Li mettemmo nei poster per la promozione delle riserve naturali, che rappresentarono molto più di una semplice scelta politica. Mettemmo sul piatto progetti per diversi miliardi di lire e diventammo la prima provincia toscana per aree protette
Non mi addentro nel campo
della zoologia o della ornitologia oppure dell’etologia o della zootecnia. Non
ne sarei capace. Ricordo soltanto i testimonial che mettemmo nei cinque poster
utilizzati per la promozione delle Riserve Naturali nella campagna
pubblicitaria del 1998 dal felice titolo Maremma
riserva di natura: un falco lanario, una vacca maremmana con due aironi
guardabuoi, un gruppo di fenicotteri e un biancone della riserva dei Rocconi.
Anche quella delle Riserve Naturali fu
un’altra importante scelta della legislatura ’95-’99.
Dopo attenta valutazione e
ampie consultazioni, convinti di operare nell’esclusivo interesse del nostro
territorio e della gente che vi abitava, tra il 1997 e il 1998 istituimmo,
come Provincia di Grosseto, 13 nuove riserve naturali: Basso Merse, Cornate
e Fosini, Diaccia Botrona, Torrente Farma, La Pietra, Montauto, Monte Labbro
(Parco Faunistico dell’Amiata), Monte Penna, Laguna di Orbetello, Pescinello,
Poggio all’Olmo, Rocconi, Montioni (Parco Interprovinciale). Un anno dopo la
nostra uscita di scena, si aggiunse il Bosco della SS. Trinità.
Con quella operazione la Provincia di
Grosseto divenne la prima in Toscana per estensione delle aree protette:
22.861 ettari + 10.679 ettari ricadenti nel Parco dell’Arcipelago Toscano. Un
totale di 33.540 ettari.
Giungere a quel risultato
non fu affatto semplice. Pur essendo sostenuto da una coalizione che anticipò
nel 1995 – con la dicitura Democratici Insieme (il centro-sinistra di allora
con i verdi e senza rifondazione) – l’Ulivo nazionale del ’96, eravamo in un
certo immaginario sempre i soliti rosso-verdi che tutto vogliono vincolare,
impedire, ostacolare. Sia chiaro, molta era propaganda, ma c’era anche del vero
e, una certa legislazione regionale, l’azione di alcuni personaggi-pomodoro,
qualche rigidità ideologica, non ci aiutavano di certo.
Io, per estrazione non avevo
quell’approccio culturale (anche se ero per la salvaguardia del creato) e i
miei primi collaboratori erano di equilibrato sentimento ambientale, ma tutti
comprendemmo che tutelare in modo particolare alcune aree del territorio
provinciale avrebbe avuto un grande valore morale, politico e, nel medio tempo,
economico.
L’istituzione delle riserve
naturali rappresentò più di una semplice scelta politica. Fu la formalizzazione dei simboli di un insieme, di una comunità, di
una provincia che voleva affermare anche un suo modello di vita e di sviluppo.
Che non era certo quello a cui pensavano alcuni industrialotti e politicanti
della Toscana del Nord e neppure i maître à penser dei fine settimana
capalbiesi.
In questo fu di molto aiuto
la preparazione, anche tecnica, del vicepresidente Giampiero Sammuri e la
sapienza ambientale dell’architetto Pietro Pettini.
Come pure, a livello di
atti, la realizzazione del Piano territoriale di Coordinamento (di cui parlerò
in seguito). Con quell’atto, infatti, riprendemmo in mano le redini del nostro
territorio, fino ad allora vincolato dal livello regionale e con ciò stesso
potemmo, in sintonia con la stessa Regione, togliere i vincoli dove non avevano
senso, limitarli dove potevano avere un significato se ridotti e orientarli,
magari rafforzandoli, là dove si ravvisavano aree di rilevante pregio
ambientale.
Nel post 54, immaginando lo
sviluppo della maremma, parlavo di una cartina multistrato fatta di diverse
emergenze da sovrapporre in modo complementare l’una sull’altra: la prima era
appunto quella territoriale naturale. E su questa linea, per dare gambe alla
valorizzazione delle riserve naturali, elaborammo un progetto per 8 miliardi
di investimenti, utilizzando canali europei, provinciali e del patto
territoriale, che dovevano essere impiegati per le attrezzature di base al fine
di rendere visitabili un gruppo di 7 riserve: percorsi attrezzati,
cartellonistica, locali di accoglienza, centri didattici.
L’azzeccatissimo slogan Maremma: riserva di natura offriva in
sintesi il senso di quell’azione, che si incastonava coerentemente sia con la
logica di valorizzazione turistica del Patto Territoriale che in quella dello
sviluppo propria del Distretto Rurale.
Il territorio maremmano,
alla luce anche della presenza del Parco della Maremma, di oasi del Wwf, del
Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, si presentava come uno dei più ricchi
di risorse ambientali dell’intera nazione. Risorse da godere, in primo luogo,
per vivere meglio, a contatto con la natura, magari osservando il biancone
nidificare nelle gole dell’Albegna, la betulla ondeggiare lungo il torrente del
Farma e fare il pieno di emozioni.
Ma anche da utilizzare,
rispettandole, nella creazione di flussi turistici dedicati all’ambiente, alla
natura, comunque alternativi e complementari allo sfruttamento estivo della
fascia costiera.
Anche questo fu fatto. E ne
vado fiero.
1995 - Area Giannella insieme a Fulco Pratesi e altri |
1996 - Io che perdo il mio sguardo nelle Cornate di Fosini |
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