ALCUNE NOVITA’ DEL CONCILIO VATICANO II CIRCA IL RAPPORTO DELLA CHIESA CON IL MONDO
Se prima ci siamo soffermati sulla Lumen Gentium, ora dobbiamo brevemente sostare sulla Costituzione pastorale Gaudium et Spes (GS) al capitolo IV, quello, a mio parere, più bello.
Consideriamo intanto due cose.
• La GS (1965) appare un secolo dopo il Sillabo (1) (1864), operando una sorta di rivoluzione copernicana nell’atteggiamento della Chiesa verso il mondo. Da un atteggiamento di condanna - o, quanto meno, diffidente - si passa a una visione duttile, cordialmente aperta (dialogica) benché non ingenua (critica) verso la modernità.
• Scavalcando il dissidio accumulatosi nell’epoca moderna, con la separazione tra fede e ragione, tra vangelo e cultura, la GS opera a proposito dei rapporti Chiesa-mondo la stessa rivoluzione copernicana operata dalla LG nei rapporti intraecclesiali. E’ chiaro allora che le due costituzioni, quella dogmatica (LG) e quella pastorale (GS), s’integrano reciprocamente e ci aprono davanti inedite prospettive sulla chiesa, il mondo, le relazioni tra di loro.
Infatti:
• Il mondo non è più ritenuto semplice teatro della gloria di Dio, né come materia informe della storia della salvezza, ma come il primo atto della storia della salvezza, sicché le realtà create -rivalutate in sé, perché parte della creazione - non hanno bisogno di essere consacrate, quanto piuttosto di essere autenticamente se stesse (2) (Gn 1-2), liberate dal male (3) (Gn 3).
• Le relazioni tra Chiesa e mondo non vanno più concepite come ostili (Sillabo) o, nella migliore delle ipotesi, separate (vecchio Concordato), ma in solidale corresponsabilità, dovendo sia la Chiesa (lievito) sia il mondo (pasta) convergere nel superamento d’entrambi: il “terzo trascendente” rappresentato dal regno.
Già papa Paolo VI aveva preannunciato nel 1964 i tempi nuovi di questo rapporto nella enciclica Ecclesiam suam (4) parlando di dialogo con il mondo, di colloquio: “La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio” (5).
Lo ribadirà con costanza a Concilio ormai concluso: “La Chiesa, nel Cristo e come il Cristo, ama il mondo di oggi, pronta a capirlo, ad assisterlo, ad offrirgli se stessa. Questo atteggiamento deve diventare il contrassegno della Chiesa di oggi“ (6).
E’ una vera e propria rivoluzione teologica. Cambia radicalmente la prospettiva, il modo cioè di intendere la condizione storica concreta della famiglia umana, che diventa elemento non solo rilevante ma indispensabile perché la Chiesa possa esplicitare la propria missione.
E il ragionamento si concentra attorno a due espressioni: il Signore è il fine della storia; i segni dei tempi.
1. Innanzi tutto, «il Signore è il fine della storia» (7): vale a dire che la vicenda dell’intera famiglia umana ha una precisa destinazione: si trova in cammino verso l’adempimento del progetto eterno di Dio e di questo adempimento la Chiesa si pone a servizio. Il disegno divino - vero disegno di salvezza - è la trasformazione “della famiglia umana in famiglia di Dio”, che avverrà perfettamente solo l’ultimo giorno. Ma ciò segna anche il compito e la direzione del cammino della famiglia umana; e quindi segna anche il compito della Chiesa: essere “lievito e quasi anima” della storia umana (8). La LG, lo abbiamo già detto, parla in questo senso preciso della Chiesa come “sacramento” e cioè come segno visibile ed efficace della presenza di Dio nella storia umana. Così facendo la Chiesa non fa altro che continuare nel tempo la missione stessa di Cristo.
2. Ma la profonda svolta teologica deve essere completata da un secondo argomento. La GS, affrontando i più gravi problemi sociali del nostro tempo, dichiara di volerlo fare procedendo «alla luce del vangelo e dell’esperienza umana» (9). Questo specifica il metodo che la costituzione intende assumere nella seconda parte. La Chiesa per vivere in pienezza la propria missione ha bisogno dell’esperienza umana, ha bisogno del mondo. Ciò è un preciso riferimento alla dottrina dei segni dei tempi.
Nei documenti del Vaticano II si trova per tre volte l’uso esplicito della formula: GS 4 (10); Unitatis redintegratio 4; Presbyterorum ordinis 9. Altre volte i testi richiamano lo stesso concetto, pur non usando esplicitamente la formula: ad esempio, GS 11 (11); GS 44 (12); Presbyterorum ordinis 6; Apostolicam actuositatem 14; Dignitatis humanae 15.
Il teologo M.D. Chenu, definisce così i segni dei tempi: “I fenomeni che, per la loro generalizzazione e la loro frequenza, caratterizzano un’epoca e attraverso i quali si esprimono i bisogni e le aspirazioni dell’umanità presente”.
Con questa formula entra, dunque, nella teologia e nel magistero il significato di storia e il riferimento ad essa.
E due sono gli elementi portanti della nuova visione che nasce dall’acquisizione della storicità: un elemento teologico (il Dio della fede cristiana è il Dio della storia); un elemento antropologico, (l’uomo, con le sue scelte nella storia, gioca se stesso).
Paolo VI farà della lettura dei segni dei tempi addirittura il punto di partenza per le riflessioni teologiche e per le indicazioni pastorali assumendo la scansione metodologica proposta dalla JOC, la Jeunesse Ouvrière Chrétienne: vedere, giudicare, agire.
Lo dirà con chiarezza in una sua grande enciclica, la Octogesima adveniens: “Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese, chiarirla alla luce delle parole immutabili del Vangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell’insegnamento sociale della Chiesa... individuare con l’assistenza dello Spirito Santo, in comunione con i vescovi responsabili, e in dialogo con gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà, le scelte e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche” (13).
(1) Il Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores (in italiano Elenco contenente i principali errori del nostro tempo, chiamato Sillabo) è un elenco di ottanta proposizioni che papa Pio IX pubblicò insieme all'enciclica Quanta cura nella ricorrenza della solennità dell’Immacolata Concezione, l’8 dicembre 1864.
(2) Confrontare con Genesi, 1-2.
(3) Confrontare con Genesi, 3.
(4) Paolo VI, Ecclesiam suam, n. 80 .“Com'è chiaro, i rapporti fra la Chiesa ed il mondo possono assumere molti aspetti e diversi fra loro. Teoricamente parlando, la Chiesa potrebbe prefiggersi di ridurre al minimo tali rapporti, cercando di sequestrare se stessa dal commercio della società profana; - come potrebbe proporsi di rilevare i mali che in essa possono riscontrarsi, anatemitizzandoli e movendo crociate contro di essi; - potrebbe invece tanto avvicinarsi alla società profana da cercare di prendervi influsso preponderante o anche di esercitarvi un dominio teocratico; e così via. Sembra a Noi invece che il rapporto della Chiesa col mondo, senza precludersi altre forme legittime, possa meglio raffigurarsi in un dialogo, e neppure questo in modo univoco, ma adattato all'indole dell'interlocutore e delle circostanze di fatto”.
(5) Paolo VI, Ecclesiam suam, n. 67.
(6) Paolo VI, Udienza del 1° mercoledì di maggio 1969.
(7) Gaudium et spes, n. 45.
(8) Gaudium et spes, n. 40.
(9) Gaudium et spes, n. 46.
(10) Gaudium et spes, n. 4. “Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico”.
(11) Gaudium et spes, n. 11. “Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l'universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell'uomo, orientando così lo spirito verso soluzioni pienamente umane”.
(12) Gaudium et spes, n. 44. “È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta”.
(13) Octogesima adveniens, n. 4.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
Nessun commento:
Posta un commento