ALCUNE NOVITA’ DEL CONCILIO VATICANO II CIRCA IL CRISTIANO LAICO
Le novità introdotte nell’idea di Chiesa e del suo rapporto con il mondo trovano nella rinnovata figura del cristiano laico la cartina al tornasole più evidente.
La riflessione teologica riconosce che i laici partecipano a pieno titolo all'unica missione evangelizzatrice della Chiesa. Tra Gerarchia e semplici fedeli, cioè, non vi è differenza di dignità e identiche sono la missione e la vocazione alla perfezione; diversa invece è la funzione: i membri della Gerarchia “per volontà di Cristo sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri” (1), mentre i laici, vivendo nel secolo e implicati negli affari temporali, “sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo” (2).
Un impegno genuinamente secolare che deve evitare gli errori opposti in cui molti cadono:
• da un lato, i nostalgici della cristianità, che rimpiangono il tempo quando il trono e l'altare, la spada e la croce si sovrapponevano (prospettiva ormai superata non solo storicamente, ma anche teologicamente);
• dall'altro, coloro che, scoraggiati dalla crisi dei valori e della fede, cercano rifugio in uno spiritualismo disincarnato.
Ne emerge che il laico è un vero cristiano, è un battezzato e nel battesimo si condensa l’essenziale, il cuore, il tutto. Non c’è bisogno di aggiungere altro, per avere la dignità di essere cristiani, per essere riconosciuti figli nella Chiesa.
Nella radice battesimale si colloca il fondamento della novità di vita dei cristiani laici. Da qui scaturisce la chiamata alla santità che li riguarda, in quanto “abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere nella santità di tutto il loro operare” (3), come espressione della loro configurazione a Cristo nella quotidianità.
Anzi, contribuendo “come fermento alla santificazione del mondo” sono testimoni privilegiati di quell’amore pasquale per il mondo che è compito di tutta la comunità.
Il Concilio, quindi, delinea una vocazione laicale la cui dignità non è minore a quella di chiunque altro nella Chiesa.
Si tratta, anche in questo caso, di una “svolta” significativa, se si pensa al ruolo puramente passivo che la teologia post tridentina assegnava ai laici: “Solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l’autorità necessari per promuovere e dirigere tutti i membri verso il fine della società. Quanto alla moltitudine, essa non ha altro diritto che quello di lasciarsi guidare e, come docile gregge, seguire i suoi pastori” (4).
La santità, come detto, diviene la prospettiva di tutti, perché è il battesimo l'origine della chiamata alla santità. Essa non è più privilegio di pochi: cristiani eletti con la statura degli eroi o persone comunque eccezionali. E’ invece una chiamata universale, perché presso Dio non vi è preferenza di persone (5).
Si passa dallo stato di santità alla santità di stato: è un capovolgimento.
La santità è possibile dentro le condizioni ordinarie della famiglia, del lavoro, delle relazioni sociali e politiche. Non bisogna fuggire chissà dove per diventare santi. I laici “cercano il regno di Dio trattando le cose temporali”: è proprio non sfuggendo ad esse che si realizza la ricerca del Regno.
E ciò ancora una volta a differenza di quanto accadeva prima del Concilio quando si riteneva che il fedele laico, per realizzarsi pienamente, dovesse ispirarsi alla spiritualità e al carisma dell'uno o dell'altro ordine religioso.
Il dato certo è che il Signore chiama tutti; chiama ognuno di noi per nome. La diversità dei carismi e dei ministeri nell’unico popolo di Dio riguarda le forme della risposta, non l’universalità della chiamata.
Il sacerdote contribuisce alla santificazione del mondo attraverso il ministero, il religioso attraverso la testimonianza dei consigli evangelici, il laico mediante la presenza nel mondo, testimoniando la forza santificatrice della Grazia all’interno delle realtà temporali.
Insomma, mentre il compito primario e immediato dei pastori è la costruzione della Chiesa e l’evangelizzazione con le azioni tipiche dell’attività pastorale, il compito primario e immediato dei laici è la costruzione della città dell’uomo con le azioni tipiche della vita quotidiana.
Naturalmente la condizione battesimale dei laici e il loro essere membri della comunità cristiana li abilita a prendere parte alla stessa missione apostolica o pastorale della Chiesa.
L’appartenenza alla Chiesa è il fondamento che impegna i laici a condividere, a loro modo e per loro parte, la missione salvifica della Chiesa stessa, nel triplice e unitario momento dell’annuncio della Parola, della celebrazione del culto, del servizio all’uomo nella carità.
Il testo conciliare sull’apostolato dei laici può essere un importante punto di riferimento: “Come partecipi della missione di Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno la loro parte attiva nella vita e nell'azione della Chiesa. All'interno delle comunità ecclesiali la loro azione è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei pastori non può per lo più ottenere il suo pieno effetto. Infatti i laici che hanno davvero spirito apostolico, ad esempio di quegli uomini e di quelle donne che aiutavano Paolo nella diffusione del Vangelo (cfr. At 18,18-26; Rm 16,3), suppliscono a quello che manca ai loro fratelli e confortano cosi sia i pastori, sia gli altri membri del popolo fedele (cfr. 1 Cor 16,17-18). Nutriti dall'attiva partecipazione alla vita liturgica della propria comunità, partecipano con sollecitudine alle sue opere apostoliche; conducono alla Chiesa gli uomini che forse ne vivono lontani; cooperano con dedizione generosa nel comunicare la parola di Dio, specialmente mediante l'insegnamento del catechismo; rendono più efficace la cura delle anime ed anche l'amministrazione dei beni della Chiesa, mettendo a disposizione la loro competenza” (6).
(1) Lumen gentium, n. 32.
(2) Lumen gentium, n. 31.
(3) Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Christifideles laici, n. 16.
(4) Pio X, Enciclica Vehementer, 11 febbraio 1906.
(5) Confrontare con la Lettera agli Efesini, 6,9: “E anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso i vostri schiavi. Lasciate da parte le minacce e ricordate che in cielo c'è il Signore loro e vostro, il quale non fa distinzione di persone”.
(6) Apostolicam actuositatem, n. 10.
Ad maiorem Dei gloriam.
Stefano Gentili
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