lunedì 3 gennaio 2022

POST 60 – I PONTI, GIOIE E DOLORI

Le singolari vicende della costruzione dei nuovi ponti sul Rigiolato e a Santa Liberata. Emblematiche del delicato rapporto tra istituzioni e cittadini, responsabilità e populismo. Il popolo non ha sempre ragione. Fui arrogante o deciso?

Come detto nel precedente post, sistemammo una bella serie di ponti. Due di questi, per il loro maggiore rilievo, occuparono le cronache giornalistiche. E ne successero delle belle, specie per il ponte di Santa Liberata a Porto S. Stefano, ma anche per quello sul fosso Rigiolato a Scarlino.

① Con il PONTE SUL RIGIOLATO, iniziato a costruire nell’autunno 1996 e concluso a Natale dello stesso anno, la nuova struttura andò a sostituire il vecchio ponte ammalorato che era con un’unica carreggiata molto stretta. Grazie a quell’intervento rendemmo più scorrevole la viabilità lungo la strada provinciale 84 di Scarlino, restituendole piena funzionalità e superando i precedenti limiti imposti al traffico. Erano previsti 3 mesi di lavoro e i tempi furono perfettamente rispettati. Nonostante ciò, di tanto in tanto uscivano articoli di giornale nei quali si diceva che “gli abitanti di Scarlino Scalo stanno veramente perdendo la pazienza”, sottolineando anzi che “è incredibile che ai tempi attuali per costruire un ponte del genere occorrano quasi tre mesi” (La Nazione, 20.11.1996). Io mi toccavo per sentire se ero sveglio o stavo sognando. Lunedì 23 dicembre alle ore 10 tagliai il nastro dell’inaugurazione del nuovo ponte, la spesa fu di oltre 600 milioni, i tre mesi previsti furono rispettati nonostante le avverse condizioni del tempo e addirittura il ritrovamento di un residuato bellico (e ti pareva). Fino al tre gennaio rimase aperto ad una sola carreggiata e solo per gli autoveicoli. Da quella data, fatte le prove di carico, fu aperto completamente a tutti i tipi di veicoli.

② Ma erano solo le avvisaglie di quello che sarebbe accaduto per il PONTE DI SANTA LIBERATA.

Dunque, dunque. La sistemazione del ponte sul canale di Nassa la Provincia l’aveva messa in cantiere da tempo, ma non l’aveva mai finanziata. Durante la Pasqua del 1995 c’erano già stati alcuni interventi e per qualche mese fu percorribile solo a senso unico alternato. Non ce la faceva più a sostenere il carico dei camion che dall’Aurelia scorrevano numerosi verso P.S. Stefano, tanto che ne fu ridotta la portata a 13 tonnellate, impedendo il transito di molti mezzi. Il ponte, per dirla in soldoni da pericoloso stava diventando pericolante. Motivo per cui decidemmo con determinazione di finanziare l’opera. Ovviamente, noi amministratori non ci occupavamo degli aspetti tecnici né dei momenti migliori o possibili per iniziarla. L’ing. Luschi e i suoi uomini, avuto il finanziamento, partirono con decisione, nella legittima convinzione che il ponte potesse giungere al punto di crisi (crollo) da un momento all’altro. Ed emanarono un’ordinanza che prevedeva l’inizio dei lavori il 17 febbraio e la conclusione il 16 maggio 1997, precisando che il transito sulla Giannella nei due sensi sarebbe stato “deviato lungo la statale Aurelia e lungo la statale 440 di P.S. Stefano”. Successe il finimondo. “Santa Liberta il ponte dei sospiri: appello alla Provincia e al Prefetto. A queste condizioni lavori impossibili”; “In campo i commercianti: danni incalcolabili” (Il Tirreno, 14.02.1997). “Pronti alla guerra per il ponte. Minucci e Visconti scrivono a Gentili e intanto si preparano a clamorose prese di posizione”; “Assemblee e riunioni. Scatta la mobilitazione”; “Scatenato il Comitato della Giannella” (Il Tirreno, 15.02.1997).

Indaffarato in mille cose e soddisfatto di aver finanziato quell’intervento, la clamorosa protesta mi colse di sorpresa.  Indubbiamente aveva ragione chi scrisse la postilla su Il Tirreno del 29 maggio: “I ponti sono la bestia nera della giunta Gentili, almeno per quanto riguarda i rapporti diretti fra Provincia e cittadini”.

Andai a fare un sopralluogo il 15 febbraio (presenti anche il sindaco di P.S. Stefano e l’assessore Lo Porto di Orbetello) e compresi che in quelle condizioni di esasperazione non era possibile far partire la cosa. Decisi quindi di rimandare l’intervento a dopo la stagione estiva. Parlai anche di valutare qualche soluzione complementare nei tre mesi necessari e i presenti mi parlarono di un ponte mobile del genio militare. Non presi nessun impegno, ma dissi che avrei fatto le necessarie verifiche. Il giorno dopo su La Nazione il titolo era: “La Provincia fa dietrofront. Ponte Santa Liberata, sospesi gli interventi dopo il sopralluogo. Gentili: Prima di chiudere l’accesso a Giannella bisogna creare passaggi alternativi”. Quello successivo, sempre lo stesso quotidiano, riportava l’esito di una riunione del Comitato di difesa della Giannella e titolava perentorio: “Soluzione militare a Santa Liberata”. Ma nello stesso articolo era riportata la domanda legittima dell’assessore Ferrari: “Il ponte Bailey si può fare, ma rimane il problema della spesa”. Senza lilleri non si lallera. Il Bailey per tre mesi, infatti, era una soluzione spropositata, ma al di là di questo: chi lo avrebbe pagato? Feci fare una serie di verifiche all’ingegner Luschi e nella riunione del 23 maggio con i sindaci di P.S. Stefano e Orbetello si comunicò loro che la costruzione del Bailey sarebbe costata circa 300 milioni. E noi non potevamo né volevamo buttare i soldi dei cittadini. Quello che potevamo assicurare era un passaggio leggero per far transitare pedoni, biciclette e ciclomotori spinti a mano. Il giorno dopo un articolo su Il Tirreno chiudeva con questa sentenza populista: “Poco rilevanti sembrano essere considerate le necessità dei cittadini che anche d’inverno abitano o hanno le loro attività sul tombolo della Giannella”. Bah. Tra l’altro la costruzione del Bailey oltre all’abnorme costo, avrebbe richiesto di fare interventi pesanti con il cemento, di abbattere alberi, distruggere un giardino, occupare una proprietà privata e probabilmente avremmo danneggiato anche l’adiacente rimessaggio delle barche.

Il nuovo ponte messo in cantiere avrebbe invece portato vantaggi che avrebbero ripagato i cittadini e i tanti turisti per il sacrifico dei tre mesi di chiusura. Parlavamo di un ponte ad una sola campata, senza pilone centrale e giunti, con una carreggiata di 7 metri (contro quella del vecchio di 6,2). In più ci sarebbero stati 2 marciapiedi protetti di 1,5 metri ciascuno e la portata da 13 tonnellate sarebbe stata elevata a quella massima al livello dei manufatti di prima categoria. Il gioco valeva la candela e i sindaci capirono.

Per l’appunto, il mese di giugno lo dedicammo ad incontri di verifica con le amministrazioni comunali della provincia per analizzare le cose messe in cantiere e quelle ancora da far decollare. Il 25 di quel mese insieme alla giunta provinciale mi presentai nella sala consigliare del comune di Monte Argentario ad illustrare le nostre iniziative. Eravamo consapevoli che la questione catalizzante l’attenzione e le critiche sarebbe stata quella del ponte, anche se speravamo in un dibattito più ampio. In parte il dibattito si ampliò a più questioni, ma visto che la lingua batte dove il dente duole, la parte del leone degli interventi dei presenti fu dedicata al ponte (cittadini, comitato e esponenti del gruppo Pds). Ascoltati tutti presi la parola e dissi: “L’amministrazione provinciale ha un vizio: quando decide una cosa non torna indietro. Si possono creare comitati, prese di posizione di gruppi politici, ma la decisione non si cambia” (Il Tirreno, 26.06.1997). Strafottenza, sfrontatezza, decisionismo? Ognuno la pensi come vuole. Continuai: “Questa brutta, cattiva amministrazione ha deciso di spendere dei soldi per fare il ponte e lo fa impegnandosi a portarlo a termine nel giro di tre mesi. Abbiamo valutato tutto, anche gli imprevisti. Dopo le verifiche siamo arrivati ad una conclusione. Il ponte Bailey non si può fare perché costerebbe molto, si dovrebbe demolire un giardino, andrebbero fatti basamenti e poi tolti, un sistema semaforico con 3 semafori che creerebbero il caos. E così siamo giunti alla determinazione di fare un passaggio pedonale. Questa è la riflessione: i 300 milioni è meglio spenderli per sistemare altre strade. I lavori inizieranno il 21 settembre e si concluderanno il 21 dicembre”. Amen. Aggiunse il vicepresidente Sammuri (che aveva provato nei giorni precedenti a convincere i pidiessini di Orbetello e P.S. Stefano, scintillando assai): “Questa patata bollente potevamo lasciarla ai nostri successori e con i 700 milioni accontentare altri. Quando si governa si prendono anche delle responsabilità” (sempre Il Tirreno del 26 giugno).

Naturalmente i dibattiti continuarono: “Chiusura del ponte sì o no. L’opposizione non ci sta e vuole il Bailey. Di Vincenzo: non si può fare altrimenti” (La Nazione del 4 luglio). Per chi ricorda la geografia politica di quel periodo sa che l’opposizione di Orbetello che si opponeva alle nostre decisioni era di centro-sinistra, cioè della nostra stessa parte politica. Come il gruppo Pds di P.S. Stefano. Evviva la libertà. Ma la cosa creò qualche imbarazzo specie nel Pds provinciale. Pace. Il sindaco Di Vincenzo (AN), invece, comprese la situazione e prese con noi un impegnò che onorò fino in fondo.

I lavori partirono puntualissimi il 21 settembre. Ovviamente io e De Carlo ci eravamo preoccupati di avere la massima rassicurazione dall’ingegner Luschi sul rispetto dei tempi (sulla qualità dell’intervento non c’era alcun dubbio). Massimo mi rassicurò dicendomi: “Presidente, concludiamo prima del 21 dicembre”. Tanto mi bastò: Luschi era di qualità e di parola.

Inaugurammo il ponte con tre giorni di anticipo, il 18 dicembre 1997. “Santa Liberata, promessa mantenuta. I lavori si sono conclusi in anticipo sulla data fissata. Un respiro di sollievo per i pendolari” (La Nazione, 18.12. 1997). “Il ponte rifatto a tempo di record. Il Presidente della Provincia Gentili riapre il passaggio verso Giannella. Visconti: perfetto regalo di Natale. Di Vincenzo: spesso il pubblico funziona” (La Nazione 19.12.1997).

Confesso che tutte le volte che transito sopra quel ponte ripenso a quelle vicende e sorrido.










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