Le singolari vicende della costruzione dei nuovi ponti sul Rigiolato e a Santa Liberata. Emblematiche del delicato rapporto tra istituzioni e cittadini, responsabilità e populismo. Il popolo non ha sempre ragione. Fui arrogante o deciso?
Come detto nel precedente
post, sistemammo una bella serie di ponti. Due di questi, per il loro maggiore
rilievo, occuparono le cronache giornalistiche. E ne successero delle belle,
specie per il ponte di Santa Liberata a Porto S. Stefano, ma anche per quello
sul fosso Rigiolato a Scarlino.
① Con il PONTE SUL RIGIOLATO, iniziato a costruire nell’autunno 1996 e concluso a Natale dello stesso anno, la nuova struttura andò a sostituire il vecchio ponte ammalorato che era con un’unica carreggiata molto stretta. Grazie a quell’intervento rendemmo più scorrevole la viabilità lungo la strada provinciale 84 di Scarlino, restituendole piena funzionalità e superando i precedenti limiti imposti al traffico. Erano previsti 3 mesi di lavoro e i tempi furono perfettamente rispettati. Nonostante ciò, di tanto in tanto uscivano articoli di giornale nei quali si diceva che “gli abitanti di Scarlino Scalo stanno veramente perdendo la pazienza”, sottolineando anzi che “è incredibile che ai tempi attuali per costruire un ponte del genere occorrano quasi tre mesi” (La Nazione, 20.11.1996). Io mi toccavo per sentire se ero sveglio o stavo sognando. Lunedì 23 dicembre alle ore 10 tagliai il nastro dell’inaugurazione del nuovo ponte, la spesa fu di oltre 600 milioni, i tre mesi previsti furono rispettati nonostante le avverse condizioni del tempo e addirittura il ritrovamento di un residuato bellico (e ti pareva). Fino al tre gennaio rimase aperto ad una sola carreggiata e solo per gli autoveicoli. Da quella data, fatte le prove di carico, fu aperto completamente a tutti i tipi di veicoli.
② Ma erano solo le
avvisaglie di quello che sarebbe accaduto per il PONTE DI SANTA LIBERATA.
Dunque, dunque. La
sistemazione del ponte sul canale di Nassa la Provincia l’aveva messa in
cantiere da tempo, ma non l’aveva mai finanziata. Durante la Pasqua del 1995
c’erano già stati alcuni interventi e per qualche mese fu percorribile solo a
senso unico alternato. Non ce la faceva più a sostenere il carico dei camion
che dall’Aurelia scorrevano numerosi verso P.S. Stefano, tanto che ne fu
ridotta la portata a 13 tonnellate, impedendo il transito di molti mezzi. Il
ponte, per dirla in soldoni da pericoloso stava diventando pericolante. Motivo per cui decidemmo con determinazione
di finanziare l’opera. Ovviamente, noi amministratori non ci occupavamo
degli aspetti tecnici né dei momenti migliori o possibili per iniziarla. L’ing.
Luschi e i suoi uomini, avuto il finanziamento, partirono con decisione, nella
legittima convinzione che il ponte potesse giungere al punto di crisi (crollo)
da un momento all’altro. Ed emanarono un’ordinanza che prevedeva l’inizio dei
lavori il 17 febbraio e la conclusione il 16 maggio 1997, precisando che il
transito sulla Giannella nei due sensi sarebbe stato “deviato lungo la statale Aurelia e lungo la statale 440 di P.S.
Stefano”. Successe il finimondo. “Santa
Liberta il ponte dei sospiri: appello alla Provincia e al Prefetto. A queste
condizioni lavori impossibili”; “In
campo i commercianti: danni incalcolabili” (Il Tirreno, 14.02.1997). “Pronti alla guerra per il ponte. Minucci e
Visconti scrivono a Gentili e intanto si preparano a clamorose prese di
posizione”; “Assemblee e riunioni.
Scatta la mobilitazione”; “Scatenato il Comitato della Giannella” (Il Tirreno,
15.02.1997).
Indaffarato in mille cose e
soddisfatto di aver finanziato quell’intervento, la clamorosa protesta mi colse
di sorpresa. Indubbiamente aveva ragione
chi scrisse la postilla su Il Tirreno del 29 maggio: “I ponti sono la bestia nera della giunta Gentili, almeno per quanto
riguarda i rapporti diretti fra Provincia e cittadini”.
Andai a fare un sopralluogo
il 15 febbraio (presenti anche il sindaco di P.S. Stefano e l’assessore Lo
Porto di Orbetello) e compresi che in quelle condizioni di esasperazione non
era possibile far partire la cosa. Decisi quindi di rimandare l’intervento a
dopo la stagione estiva. Parlai anche di valutare qualche soluzione
complementare nei tre mesi necessari e i presenti mi parlarono di un ponte
mobile del genio militare. Non presi nessun impegno, ma dissi che avrei fatto
le necessarie verifiche. Il giorno dopo su La Nazione il titolo era: “La Provincia fa dietrofront. Ponte Santa
Liberata, sospesi gli interventi dopo il sopralluogo. Gentili: Prima di
chiudere l’accesso a Giannella bisogna creare passaggi alternativi”. Quello
successivo, sempre lo stesso quotidiano, riportava l’esito di una riunione del
Comitato di difesa della Giannella e titolava perentorio: “Soluzione militare a Santa Liberata”. Ma nello stesso articolo era
riportata la domanda legittima dell’assessore Ferrari: “Il ponte Bailey si può fare, ma rimane il problema della spesa”.
Senza lilleri non si lallera. Il Bailey per tre mesi, infatti, era una
soluzione spropositata, ma al di là di questo: chi lo avrebbe pagato? Feci fare
una serie di verifiche all’ingegner Luschi e nella riunione del 23 maggio con i
sindaci di P.S. Stefano e Orbetello si comunicò loro che la costruzione del
Bailey sarebbe costata circa 300 milioni. E noi non potevamo né volevamo buttare
i soldi dei cittadini. Quello che potevamo assicurare era un passaggio leggero
per far transitare pedoni, biciclette e ciclomotori spinti a mano. Il giorno
dopo un articolo su Il Tirreno chiudeva con questa sentenza populista: “Poco rilevanti sembrano essere considerate
le necessità dei cittadini che anche d’inverno abitano o hanno le loro attività
sul tombolo della Giannella”. Bah. Tra l’altro la costruzione del Bailey
oltre all’abnorme costo, avrebbe richiesto di fare interventi pesanti con il
cemento, di abbattere alberi, distruggere un giardino, occupare una proprietà
privata e probabilmente avremmo danneggiato anche l’adiacente rimessaggio delle
barche.
Il nuovo ponte messo in
cantiere avrebbe invece portato vantaggi che avrebbero ripagato i cittadini e i
tanti turisti per il sacrifico dei tre mesi di chiusura. Parlavamo di un ponte
ad una sola campata, senza pilone centrale e giunti, con una carreggiata di 7
metri (contro quella del vecchio di 6,2). In più ci sarebbero stati 2
marciapiedi protetti di 1,5 metri ciascuno e la portata da 13 tonnellate
sarebbe stata elevata a quella massima al livello dei manufatti di prima
categoria. Il gioco valeva la candela e i sindaci capirono.
Per
l’appunto, il mese di giugno lo dedicammo ad incontri di verifica con le
amministrazioni comunali della provincia per analizzare le cose messe in
cantiere e quelle ancora da far decollare. Il
25 di quel mese insieme alla giunta provinciale mi presentai nella sala
consigliare del comune di Monte Argentario ad illustrare le nostre iniziative.
Eravamo consapevoli che la questione catalizzante l’attenzione e le critiche
sarebbe stata quella del ponte, anche se speravamo in un dibattito più ampio.
In parte il dibattito si ampliò a più questioni, ma visto che la lingua batte
dove il dente duole, la parte del leone degli interventi dei presenti fu
dedicata al ponte (cittadini, comitato e esponenti del gruppo Pds). Ascoltati
tutti presi la parola e dissi: “L’amministrazione
provinciale ha un vizio: quando decide una cosa non torna indietro. Si possono
creare comitati, prese di posizione di gruppi politici, ma la decisione non si
cambia” (Il Tirreno, 26.06.1997). Strafottenza, sfrontatezza, decisionismo?
Ognuno la pensi come vuole. Continuai: “Questa
brutta, cattiva amministrazione ha deciso di spendere dei soldi per fare il
ponte e lo fa impegnandosi a portarlo a termine nel giro di tre mesi. Abbiamo
valutato tutto, anche gli imprevisti. Dopo le verifiche siamo arrivati ad una
conclusione. Il ponte Bailey non si può fare perché costerebbe molto, si
dovrebbe demolire un giardino, andrebbero fatti basamenti e poi tolti, un
sistema semaforico con 3 semafori che creerebbero il caos. E così siamo giunti
alla determinazione di fare un passaggio pedonale. Questa è la riflessione: i
300 milioni è meglio spenderli per sistemare altre strade. I lavori inizieranno
il 21 settembre e si concluderanno il 21 dicembre”. Amen. Aggiunse il
vicepresidente Sammuri (che aveva provato nei giorni precedenti a convincere i
pidiessini di Orbetello e P.S. Stefano, scintillando assai): “Questa patata bollente potevamo lasciarla
ai nostri successori e con i 700 milioni accontentare altri. Quando si governa
si prendono anche delle responsabilità” (sempre Il Tirreno del 26 giugno).
Naturalmente i dibattiti
continuarono: “Chiusura del ponte sì o
no. L’opposizione non ci sta e vuole il Bailey. Di Vincenzo: non si può fare
altrimenti” (La Nazione del 4 luglio). Per chi ricorda la geografia
politica di quel periodo sa che l’opposizione di Orbetello che si opponeva alle
nostre decisioni era di centro-sinistra, cioè della nostra stessa parte
politica. Come il gruppo Pds di P.S. Stefano. Evviva la libertà. Ma la cosa
creò qualche imbarazzo specie nel Pds provinciale. Pace. Il sindaco Di Vincenzo
(AN), invece, comprese la situazione e prese con noi un impegnò che onorò fino
in fondo.
I lavori partirono
puntualissimi il 21 settembre. Ovviamente io e De Carlo ci eravamo preoccupati
di avere la massima rassicurazione dall’ingegner Luschi sul rispetto dei tempi
(sulla qualità dell’intervento non c’era alcun dubbio). Massimo mi rassicurò
dicendomi: “Presidente, concludiamo prima
del 21 dicembre”. Tanto mi bastò: Luschi era di qualità e di parola.
Inaugurammo
il ponte con tre giorni di anticipo, il 18 dicembre 1997. “Santa Liberata, promessa mantenuta. I lavori si sono conclusi in
anticipo sulla data fissata. Un respiro di sollievo per i pendolari” (La
Nazione, 18.12. 1997). “Il ponte rifatto
a tempo di record. Il Presidente della Provincia Gentili riapre il passaggio
verso Giannella. Visconti: perfetto regalo di Natale. Di Vincenzo: spesso il
pubblico funziona” (La Nazione 19.12.1997).
Confesso che tutte le volte
che transito sopra quel ponte ripenso a quelle vicende e sorrido.
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