinzione di persone”.
(6) Apostolicam actuositatem, n. 10.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
martedì 15 novembre 2011
5. L’AZIONE CATTOLICA CONCILIARE TRA STORIA E TEOLOGIA
ALCUNE NOVITA’ DEL CONCILIO VATICANO II CIRCA IL RAPPORTO DELLA CHIESA CON IL MONDO
Se prima ci siamo soffermati sulla Lumen Gentium, ora dobbiamo brevemente sostare sulla Costituzione pastorale Gaudium et Spes (GS) al capitolo IV, quello, a mio parere, più bello.
Consideriamo intanto due cose.
• La GS (1965) appare un secolo dopo il Sillabo (1) (1864), operando una sorta di rivoluzione copernicana nell’atteggiamento della Chiesa verso il mondo. Da un atteggiamento di condanna - o, quanto meno, diffidente - si passa a una visione duttile, cordialmente aperta (dialogica) benché non ingenua (critica) verso la modernità.
• Scavalcando il dissidio accumulatosi nell’epoca moderna, con la separazione tra fede e ragione, tra vangelo e cultura, la GS opera a proposito dei rapporti Chiesa-mondo la stessa rivoluzione copernicana operata dalla LG nei rapporti intraecclesiali. E’ chiaro allora che le due costituzioni, quella dogmatica (LG) e quella pastorale (GS), s’integrano reciprocamente e ci aprono davanti inedite prospettive sulla chiesa, il mondo, le relazioni tra di loro.
Infatti:
• Il mondo non è più ritenuto semplice teatro della gloria di Dio, né come materia informe della storia della salvezza, ma come il primo atto della storia della salvezza, sicché le realtà create -rivalutate in sé, perché parte della creazione - non hanno bisogno di essere consacrate, quanto piuttosto di essere autenticamente se stesse (2) (Gn 1-2), liberate dal male (3) (Gn 3).
• Le relazioni tra Chiesa e mondo non vanno più concepite come ostili (Sillabo) o, nella migliore delle ipotesi, separate (vecchio Concordato), ma in solidale corresponsabilità, dovendo sia la Chiesa (lievito) sia il mondo (pasta) convergere nel superamento d’entrambi: il “terzo trascendente” rappresentato dal regno.
Già papa Paolo VI aveva preannunciato nel 1964 i tempi nuovi di questo rapporto nella enciclica Ecclesiam suam (4) parlando di dialogo con il mondo, di colloquio: “La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio” (5).
Lo ribadirà con costanza a Concilio ormai concluso: “La Chiesa, nel Cristo e come il Cristo, ama il mondo di oggi, pronta a capirlo, ad assisterlo, ad offrirgli se stessa. Questo atteggiamento deve diventare il contrassegno della Chiesa di oggi“ (6).
E’ una vera e propria rivoluzione teologica. Cambia radicalmente la prospettiva, il modo cioè di intendere la condizione storica concreta della famiglia umana, che diventa elemento non solo rilevante ma indispensabile perché la Chiesa possa esplicitare la propria missione.
E il ragionamento si concentra attorno a due espressioni: il Signore è il fine della storia; i segni dei tempi.
1. Innanzi tutto, «il Signore è il fine della storia» (7): vale a dire che la vicenda dell’intera famiglia umana ha una precisa destinazione: si trova in cammino verso l’adempimento del progetto eterno di Dio e di questo adempimento la Chiesa si pone a servizio. Il disegno divino - vero disegno di salvezza - è la trasformazione “della famiglia umana in famiglia di Dio”, che avverrà perfettamente solo l’ultimo giorno. Ma ciò segna anche il compito e la direzione del cammino della famiglia umana; e quindi segna anche il compito della Chiesa: essere “lievito e quasi anima” della storia umana (8). La LG, lo abbiamo già detto, parla in questo senso preciso della Chiesa come “sacramento” e cioè come segno visibile ed efficace della presenza di Dio nella storia umana. Così facendo la Chiesa non fa altro che continuare nel tempo la missione stessa di Cristo.
2. Ma la profonda svolta teologica deve essere completata da un secondo argomento. La GS, affrontando i più gravi problemi sociali del nostro tempo, dichiara di volerlo fare procedendo «alla luce del vangelo e dell’esperienza umana» (9). Questo specifica il metodo che la costituzione intende assumere nella seconda parte. La Chiesa per vivere in pienezza la propria missione ha bisogno dell’esperienza umana, ha bisogno del mondo. Ciò è un preciso riferimento alla dottrina dei segni dei tempi.
Nei documenti del Vaticano II si trova per tre volte l’uso esplicito della formula: GS 4 (10); Unitatis redintegratio 4; Presbyterorum ordinis 9. Altre volte i testi richiamano lo stesso concetto, pur non usando esplicitamente la formula: ad esempio, GS 11 (11); GS 44 (12); Presbyterorum ordinis 6; Apostolicam actuositatem 14; Dignitatis humanae 15.
Il teologo M.D. Chenu, definisce così i segni dei tempi: “I fenomeni che, per la loro generalizzazione e la loro frequenza, caratterizzano un’epoca e attraverso i quali si esprimono i bisogni e le aspirazioni dell’umanità presente”.
Con questa formula entra, dunque, nella teologia e nel magistero il significato di storia e il riferimento ad essa.
E due sono gli elementi portanti della nuova visione che nasce dall’acquisizione della storicità: un elemento teologico (il Dio della fede cristiana è il Dio della storia); un elemento antropologico, (l’uomo, con le sue scelte nella storia, gioca se stesso).
Paolo VI farà della lettura dei segni dei tempi addirittura il punto di partenza per le riflessioni teologiche e per le indicazioni pastorali assumendo la scansione metodologica proposta dalla JOC, la Jeunesse Ouvrière Chrétienne: vedere, giudicare, agire.
Lo dirà con chiarezza in una sua grande enciclica, la Octogesima adveniens: “Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese, chiarirla alla luce delle parole immutabili del Vangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell’insegnamento sociale della Chiesa... individuare con l’assistenza dello Spirito Santo, in comunione con i vescovi responsabili, e in dialogo con gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà, le scelte e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche” (13).
(1) Il Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores (in italiano Elenco contenente i principali errori del nostro tempo, chiamato Sillabo) è un elenco di ottanta proposizioni che papa Pio IX pubblicò insieme all'enciclica Quanta cura nella ricorrenza della solennità dell’Immacolata Concezione, l’8 dicembre 1864.
(2) Confrontare con Genesi, 1-2.
(3) Confrontare con Genesi, 3.
(4) Paolo VI, Ecclesiam suam, n. 80 .“Com'è chiaro, i rapporti fra la Chiesa ed il mondo possono assumere molti aspetti e diversi fra loro. Teoricamente parlando, la Chiesa potrebbe prefiggersi di ridurre al minimo tali rapporti, cercando di sequestrare se stessa dal commercio della società profana; - come potrebbe proporsi di rilevare i mali che in essa possono riscontrarsi, anatemitizzandoli e movendo crociate contro di essi; - potrebbe invece tanto avvicinarsi alla società profana da cercare di prendervi influsso preponderante o anche di esercitarvi un dominio teocratico; e così via. Sembra a Noi invece che il rapporto della Chiesa col mondo, senza precludersi altre forme legittime, possa meglio raffigurarsi in un dialogo, e neppure questo in modo univoco, ma adattato all'indole dell'interlocutore e delle circostanze di fatto”.
(5) Paolo VI, Ecclesiam suam, n. 67.
(6) Paolo VI, Udienza del 1° mercoledì di maggio 1969.
(7) Gaudium et spes, n. 45.
(8) Gaudium et spes, n. 40.
(9) Gaudium et spes, n. 46.
(10) Gaudium et spes, n. 4. “Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico”.
(11) Gaudium et spes, n. 11. “Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l'universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell'uomo, orientando così lo spirito verso soluzioni pienamente umane”.
(12) Gaudium et spes, n. 44. “È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta”.
(13) Octogesima adveniens, n. 4.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
Se prima ci siamo soffermati sulla Lumen Gentium, ora dobbiamo brevemente sostare sulla Costituzione pastorale Gaudium et Spes (GS) al capitolo IV, quello, a mio parere, più bello.
Consideriamo intanto due cose.
• La GS (1965) appare un secolo dopo il Sillabo (1) (1864), operando una sorta di rivoluzione copernicana nell’atteggiamento della Chiesa verso il mondo. Da un atteggiamento di condanna - o, quanto meno, diffidente - si passa a una visione duttile, cordialmente aperta (dialogica) benché non ingenua (critica) verso la modernità.
• Scavalcando il dissidio accumulatosi nell’epoca moderna, con la separazione tra fede e ragione, tra vangelo e cultura, la GS opera a proposito dei rapporti Chiesa-mondo la stessa rivoluzione copernicana operata dalla LG nei rapporti intraecclesiali. E’ chiaro allora che le due costituzioni, quella dogmatica (LG) e quella pastorale (GS), s’integrano reciprocamente e ci aprono davanti inedite prospettive sulla chiesa, il mondo, le relazioni tra di loro.
Infatti:
• Il mondo non è più ritenuto semplice teatro della gloria di Dio, né come materia informe della storia della salvezza, ma come il primo atto della storia della salvezza, sicché le realtà create -rivalutate in sé, perché parte della creazione - non hanno bisogno di essere consacrate, quanto piuttosto di essere autenticamente se stesse (2) (Gn 1-2), liberate dal male (3) (Gn 3).
• Le relazioni tra Chiesa e mondo non vanno più concepite come ostili (Sillabo) o, nella migliore delle ipotesi, separate (vecchio Concordato), ma in solidale corresponsabilità, dovendo sia la Chiesa (lievito) sia il mondo (pasta) convergere nel superamento d’entrambi: il “terzo trascendente” rappresentato dal regno.
Già papa Paolo VI aveva preannunciato nel 1964 i tempi nuovi di questo rapporto nella enciclica Ecclesiam suam (4) parlando di dialogo con il mondo, di colloquio: “La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio” (5).
Lo ribadirà con costanza a Concilio ormai concluso: “La Chiesa, nel Cristo e come il Cristo, ama il mondo di oggi, pronta a capirlo, ad assisterlo, ad offrirgli se stessa. Questo atteggiamento deve diventare il contrassegno della Chiesa di oggi“ (6).
E’ una vera e propria rivoluzione teologica. Cambia radicalmente la prospettiva, il modo cioè di intendere la condizione storica concreta della famiglia umana, che diventa elemento non solo rilevante ma indispensabile perché la Chiesa possa esplicitare la propria missione.
E il ragionamento si concentra attorno a due espressioni: il Signore è il fine della storia; i segni dei tempi.
1. Innanzi tutto, «il Signore è il fine della storia» (7): vale a dire che la vicenda dell’intera famiglia umana ha una precisa destinazione: si trova in cammino verso l’adempimento del progetto eterno di Dio e di questo adempimento la Chiesa si pone a servizio. Il disegno divino - vero disegno di salvezza - è la trasformazione “della famiglia umana in famiglia di Dio”, che avverrà perfettamente solo l’ultimo giorno. Ma ciò segna anche il compito e la direzione del cammino della famiglia umana; e quindi segna anche il compito della Chiesa: essere “lievito e quasi anima” della storia umana (8). La LG, lo abbiamo già detto, parla in questo senso preciso della Chiesa come “sacramento” e cioè come segno visibile ed efficace della presenza di Dio nella storia umana. Così facendo la Chiesa non fa altro che continuare nel tempo la missione stessa di Cristo.
2. Ma la profonda svolta teologica deve essere completata da un secondo argomento. La GS, affrontando i più gravi problemi sociali del nostro tempo, dichiara di volerlo fare procedendo «alla luce del vangelo e dell’esperienza umana» (9). Questo specifica il metodo che la costituzione intende assumere nella seconda parte. La Chiesa per vivere in pienezza la propria missione ha bisogno dell’esperienza umana, ha bisogno del mondo. Ciò è un preciso riferimento alla dottrina dei segni dei tempi.
Nei documenti del Vaticano II si trova per tre volte l’uso esplicito della formula: GS 4 (10); Unitatis redintegratio 4; Presbyterorum ordinis 9. Altre volte i testi richiamano lo stesso concetto, pur non usando esplicitamente la formula: ad esempio, GS 11 (11); GS 44 (12); Presbyterorum ordinis 6; Apostolicam actuositatem 14; Dignitatis humanae 15.
Il teologo M.D. Chenu, definisce così i segni dei tempi: “I fenomeni che, per la loro generalizzazione e la loro frequenza, caratterizzano un’epoca e attraverso i quali si esprimono i bisogni e le aspirazioni dell’umanità presente”.
Con questa formula entra, dunque, nella teologia e nel magistero il significato di storia e il riferimento ad essa.
E due sono gli elementi portanti della nuova visione che nasce dall’acquisizione della storicità: un elemento teologico (il Dio della fede cristiana è il Dio della storia); un elemento antropologico, (l’uomo, con le sue scelte nella storia, gioca se stesso).
Paolo VI farà della lettura dei segni dei tempi addirittura il punto di partenza per le riflessioni teologiche e per le indicazioni pastorali assumendo la scansione metodologica proposta dalla JOC, la Jeunesse Ouvrière Chrétienne: vedere, giudicare, agire.
Lo dirà con chiarezza in una sua grande enciclica, la Octogesima adveniens: “Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese, chiarirla alla luce delle parole immutabili del Vangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell’insegnamento sociale della Chiesa... individuare con l’assistenza dello Spirito Santo, in comunione con i vescovi responsabili, e in dialogo con gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà, le scelte e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche” (13).
(1) Il Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores (in italiano Elenco contenente i principali errori del nostro tempo, chiamato Sillabo) è un elenco di ottanta proposizioni che papa Pio IX pubblicò insieme all'enciclica Quanta cura nella ricorrenza della solennità dell’Immacolata Concezione, l’8 dicembre 1864.
(2) Confrontare con Genesi, 1-2.
(3) Confrontare con Genesi, 3.
(4) Paolo VI, Ecclesiam suam, n. 80 .“Com'è chiaro, i rapporti fra la Chiesa ed il mondo possono assumere molti aspetti e diversi fra loro. Teoricamente parlando, la Chiesa potrebbe prefiggersi di ridurre al minimo tali rapporti, cercando di sequestrare se stessa dal commercio della società profana; - come potrebbe proporsi di rilevare i mali che in essa possono riscontrarsi, anatemitizzandoli e movendo crociate contro di essi; - potrebbe invece tanto avvicinarsi alla società profana da cercare di prendervi influsso preponderante o anche di esercitarvi un dominio teocratico; e così via. Sembra a Noi invece che il rapporto della Chiesa col mondo, senza precludersi altre forme legittime, possa meglio raffigurarsi in un dialogo, e neppure questo in modo univoco, ma adattato all'indole dell'interlocutore e delle circostanze di fatto”.
(5) Paolo VI, Ecclesiam suam, n. 67.
(6) Paolo VI, Udienza del 1° mercoledì di maggio 1969.
(7) Gaudium et spes, n. 45.
(8) Gaudium et spes, n. 40.
(9) Gaudium et spes, n. 46.
(10) Gaudium et spes, n. 4. “Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico”.
(11) Gaudium et spes, n. 11. “Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l'universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell'uomo, orientando così lo spirito verso soluzioni pienamente umane”.
(12) Gaudium et spes, n. 44. “È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta”.
(13) Octogesima adveniens, n. 4.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
domenica 13 novembre 2011
4. L’AZIONE CATTOLICA CONCILIARE TRA STORIA E TEOLOGIA
ALCUNE NOVITA’ DEL CONCILIO VATICANO II CIRCA LA CHIESA
Componenti di una bella e più ricca visione di Chiesa che ora ci accingeremo brevemente a delineare soffermadoci sulla costituzione dogmatica Lumen Gentium.
Bellissime sono le immagini che essa (1) offre della Chiesa al capitolo I che viene titolato Il Mistero della Chiesa:
• essa è un ovile, la cui porta unica e necessaria è Cristo (cfr. Gv 10,1-10); è pure un gregge, di cui Dio stesso ha preannunziato che ne sarebbe il pastore (cfr. Is 40,11; Ez 34,11 ss); è il podere o campo di Dio (cfr. 1 Cor 3,9); più spesso ancora è detta edificio di Dio (cfr. 1 Cor 3,9); è infine chiamata Gerusalemme celeste e madre nostra (Gal 4,26; cfr. Ap 12,17).
Di grande rilievo sono alcune figure teologiche che vi trovano spazio.
• Quella di Corpo Mistico. Cristo, comunicando il suo Spirito, costituisce spiritualmente (misticamente) come suo corpo i suoi fratelli, che raccoglie da tutte le genti (2). Secondo la teologia del corpo mistico l’appartenenza alla Chiesa deriva dalla diretta unione di ciascun battezzato con Cristo e dalla conseguente partecipazione alla vita soprannaturale.
• Quella di Sacerdozio universale dei fedeli. A tutti i componenti del Corpo Mistico di Cristo, clero, religiosi, laici, è dato di esercitare un culto spirituale, per la gloria di Dio e la salvezza degli uomini (3).
• Quella di Popolo di Dio. La Chiesa, erede del popolo dell’Antica Alleanza dilatato e redento da Cristo, non è una realtà disincarnata, che sta fuori o al di sopra della storia, ma una realtà inserita nel tempo, un popolo in cammino, che non cammina in disparte ma in mezzo agli altri popoli, condividendone i problemi, le difficoltà, le angosce, operando come il buon samaritano e il buon pastore. Inoltre, la Chiesa è il popolo messianico che ha ereditato gli uffici messianici di Cristo: l'ufficio sacerdotale, per cui si offre come vittima viva, santa, gradevole a Dio per la salvezza di tutti gli uomini; l'ufficio profetico, per cui diviene il messaggero del Vangelo inviato a tutte le genti, e l'ufficio regale, per cui ha il potere di avviare il regno di Dio in questo mondo.
Questi uffici sono di tutto il popolo e di tutti i suoi membri.
Importanti sono anche due acquisizioni.
• Il Regno di Dio non coincide con la Chiesa, di cui essa è il germe e l’inizio (4) e tutti gli uomini sono chiamati a farne parte (5).
• La Missione della Chiesa è di ordine religioso e non di ordine politico, economico o sociale (6).
Il Concilio Vaticano II sposta l’accento dalla ecclesiologia societaria alla ecclesiologia di comunione. Non nega che Gesù abbia voluto la Chiesa come una istituzione visibile; ma sottolinea il fatto che l’istituzione è subordinata al mistero di comunione degli uomini tra di loro e con Dio, che nella Chiesa deve avere il primato: infatti, “la Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (7).
È questa l’idea centrale e fondamentale, a cui si ispirano tutti i documenti conciliari. Si passa, cioè, dalla concezione della Chiesa come “società perfetta” a quella di “popolo di Dio”, al quale “in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini, dalla grazia di Dio chiamati alla salvezza” (8).
Le conseguenze di questo aggiornamento teologico sono rilevanti.
In primo luogo, è stato tagliato alla radice il “clericalismo”: nella Chiesa non vi sono cristiani di serie A (il clero) e di serie B (i laici), ma “comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione [...].Nessuna ineguaglianza, quindi, in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla razza o nazione, alla condizione sociale o al sesso [...]” (9).
In secondo luogo, l’ecclesiologia di comunione conferisce alla Gerarchia una luce nuova. Collocata all’interno del Popolo di Dio, l’autorità nella Chiesa non è burocrazia o amministrazione, ma è servizio e testimonianza. Lo stesso successore di Pietro, il Papa, non è un semidio, posto al di sopra della Chiesa, ma è il “servo dei servi di Dio”, all’interno del corpo mistico di Cristo.
Infine, alla luce dell’ecclesiologia di comunione, sono rivalutate pure la vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo. Essi ormai non sono più minorenni, né “preti mancati” o meri delegati del clero, ma ricevono direttamente da Cristo, nel battesimo e nella confermazione, la missione unica, propria di tutto il Popolo di Dio, partecipando — nella loro misura — dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo.
(1) Lumen Gentium, n. 6.
(2) Lumen Gentium, n. 7.
(3) Lumen Gentium, n. 10: “Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini, fece del nuovo popolo un regno e sacerdoti per il Dio e il Padre suo”; Lumen Gentium, n. 34: “Il sommo ed eterno sacerdote Gesù Cristo, volendo continuare la sua testimonianza e il suo ministero anche attraverso i laici, li vivifica col suo Spirito e incessantemente li spinge ad ogni opera buona e perfetta. A coloro infatti che intimamente congiunge alla sua vita e alla sua missione, concede anche di aver parte al suo ufficio sacerdotale per esercitare un culto spirituale, in vista della glorificazione di Dio e della salvezza degli uomini”; Presbyterorum Ordinis, n 2: “Nostro Signore Gesù… ha reso partecipe tutto il suo corpo mistico di quella unzione dello Spirito che egli ha ricevuto: in esso, infatti, tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale”.
(4) Lumen Gentium, n. 5: “La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l'inizio”.
(5) Lumen Gentium, n. 13: “Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale”.
(6) Gaudium et Spes, n. 42b: “La missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d'ordine politico, economico o sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è d'ordine religioso”.
(7) Lumen Gentium, n. 1.
(8) Lumen Gentium, n. 13.
(9) Lumen Gentium n. 32.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
Componenti di una bella e più ricca visione di Chiesa che ora ci accingeremo brevemente a delineare soffermadoci sulla costituzione dogmatica Lumen Gentium.
Bellissime sono le immagini che essa (1) offre della Chiesa al capitolo I che viene titolato Il Mistero della Chiesa:
• essa è un ovile, la cui porta unica e necessaria è Cristo (cfr. Gv 10,1-10); è pure un gregge, di cui Dio stesso ha preannunziato che ne sarebbe il pastore (cfr. Is 40,11; Ez 34,11 ss); è il podere o campo di Dio (cfr. 1 Cor 3,9); più spesso ancora è detta edificio di Dio (cfr. 1 Cor 3,9); è infine chiamata Gerusalemme celeste e madre nostra (Gal 4,26; cfr. Ap 12,17).
Di grande rilievo sono alcune figure teologiche che vi trovano spazio.
• Quella di Corpo Mistico. Cristo, comunicando il suo Spirito, costituisce spiritualmente (misticamente) come suo corpo i suoi fratelli, che raccoglie da tutte le genti (2). Secondo la teologia del corpo mistico l’appartenenza alla Chiesa deriva dalla diretta unione di ciascun battezzato con Cristo e dalla conseguente partecipazione alla vita soprannaturale.
• Quella di Sacerdozio universale dei fedeli. A tutti i componenti del Corpo Mistico di Cristo, clero, religiosi, laici, è dato di esercitare un culto spirituale, per la gloria di Dio e la salvezza degli uomini (3).
• Quella di Popolo di Dio. La Chiesa, erede del popolo dell’Antica Alleanza dilatato e redento da Cristo, non è una realtà disincarnata, che sta fuori o al di sopra della storia, ma una realtà inserita nel tempo, un popolo in cammino, che non cammina in disparte ma in mezzo agli altri popoli, condividendone i problemi, le difficoltà, le angosce, operando come il buon samaritano e il buon pastore. Inoltre, la Chiesa è il popolo messianico che ha ereditato gli uffici messianici di Cristo: l'ufficio sacerdotale, per cui si offre come vittima viva, santa, gradevole a Dio per la salvezza di tutti gli uomini; l'ufficio profetico, per cui diviene il messaggero del Vangelo inviato a tutte le genti, e l'ufficio regale, per cui ha il potere di avviare il regno di Dio in questo mondo.
Questi uffici sono di tutto il popolo e di tutti i suoi membri.
Importanti sono anche due acquisizioni.
• Il Regno di Dio non coincide con la Chiesa, di cui essa è il germe e l’inizio (4) e tutti gli uomini sono chiamati a farne parte (5).
• La Missione della Chiesa è di ordine religioso e non di ordine politico, economico o sociale (6).
Il Concilio Vaticano II sposta l’accento dalla ecclesiologia societaria alla ecclesiologia di comunione. Non nega che Gesù abbia voluto la Chiesa come una istituzione visibile; ma sottolinea il fatto che l’istituzione è subordinata al mistero di comunione degli uomini tra di loro e con Dio, che nella Chiesa deve avere il primato: infatti, “la Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (7).
È questa l’idea centrale e fondamentale, a cui si ispirano tutti i documenti conciliari. Si passa, cioè, dalla concezione della Chiesa come “società perfetta” a quella di “popolo di Dio”, al quale “in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini, dalla grazia di Dio chiamati alla salvezza” (8).
Le conseguenze di questo aggiornamento teologico sono rilevanti.
In primo luogo, è stato tagliato alla radice il “clericalismo”: nella Chiesa non vi sono cristiani di serie A (il clero) e di serie B (i laici), ma “comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione [...].Nessuna ineguaglianza, quindi, in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla razza o nazione, alla condizione sociale o al sesso [...]” (9).
In secondo luogo, l’ecclesiologia di comunione conferisce alla Gerarchia una luce nuova. Collocata all’interno del Popolo di Dio, l’autorità nella Chiesa non è burocrazia o amministrazione, ma è servizio e testimonianza. Lo stesso successore di Pietro, il Papa, non è un semidio, posto al di sopra della Chiesa, ma è il “servo dei servi di Dio”, all’interno del corpo mistico di Cristo.
Infine, alla luce dell’ecclesiologia di comunione, sono rivalutate pure la vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo. Essi ormai non sono più minorenni, né “preti mancati” o meri delegati del clero, ma ricevono direttamente da Cristo, nel battesimo e nella confermazione, la missione unica, propria di tutto il Popolo di Dio, partecipando — nella loro misura — dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo.
(1) Lumen Gentium, n. 6.
(2) Lumen Gentium, n. 7.
(3) Lumen Gentium, n. 10: “Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini, fece del nuovo popolo un regno e sacerdoti per il Dio e il Padre suo”; Lumen Gentium, n. 34: “Il sommo ed eterno sacerdote Gesù Cristo, volendo continuare la sua testimonianza e il suo ministero anche attraverso i laici, li vivifica col suo Spirito e incessantemente li spinge ad ogni opera buona e perfetta. A coloro infatti che intimamente congiunge alla sua vita e alla sua missione, concede anche di aver parte al suo ufficio sacerdotale per esercitare un culto spirituale, in vista della glorificazione di Dio e della salvezza degli uomini”; Presbyterorum Ordinis, n 2: “Nostro Signore Gesù… ha reso partecipe tutto il suo corpo mistico di quella unzione dello Spirito che egli ha ricevuto: in esso, infatti, tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale”.
(4) Lumen Gentium, n. 5: “La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l'inizio”.
(5) Lumen Gentium, n. 13: “Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale”.
(6) Gaudium et Spes, n. 42b: “La missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d'ordine politico, economico o sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è d'ordine religioso”.
(7) Lumen Gentium, n. 1.
(8) Lumen Gentium, n. 13.
(9) Lumen Gentium n. 32.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
venerdì 11 novembre 2011
3. L’AZIONE CATTOLICA CONCILIARE TRA STORIA E TEOLOGIA
SINTETICO RAGIONAMENTO STORICO DEGLI ANNI ’60
Degli anni ’60 ci è utile ricordare alcuni fenomeni socio-culturali e l’avvento del CVII.
In questi anni il boom economico trascinò definitivamente nel cambiamento sociale fasce sempre più vaste di origine popolare, trasformando contadini in operai e piccolo-borghesi in borghesi.
Si colsero i frutti di un quindicennio di sacrifici e austerità e si tentò di avviare con la politica di centro sinistra (1), una redistribuzione sociale del reddito e con la programmazione, l’eliminazione dei più lampanti squilibri. Di fatto non accadrà così se non in parte e gli squilibri (nord-sud, città-campagna) addirittura si aggraveranno.
Comunque la mutazione sociale trasformò anche antropologicamente la popolazione divenuta molto sensibile al dilatarsi della sfera dei consumi.
La mutazione antropologica investì la morale corrente: dalla scuola che decolla anche ai livelli superiori verso indici di massa, ai mass media che – specie con la TV – cambiano le abitudini, i gusti e i consumi degli italiani, alle maggiori opportunità di incontri inter-sessuali, molte sono le distrazioni, specie per i giovani, dal vecchio mondo dell’associazione e dell’oratorio, dove vigeva la separatezza sessuale.
Il mondo sembrava ormai offrire più opportunità in termini di esperienze, formazione, svago, di un ambiente cattolico che continuava a vivere con modelli improvvisamente superati e svuotati (almeno agli occhi di molti).
Il decennio si chiuse con l'economia che mostrava segni di incipiente declino del boom economico e con la decolonizzazione, la guerra in Vietnam e i movimenti rivoluzionari in America Latina che scuotevano le nuove generazioni con i miti della liberazione dalle oppressioni e dalle ingiustizie del passato, ma anche dai progetti e dalle regole del presente.
Anche in Italia ci trovammo in presenza delle molteplici inquietudini della rivolta giovanile del '68, dell'affermazione dei movimenti e della difficoltà di ogni tipo di associazionismo.
Per forza di cose il tradizionale mondo cattolico entrò in crisi. L’Azione Cattolica e le ACLI (tanto per citare due associazioni) dimezzarono gli iscritti: era l’onda schiumosa della secolarizzazione che prendeva la società italiana con i ritmi della rivoluzione tecnologica, della scolarizzazione di massa e dello sfrenato consumismo tipico delle società benestanti.
Non solo. Questa volta in positivo, ma sempre in modo destabilizzante, specie rispetto ai molti che nella Chiesa mantenevano un atteggiamento di contrapposizione frontale rispetto a tutto ciò che chiesa non era, si abbatterono le parole di Giovanni XXIII il giorno dell’apertura del CVII (2) il quale - dopo avere bacchettato coloro che “nelle attuali condizioni della società umana…non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori” - disse:
“Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa”.
Era il vento del Concilio Vaticano II che spinse forte quella singolare libertà dello spirito, per la quale i Padri conciliari riuscirono a non attestarsi sullo status quo, a non pensare all’interno del quadro teologico affermatosi nel più recente passato, ma ad attingere a piene mani dal grande patrimonio della Sacra Scrittura e del pensiero cristiano antico le componenti di una bella e più ricca visione di Chiesa.
(1) Gli anni Sessanta sono gli anni del Primo Centro-Sinistra, gli anni in cui il maggiore partito italiano, la Democrazia Cristiana, apre al Partito Socialista.
(2) Giovanni XXIII, Discorso di apertura del Concilio Vaticano II, 11 ottobre 1962.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
Degli anni ’60 ci è utile ricordare alcuni fenomeni socio-culturali e l’avvento del CVII.
In questi anni il boom economico trascinò definitivamente nel cambiamento sociale fasce sempre più vaste di origine popolare, trasformando contadini in operai e piccolo-borghesi in borghesi.
Si colsero i frutti di un quindicennio di sacrifici e austerità e si tentò di avviare con la politica di centro sinistra (1), una redistribuzione sociale del reddito e con la programmazione, l’eliminazione dei più lampanti squilibri. Di fatto non accadrà così se non in parte e gli squilibri (nord-sud, città-campagna) addirittura si aggraveranno.
Comunque la mutazione sociale trasformò anche antropologicamente la popolazione divenuta molto sensibile al dilatarsi della sfera dei consumi.
La mutazione antropologica investì la morale corrente: dalla scuola che decolla anche ai livelli superiori verso indici di massa, ai mass media che – specie con la TV – cambiano le abitudini, i gusti e i consumi degli italiani, alle maggiori opportunità di incontri inter-sessuali, molte sono le distrazioni, specie per i giovani, dal vecchio mondo dell’associazione e dell’oratorio, dove vigeva la separatezza sessuale.
Il mondo sembrava ormai offrire più opportunità in termini di esperienze, formazione, svago, di un ambiente cattolico che continuava a vivere con modelli improvvisamente superati e svuotati (almeno agli occhi di molti).
Il decennio si chiuse con l'economia che mostrava segni di incipiente declino del boom economico e con la decolonizzazione, la guerra in Vietnam e i movimenti rivoluzionari in America Latina che scuotevano le nuove generazioni con i miti della liberazione dalle oppressioni e dalle ingiustizie del passato, ma anche dai progetti e dalle regole del presente.
Anche in Italia ci trovammo in presenza delle molteplici inquietudini della rivolta giovanile del '68, dell'affermazione dei movimenti e della difficoltà di ogni tipo di associazionismo.
Per forza di cose il tradizionale mondo cattolico entrò in crisi. L’Azione Cattolica e le ACLI (tanto per citare due associazioni) dimezzarono gli iscritti: era l’onda schiumosa della secolarizzazione che prendeva la società italiana con i ritmi della rivoluzione tecnologica, della scolarizzazione di massa e dello sfrenato consumismo tipico delle società benestanti.
Non solo. Questa volta in positivo, ma sempre in modo destabilizzante, specie rispetto ai molti che nella Chiesa mantenevano un atteggiamento di contrapposizione frontale rispetto a tutto ciò che chiesa non era, si abbatterono le parole di Giovanni XXIII il giorno dell’apertura del CVII (2) il quale - dopo avere bacchettato coloro che “nelle attuali condizioni della società umana…non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori” - disse:
“Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa”.
Era il vento del Concilio Vaticano II che spinse forte quella singolare libertà dello spirito, per la quale i Padri conciliari riuscirono a non attestarsi sullo status quo, a non pensare all’interno del quadro teologico affermatosi nel più recente passato, ma ad attingere a piene mani dal grande patrimonio della Sacra Scrittura e del pensiero cristiano antico le componenti di una bella e più ricca visione di Chiesa.
(1) Gli anni Sessanta sono gli anni del Primo Centro-Sinistra, gli anni in cui il maggiore partito italiano, la Democrazia Cristiana, apre al Partito Socialista.
(2) Giovanni XXIII, Discorso di apertura del Concilio Vaticano II, 11 ottobre 1962.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
giovedì 10 novembre 2011
2. L’AZIONE CATTOLICA CONCILIARE TRA STORIA E TEOLOGIA
SINTETICO RAGIONAMENTO STORICO DEGLI ANNI ’50 SU SOCIETA’, CHIESA, AC
E’ necessario considerare che le annotazioni che seguono sono solo alcune di quelle che dovrebbero essere fatte e per di più solo quelle che ci interessano ai fini del nostro tema.
La Società: sacrifici e consolidamento democratico
Il primo dopoguerra sino al tramonto del centrismo (1) fu un tempo di sacrifici che servì a ricostruire il Paese e a consolidarlo nel sistema democratico. Avviò l’Italia sulla via di un consistente sviluppo economico principalmente nel campo industriale, arricchì i ceti benestanti, buona parte della borghesia e migliorò anche le condizioni di vita di ampi strati della popolazione. Lo sviluppo si realizzò anche grazie al sacrificio di parte del mondo del lavoro, segnato da un'imponente ondata di emigrazione interna verso i centri industriali italiani ed internazionali (l'Europa settentrionale e le Americhe).
La ricostruzione implicò una valorizzazione generale delle virtù tradizionali del popolo di prevalente stampo cristiano: familismo, solidarismo, morigeratezza nei costumi e nei consumi, propensione al risparmio.
Valori e doveri civici coincidevano ancora con le virtù cristiane, proposte con costanza anche dall’Azione Cattolica.
Sino alla fine degli anni ’50 l’onda lunga della secolarizzazione (2) non era ancora giunta a devastare la protetta cristianità italiana.
La Chiesa: società perfetta
L’idea dominante di Chiesa era quella di una società perfetta, sovrana e gerarchicamente strutturata.
La cosa non stupisca più di tanto. Essa era figlia della teologia post tridentina (3), la quale - di fronte alla Riforma protestante che negava la visibilità della Chiesa - aveva insistito sul carattere societario della Istituzione ecclesiastica. La Chiesa da allora fu presentata come “società perfetta”, con i suoi organismi dottrinali e con le sue strutture amministrative, simili a quelle degli Stati moderni assoluti del tempo.
Essa pertanto aveva una configurazione autoritaria, centralizzata e piramidale.
Poco spazio quindi restava alla partecipazione dei laici alla vita della Chiesa che non fosse subalterna ai valori del Papa, Vicario di Cristo (4).
In larghi strati del corpo cattolico il mondo era considerato come una realtà estranea posta al di fuori e di fronte alla Chiesa che andava affrontata; esso era considerato come un ordine naturale rovinosamente condizionato dal peccato originale e da Satana (5).
Nel clima montante della guerra fredda, la sia pure riaffermata imparzialità della Chiesa ad opera del Papa che si poneva al di sopra degli uomini e degli Stati (6), non resse l’urto della guerra religiosa che per vie autonome coinvolse le masse cattoliche in eccitate battaglie contro il demoniaco nemico comunista.
La dottrina di Papa Pacelli in materia di Azione Cattolica seguì quella del suo predecessore, Pio XI, ma si adattò a precise esigenze strategiche. Si delineava, infatti, il problema fondamentale della riedificazione spirituale di un mondo che la guerra aveva diviso in due blocchi contrapposti.
Si trattava del cosiddetto ritorno a Cristo: “il ritorno a Cristo nelle coscienze, nei focolai domestici, nel pubblico costume, nelle relazioni fra classi sociali, nell’ordine civile, nei rapporti internazionali” (7).
L’Azione Cattolica: docile e combattiva
L’assistenza di una forza bene organizzata, compatta, docile ai valori del Papa, era dunque utilissima per un’azione pastorale a vasto raggio. E l’AC per Pio XII era proprio questo: “un sussidio prezioso”, “ma”, sia chiaro, “valido in via strumentale e subordinata”.
Essa sarebbe stata la leva fondamentale per instaurare il ritorno a Cristo.
L’AC, scompaginata nelle sue fila dalla guerra, nell’opera di riorganizzazione si conformò al volere del Papa e, soprattutto, attraverso Luigi Gedda (8) si caratterizzò per un forte attivismo e un forte uso strumentale dell’azione dei laici. Gedda è ancora ricordato per la sua più nota realizzazione: i Comitati Civici sorti i primi mesi del 1948 (9).
Il tipo di AC che emerse era funzionale ad una sempre più estesa ramificazione sociale, al fine di trasmettere i valori cristiani nei vari settori della società civile.
Gli fu chiesto, inoltre, di ricondurre sotto la sua guida, e quindi della Gerarchia, tutti quegli organismi associativi di ispirazione cattolica che costituivano il punto d’incontro tra la Chiesa e le categorie sociali e professionali.
Al tempo stesso essa assicurava una estesa area di consenso organizzato e di massa al Partito unico dei cattolici (la DC) che all’inizio non fu il partito della Chiesa, ma lo divenne nel giro di pochi anni e in suo favore giocò largamente l’unità politica dei cattolici (10) e appunto l’appoggio dell’organizzazione ecclesiastica: parrocchie, clero, AC.
Sia chiaro, l’AC non era solo quella a conduzione Gedda; vi era anche il filone che faceva capo ad Armida Barelli (dal 1946 al 1949 vice presidente generale dell’AC), portatrice delle istanze di Padre Agostino Gemelli della Università Cattolica, che dal 1920 al 1950 percorse più volte l’Italia per la diffusione della Gioventù Femminile (raggiungendo la cifra di 1.500.000 iscritte), e vi erano i movimenti intellettuali della Fuci (e poi del Movimento Laureati) di Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI) e Igino Righetti con una linea culturale di rifiuto delle posizioni antimoderne prevalenti nel mondo cattolico.
Ma il sopravvento, come forza d’urto le presero le prime due tendenze di massa (Gedda, e la GF) rispetto alla linea minoritaria degli intellettuali montiniani, anche se le posizioni più avanzate di questi ultimi sul terreno religioso e della riflessione teologica fruttificheranno in non poche acquisizioni conciliari.
Tale visione dell'AC (quella di Gedda), che si concretizzava in una forte presenza sociale e nel sostegno politico alla DC, si era affermata, ma a fronte di accesi contrasti come dimostrano le critiche mosse da Giuseppe Lazzati (11) (che difendeva appassionatamente l’autonomia politica del cristiano e giungeva alla giustificazione della diversità delle opzioni dei cattolici sul piano politico, legata alla necessaria unità sul piano dell’azione cattolica) e le resistenze ai vertici dell'Associazione che sfoceranno nelle dimissioni dei presidenti della GIAC: di Carlo Carretto prima (1952) e di Mario V. Rossi poi (1954). Per gli stessi motivi si dimette, o meglio viene dimesso, anche don Arturo Paoli (12), dal 1949 vice assistente della stessa Gioventù maschile di AC.
Va anche tenuto presente, come in parte accennato, che le iniziative e le linee di tendenza dell’associazione in quegli anni si rifanno all’ecclesiologia del tempo che vede nell’apostolato, nella missione di ogni ambiente, verso i lontani, lo scopo proprio della testimonianza cristiana. Il metodo usato fu quello della “base missionaria”: suo punto di partenza fu la necessità di mobilitarsi e agire perché tornassero a Cristo gli uomini, le famiglie, le città, l’umanità intera (impostazione pacelliana). E non fu solo un fatto organizzativo, ma di stile: il cristianesimo doveva essere diffusivo, in grado di irradiare Cristo (lo richiama il segno rappresentato dai distintivi di tutte le associazioni di AC con al centro una croce da cui partono dei raggi), deve essere lievito ovunque, stile di vita e di azione (13).
I meriti di quel periodo e di quelli precedenti sono scolpiti sulla pietra e la storiografia più avveduta ne offre un discreto panorama, come ebbe a dire Papa Paolo VI nel 1966 (14).
(1) Il centrismo nella storia d'Italia è stata la formula politica imperniata sulla Democrazia Cristiana che ispirò i governi della Repubblica Italiana dal 1947 al 1958 e, almeno formalmente, fino al 1963. In senso lato, può essere definito come le tendenza a creare aggregazioni politiche di centro.
(2) Tra il XIX e il XX secolo, il termine secolarizzazione indica propriamente quel fenomeno in base al quale la società non adotta più un comportamento sacrale e si allontana da schemi, usi e costumi tradizionali specie di matrice religiosa; questo fenomeno investe tutto il sistema dei valori, modificandoli e, con essi, trasformando anche le identità, le appartenenze.
(3) Il Concilio di Trento o Concilio Tridentino fu il XIX Concilio ecumenico della Chiesa cattolica, aperto da papa Paolo III nel 1545 e chiuso, dopo numerose interruzioni, nel 1563. Con questo concilio venne definita la riforma della Chiesa (detta Controriforma) e la reazione alle dottrine del calvinismo e luteranesimo (Riforma protestante).
L'aggettivo tridentino viene usato ancora oggi per definire alcuni aspetti caratteristici della Chiesa cattolica ereditati da questo concilio e mantenuti per i successivi tre secoli, fino ai concili Vaticano I e Vaticano II. Periodo, appunto post-tridentino.
(4) “Non voglio collaboratori, ma solo esecutori”, avrebbe affermato Pio XII (pontefice dal 1939 al 1958).
(5) “Sub signo peccati et Satanae” si diceva.
(6) Confrontare con il Radiomessaggio di Natale del 1947.
(7) Pio XII, Allocuzione del 4 settembre 1940.
(8) Luigi Gedda fu presidente centrale della Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC) dal 1934 al 1946, presidente degli Uomini di Azione Cattolica dal 1946 al 1949, presidente generale di tutta l'associazione dal 1952 al 1959.
(9) I Comitati Civici vennero fondati l’8 febbraio 1948 e in poche settimane furono costituiti oltre ventimila comitati locali. La rapida diffusione su tutto il territorio nazionale venne resa possibile dal notevole sostegno economico e soprattutto organizzativo che giungeva da parte dell'episcopato, espressamente sollecitato dal pontefice e un ruolo determinante lo ebbe la capillare diffusione dell'Azione Cattolica.
(10) Spinte - ancora non del tutto nitide, ma già forti - provenienti dalla gerarchia verso l’unità politica dei cattolici sono ravvisabili sin dalle elezioni per l’Assemblea Costituente e il simultaneo referendum istituzionale del 1946.
(11) Indimenticabile, il famoso articolo di Giuseppe Lazzati, dall’emblematico titolo, Azione cattolica e azione politica, apparso sul n. 20 di Cronache Sociali del novembre 1948, là dove riproponendo la tesi di J. Maritain della distinzione tra l’agire “da” cristiani e l’agire “in quanto” cristiani, richiamava con evidente allusione ai Comitati civici, “i limiti che si pongono all’Azione Cattolica e che non si possono superare senza andare contro alla sua essenza e perciò senza compromettere la Chiesa…”.
(12) Arturo Paoli, sacerdote, partecipa tra il 1943 e il 1944 alla Resistenza e svolge la sua missione sacerdotale a Lucca fino al 1949, quando viene chiamato a Roma come vice-asistente della Gioventù di Azione Cattolica, su richiesta di Mons. Montini, poi papa Paolo VI. Qui si scontra con i metodi e l'ideologia di Luigi Gedda, presidente generale dell'Azione Cattolica e all'inizio del 1954 riceve l'ordine di lasciare Roma per imbarcarsi come cappellano sulla nave argentina "Corrientes", destinata al trasporto degli emigranti.
Arturo compie solo due viaggi. Sulla nave incontra un Piccolo fratello della Fraternità di Lima, Jean Saphores, che Arturo assisterà in punto di morte. A seguito di questo incontro decide di entrare nella congregazione religiosa ispirata a Charles de Foucauld e vive il periodo di noviziato a El Abiodh, al limite del deserto, in Algeria.
(13) Ernesto Preziosi, Breve profilo storico dell’Azione Cattolica Italiana, Ave, 1984, pag. 61
(14) Paolo VI, Discorso ai partecipanti al Convegno nazionale dell’ACI, 26 marzo 1966. “Come si presenta oggi, dopo il Concilio, l’Azione Cattolica Italiana? Dovremmo dare uno sguardo retrospettivo alla sua storia, che tocca ormai il centenario. Sotto questo aspetto Noi dobbiamo nuovamente riconoscere ch’essa si presenta piena di opere e di meriti. Ci piace vedere che finalmente coloro che descrivono la storia italiana da un secolo a questa parte devono avvertire l’esistenza e l’efficienza di codesta corrente pensante ed operante di cattolici nel cuore del popolo e nello svolgimento della sua vita; si tratta d’un fenomeno molto vasto e profondo, sentito, meditato e sofferto da persone degnissime e numerose, tutto penetrato da ideali nobilissimi: di fede, di cultura, di rinnovamento sociale, di progresso, di amore al popolo, di fedeltà alla Chiesa, di speranza nell’avvenire. È tradizione da ricordare”… e “Ci sembra dover concludere che la posizione della Chiesa oggi in Italia deve moltissimo a quei movimenti di laici cattolici, animati e guidati dal Clero, che hanno organizzato, parlato, scritto, combattuto perché la religione e i principi che ne derivano agissero come fermento vitale nello sviluppo della società; non fu opera vana; fu efficace e salutare, non solo per la causa cattolica, ma per il Paese intero. Diremo di più a questo riguardo: l’animazione spirituale, morale, sociale e civile senza posa alimentata da tali movimenti, che adesso comprendiamo sotto il nome generico di Azione Cattolica, ha davvero preparato, sotto certi aspetti. il Concilio Ecumenico”.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
E’ necessario considerare che le annotazioni che seguono sono solo alcune di quelle che dovrebbero essere fatte e per di più solo quelle che ci interessano ai fini del nostro tema.
La Società: sacrifici e consolidamento democratico
Il primo dopoguerra sino al tramonto del centrismo (1) fu un tempo di sacrifici che servì a ricostruire il Paese e a consolidarlo nel sistema democratico. Avviò l’Italia sulla via di un consistente sviluppo economico principalmente nel campo industriale, arricchì i ceti benestanti, buona parte della borghesia e migliorò anche le condizioni di vita di ampi strati della popolazione. Lo sviluppo si realizzò anche grazie al sacrificio di parte del mondo del lavoro, segnato da un'imponente ondata di emigrazione interna verso i centri industriali italiani ed internazionali (l'Europa settentrionale e le Americhe).
La ricostruzione implicò una valorizzazione generale delle virtù tradizionali del popolo di prevalente stampo cristiano: familismo, solidarismo, morigeratezza nei costumi e nei consumi, propensione al risparmio.
Valori e doveri civici coincidevano ancora con le virtù cristiane, proposte con costanza anche dall’Azione Cattolica.
Sino alla fine degli anni ’50 l’onda lunga della secolarizzazione (2) non era ancora giunta a devastare la protetta cristianità italiana.
La Chiesa: società perfetta
L’idea dominante di Chiesa era quella di una società perfetta, sovrana e gerarchicamente strutturata.
La cosa non stupisca più di tanto. Essa era figlia della teologia post tridentina (3), la quale - di fronte alla Riforma protestante che negava la visibilità della Chiesa - aveva insistito sul carattere societario della Istituzione ecclesiastica. La Chiesa da allora fu presentata come “società perfetta”, con i suoi organismi dottrinali e con le sue strutture amministrative, simili a quelle degli Stati moderni assoluti del tempo.
Essa pertanto aveva una configurazione autoritaria, centralizzata e piramidale.
Poco spazio quindi restava alla partecipazione dei laici alla vita della Chiesa che non fosse subalterna ai valori del Papa, Vicario di Cristo (4).
In larghi strati del corpo cattolico il mondo era considerato come una realtà estranea posta al di fuori e di fronte alla Chiesa che andava affrontata; esso era considerato come un ordine naturale rovinosamente condizionato dal peccato originale e da Satana (5).
Nel clima montante della guerra fredda, la sia pure riaffermata imparzialità della Chiesa ad opera del Papa che si poneva al di sopra degli uomini e degli Stati (6), non resse l’urto della guerra religiosa che per vie autonome coinvolse le masse cattoliche in eccitate battaglie contro il demoniaco nemico comunista.
La dottrina di Papa Pacelli in materia di Azione Cattolica seguì quella del suo predecessore, Pio XI, ma si adattò a precise esigenze strategiche. Si delineava, infatti, il problema fondamentale della riedificazione spirituale di un mondo che la guerra aveva diviso in due blocchi contrapposti.
Si trattava del cosiddetto ritorno a Cristo: “il ritorno a Cristo nelle coscienze, nei focolai domestici, nel pubblico costume, nelle relazioni fra classi sociali, nell’ordine civile, nei rapporti internazionali” (7).
L’Azione Cattolica: docile e combattiva
L’assistenza di una forza bene organizzata, compatta, docile ai valori del Papa, era dunque utilissima per un’azione pastorale a vasto raggio. E l’AC per Pio XII era proprio questo: “un sussidio prezioso”, “ma”, sia chiaro, “valido in via strumentale e subordinata”.
Essa sarebbe stata la leva fondamentale per instaurare il ritorno a Cristo.
L’AC, scompaginata nelle sue fila dalla guerra, nell’opera di riorganizzazione si conformò al volere del Papa e, soprattutto, attraverso Luigi Gedda (8) si caratterizzò per un forte attivismo e un forte uso strumentale dell’azione dei laici. Gedda è ancora ricordato per la sua più nota realizzazione: i Comitati Civici sorti i primi mesi del 1948 (9).
Il tipo di AC che emerse era funzionale ad una sempre più estesa ramificazione sociale, al fine di trasmettere i valori cristiani nei vari settori della società civile.
Gli fu chiesto, inoltre, di ricondurre sotto la sua guida, e quindi della Gerarchia, tutti quegli organismi associativi di ispirazione cattolica che costituivano il punto d’incontro tra la Chiesa e le categorie sociali e professionali.
Al tempo stesso essa assicurava una estesa area di consenso organizzato e di massa al Partito unico dei cattolici (la DC) che all’inizio non fu il partito della Chiesa, ma lo divenne nel giro di pochi anni e in suo favore giocò largamente l’unità politica dei cattolici (10) e appunto l’appoggio dell’organizzazione ecclesiastica: parrocchie, clero, AC.
Sia chiaro, l’AC non era solo quella a conduzione Gedda; vi era anche il filone che faceva capo ad Armida Barelli (dal 1946 al 1949 vice presidente generale dell’AC), portatrice delle istanze di Padre Agostino Gemelli della Università Cattolica, che dal 1920 al 1950 percorse più volte l’Italia per la diffusione della Gioventù Femminile (raggiungendo la cifra di 1.500.000 iscritte), e vi erano i movimenti intellettuali della Fuci (e poi del Movimento Laureati) di Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI) e Igino Righetti con una linea culturale di rifiuto delle posizioni antimoderne prevalenti nel mondo cattolico.
Ma il sopravvento, come forza d’urto le presero le prime due tendenze di massa (Gedda, e la GF) rispetto alla linea minoritaria degli intellettuali montiniani, anche se le posizioni più avanzate di questi ultimi sul terreno religioso e della riflessione teologica fruttificheranno in non poche acquisizioni conciliari.
Tale visione dell'AC (quella di Gedda), che si concretizzava in una forte presenza sociale e nel sostegno politico alla DC, si era affermata, ma a fronte di accesi contrasti come dimostrano le critiche mosse da Giuseppe Lazzati (11) (che difendeva appassionatamente l’autonomia politica del cristiano e giungeva alla giustificazione della diversità delle opzioni dei cattolici sul piano politico, legata alla necessaria unità sul piano dell’azione cattolica) e le resistenze ai vertici dell'Associazione che sfoceranno nelle dimissioni dei presidenti della GIAC: di Carlo Carretto prima (1952) e di Mario V. Rossi poi (1954). Per gli stessi motivi si dimette, o meglio viene dimesso, anche don Arturo Paoli (12), dal 1949 vice assistente della stessa Gioventù maschile di AC.
Va anche tenuto presente, come in parte accennato, che le iniziative e le linee di tendenza dell’associazione in quegli anni si rifanno all’ecclesiologia del tempo che vede nell’apostolato, nella missione di ogni ambiente, verso i lontani, lo scopo proprio della testimonianza cristiana. Il metodo usato fu quello della “base missionaria”: suo punto di partenza fu la necessità di mobilitarsi e agire perché tornassero a Cristo gli uomini, le famiglie, le città, l’umanità intera (impostazione pacelliana). E non fu solo un fatto organizzativo, ma di stile: il cristianesimo doveva essere diffusivo, in grado di irradiare Cristo (lo richiama il segno rappresentato dai distintivi di tutte le associazioni di AC con al centro una croce da cui partono dei raggi), deve essere lievito ovunque, stile di vita e di azione (13).
I meriti di quel periodo e di quelli precedenti sono scolpiti sulla pietra e la storiografia più avveduta ne offre un discreto panorama, come ebbe a dire Papa Paolo VI nel 1966 (14).
(1) Il centrismo nella storia d'Italia è stata la formula politica imperniata sulla Democrazia Cristiana che ispirò i governi della Repubblica Italiana dal 1947 al 1958 e, almeno formalmente, fino al 1963. In senso lato, può essere definito come le tendenza a creare aggregazioni politiche di centro.
(2) Tra il XIX e il XX secolo, il termine secolarizzazione indica propriamente quel fenomeno in base al quale la società non adotta più un comportamento sacrale e si allontana da schemi, usi e costumi tradizionali specie di matrice religiosa; questo fenomeno investe tutto il sistema dei valori, modificandoli e, con essi, trasformando anche le identità, le appartenenze.
(3) Il Concilio di Trento o Concilio Tridentino fu il XIX Concilio ecumenico della Chiesa cattolica, aperto da papa Paolo III nel 1545 e chiuso, dopo numerose interruzioni, nel 1563. Con questo concilio venne definita la riforma della Chiesa (detta Controriforma) e la reazione alle dottrine del calvinismo e luteranesimo (Riforma protestante).
L'aggettivo tridentino viene usato ancora oggi per definire alcuni aspetti caratteristici della Chiesa cattolica ereditati da questo concilio e mantenuti per i successivi tre secoli, fino ai concili Vaticano I e Vaticano II. Periodo, appunto post-tridentino.
(4) “Non voglio collaboratori, ma solo esecutori”, avrebbe affermato Pio XII (pontefice dal 1939 al 1958).
(5) “Sub signo peccati et Satanae” si diceva.
(6) Confrontare con il Radiomessaggio di Natale del 1947.
(7) Pio XII, Allocuzione del 4 settembre 1940.
(8) Luigi Gedda fu presidente centrale della Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC) dal 1934 al 1946, presidente degli Uomini di Azione Cattolica dal 1946 al 1949, presidente generale di tutta l'associazione dal 1952 al 1959.
(9) I Comitati Civici vennero fondati l’8 febbraio 1948 e in poche settimane furono costituiti oltre ventimila comitati locali. La rapida diffusione su tutto il territorio nazionale venne resa possibile dal notevole sostegno economico e soprattutto organizzativo che giungeva da parte dell'episcopato, espressamente sollecitato dal pontefice e un ruolo determinante lo ebbe la capillare diffusione dell'Azione Cattolica.
(10) Spinte - ancora non del tutto nitide, ma già forti - provenienti dalla gerarchia verso l’unità politica dei cattolici sono ravvisabili sin dalle elezioni per l’Assemblea Costituente e il simultaneo referendum istituzionale del 1946.
(11) Indimenticabile, il famoso articolo di Giuseppe Lazzati, dall’emblematico titolo, Azione cattolica e azione politica, apparso sul n. 20 di Cronache Sociali del novembre 1948, là dove riproponendo la tesi di J. Maritain della distinzione tra l’agire “da” cristiani e l’agire “in quanto” cristiani, richiamava con evidente allusione ai Comitati civici, “i limiti che si pongono all’Azione Cattolica e che non si possono superare senza andare contro alla sua essenza e perciò senza compromettere la Chiesa…”.
(12) Arturo Paoli, sacerdote, partecipa tra il 1943 e il 1944 alla Resistenza e svolge la sua missione sacerdotale a Lucca fino al 1949, quando viene chiamato a Roma come vice-asistente della Gioventù di Azione Cattolica, su richiesta di Mons. Montini, poi papa Paolo VI. Qui si scontra con i metodi e l'ideologia di Luigi Gedda, presidente generale dell'Azione Cattolica e all'inizio del 1954 riceve l'ordine di lasciare Roma per imbarcarsi come cappellano sulla nave argentina "Corrientes", destinata al trasporto degli emigranti.
Arturo compie solo due viaggi. Sulla nave incontra un Piccolo fratello della Fraternità di Lima, Jean Saphores, che Arturo assisterà in punto di morte. A seguito di questo incontro decide di entrare nella congregazione religiosa ispirata a Charles de Foucauld e vive il periodo di noviziato a El Abiodh, al limite del deserto, in Algeria.
(13) Ernesto Preziosi, Breve profilo storico dell’Azione Cattolica Italiana, Ave, 1984, pag. 61
(14) Paolo VI, Discorso ai partecipanti al Convegno nazionale dell’ACI, 26 marzo 1966. “Come si presenta oggi, dopo il Concilio, l’Azione Cattolica Italiana? Dovremmo dare uno sguardo retrospettivo alla sua storia, che tocca ormai il centenario. Sotto questo aspetto Noi dobbiamo nuovamente riconoscere ch’essa si presenta piena di opere e di meriti. Ci piace vedere che finalmente coloro che descrivono la storia italiana da un secolo a questa parte devono avvertire l’esistenza e l’efficienza di codesta corrente pensante ed operante di cattolici nel cuore del popolo e nello svolgimento della sua vita; si tratta d’un fenomeno molto vasto e profondo, sentito, meditato e sofferto da persone degnissime e numerose, tutto penetrato da ideali nobilissimi: di fede, di cultura, di rinnovamento sociale, di progresso, di amore al popolo, di fedeltà alla Chiesa, di speranza nell’avvenire. È tradizione da ricordare”… e “Ci sembra dover concludere che la posizione della Chiesa oggi in Italia deve moltissimo a quei movimenti di laici cattolici, animati e guidati dal Clero, che hanno organizzato, parlato, scritto, combattuto perché la religione e i principi che ne derivano agissero come fermento vitale nello sviluppo della società; non fu opera vana; fu efficace e salutare, non solo per la causa cattolica, ma per il Paese intero. Diremo di più a questo riguardo: l’animazione spirituale, morale, sociale e civile senza posa alimentata da tali movimenti, che adesso comprendiamo sotto il nome generico di Azione Cattolica, ha davvero preparato, sotto certi aspetti. il Concilio Ecumenico”.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
mercoledì 9 novembre 2011
1. L’AZIONE CATTOLICA CONCILIARE TRA STORIA E TEOLOGIA
Circa un mese fa i responsabili giovani dell’Azione Cattolica della diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello mi hanno chiesto di partecipare ad una scuola associativa per trattare un tema di notevole spessore: L’Azione Cattolica conciliare tra storia e teologia.
La cosa mi ha fatto piacere, sia perché è bene che l’associazione organizzi scuole associative nelle quali studiare il suo essere e il suo fare, sia perché dell’AC mi sono sempre interessato e ad alcune di quelle vicende ho potuto partecipare.
Il lavoro che ho presentato nell’incontro del 30 ottobre mi piace ora metterlo a disposizione. Lo farò a puntate, come ho già fatto in agosto per una sommaria storia dei laici della diocesi, perché la lunghezza dell’elaborato risulterebbe estenuante.
Intanto parto dalla premessa, che rappresenta una sorta di indice del lavoro
PREMESSA
Tratteggiare alcune caratteristiche dell’Azione Cattolica Italiana (d’ora in poi AC) conciliare, cioè di quella Associazione che alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II (d’ora in poi CVII) giunse alla redazione dello Statuto del 1969, richiede alcune precisazioni preliminari.
Un sintetico e incompleto ragionamento storico-sociale sul periodo che precede e accompagna il CVII (1): gli anni ’50 e ’60 dei quali brevemente ricordare i tratti per noi interessanti quanto a società, Chiesa, AC.
L’indicazione di alcune novità emerse dal CVII relative:
- alla visione di Chiesa,
- al suo rapporto con il mondo,
- alla figura del cristiano laico.
Forti di queste acquisizioni potremo finalmente tratteggiare la fisionomia della nuova AC.
Indagando su:
- la scelta religiosa,
- le scelte del nuovo statuto,
- la rifondazione organizzativa,
- il metodo della revisione di vita,
- il progetto formativo-apostolico,
- il decalogo del laico di Azione Cattolica.
(1)Annunciato da papa Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, a soli tre mesi dalla sua elezione al soglio pontificio, aperto l’11 ottobre 1962 e chiuso l’8 dicembre 1965.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
La cosa mi ha fatto piacere, sia perché è bene che l’associazione organizzi scuole associative nelle quali studiare il suo essere e il suo fare, sia perché dell’AC mi sono sempre interessato e ad alcune di quelle vicende ho potuto partecipare.
Il lavoro che ho presentato nell’incontro del 30 ottobre mi piace ora metterlo a disposizione. Lo farò a puntate, come ho già fatto in agosto per una sommaria storia dei laici della diocesi, perché la lunghezza dell’elaborato risulterebbe estenuante.
Intanto parto dalla premessa, che rappresenta una sorta di indice del lavoro
PREMESSA
Tratteggiare alcune caratteristiche dell’Azione Cattolica Italiana (d’ora in poi AC) conciliare, cioè di quella Associazione che alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II (d’ora in poi CVII) giunse alla redazione dello Statuto del 1969, richiede alcune precisazioni preliminari.
Un sintetico e incompleto ragionamento storico-sociale sul periodo che precede e accompagna il CVII (1): gli anni ’50 e ’60 dei quali brevemente ricordare i tratti per noi interessanti quanto a società, Chiesa, AC.
L’indicazione di alcune novità emerse dal CVII relative:
- alla visione di Chiesa,
- al suo rapporto con il mondo,
- alla figura del cristiano laico.
Forti di queste acquisizioni potremo finalmente tratteggiare la fisionomia della nuova AC.
Indagando su:
- la scelta religiosa,
- le scelte del nuovo statuto,
- la rifondazione organizzativa,
- il metodo della revisione di vita,
- il progetto formativo-apostolico,
- il decalogo del laico di Azione Cattolica.
(1)Annunciato da papa Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, a soli tre mesi dalla sua elezione al soglio pontificio, aperto l’11 ottobre 1962 e chiuso l’8 dicembre 1965.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
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