Dovetti dedicare tempo prezioso ad una vicenda che non aveva prospettive. Presentato come l’ennesimo treno da non perdere, si concluse in un autentico flop
Nella vita, tanto più in quella politico-amministrativa, talvolta si è costretti a percorrere strade che si pensa non giungano a niente. Non per accondiscendenza, populismo o falsità, ma perché in tutta onestà si presume che altri (la gente o i corpi intermedi) possano avere una vista più lunga della tua. Inquadro in questa categoria la vicenda dell’Interporto di Braccagni.
A metà ’97 (ma il battage
era iniziato prima), promosso dai responsabili della Confartigianato e fatto
planare da alcuni interventi sul quotidiano Il Tirreno, prese il via il solito
tormentone maremmano: vogliamo l’Interporto! “L’interporto vale 2500 posti. Tanti ne sono previsti se il progetto
proposto dagli artigiani decollerà. Donati denuncia intralci burocratici che
rischiano di fare perdere alla maremma l’ennesimo treno” (Il Tirreno,
9.5.1997). A me la cosa non convinceva affatto. E con me non convinceva neppure
altri interlocutori associativi: Renzo Alessandri, direttore della Cna e
Giovanni Tamburro, direttore dell’Associazione Industriali di Grosseto. E anche
la Camera di Commercio era divisa al suo interno. “Interporto perplessità e speranze. I tanti dubbi di Cna e
Assoindustriali. La Camera di Commercio è favorevole a patto che tutti siano
coinvolti, Regione compresa” (Il Tirreno, 10.5.1997).
Perché non mi convinceva? Per le nostre debolezze. La nostra
provincia era ancora marginale rispetto ai flussi di interscambio merci che
caratterizzavano la regione e la nostra economia locale non aveva una forte
base industriale consolidata. Pertanto non era in grado di esprimere elevati
volumi di traffico. Inoltre, eravamo in presenza di inadeguate infrastrutture
stradali e ferroviarie e carenti di efficienti strutture per la movimentazione,
lo stoccaggio e il consolidamento delle merci. Infine, la zona di Braccagni non
trovandosi nell’obiettivo 2 della normativa europea, non poteva beneficiare di
finanziamenti a fondo perduto o con agevolazioni particolarmente vantaggiose.
• Nonostante le forti
perplessità che io e i miei stretti collaboratori avevamo, non mi tirai
indietro. Anzi, ribadii che la Provincia aveva “per prima proposto l’Interporto e noi avevamo riconfermato quella
scelta (più modesta di un centro intermodale) nella prima Conferenza sul Piano
Territoriale di Coordinamento”. Invitai, peraltro, ad essere “molto prudenti nel dire cose che poi
rischiano di creare illusioni” (Il Tirreno, 10.5.1997). Stavo, da due anni,
lavorando sul Patto territoriale per lo sviluppo della maremma grossetana e
toccavo con mano quanta dedizione, fatica, competenza, silenzio operativo, capacità
di tessere le giuste relazioni, coinvolgimento di tanti attori erano necessarie
per puntare a raggiungere il traguardo (che allora intravedevamo ancora
lontano). Ma tant’è. Tra l’altro, il presidente della Camera di Commercio,
Eliseo Martelli, non trovò altro che polemizzare col sottoscritto perché dissi
che lo studio sulla fattibilità dell’opera, che loro avevano già pensato di
assegnare alla Sgl Logistica, non poteva essere a carico degli enti pubblici. E
se l’associazione camerale voleva farlo, se lo doveva pure pagare (Il Tirreno,
16.05.1997).
Per
quanto mi riguardava, in un intervento alla Conferenza regionale dei trasporti
(nel gruppo sull’intermodalità) del 20 giugno 1997, dapprima criticai
fortemente il dott. Casini, coordinatore del bacino logistico centro-nord delle
ferrovie dello stato, che aveva parlato di potenziamenti dell’asse ferroviario
fuorché in una zona della Toscana, quella grossetana e gli dissi che avrei
gradito “conoscere le motivazioni di
questo disinteresse per la logistica di una zona della Regione che potrebbe
invece utilmente collocarsi tra l’Interporto di Guasticce e Civitavecchia. A
meno che non si voglia sostenere che la Maremma non fa più parte del centro, ma
del Sud (e allora esulerebbe dalle sue competenze di coordinatore)”. Poi
aggiunsi: “Prendo atto della volontà
della Regione di puntare al potenziamento o alla completa realizzazione dei due
Interporti di Livorno-Guasticce e Prato-Gonfienti. Forte, però, di quanto
indicato nel Piano di Indirizzo Territoriale regionale, dove si parla della
possibilità di previsione di centri intermodali e scali merci, comunico che in
sintonia con la Camera di Commercio, il Comune capoluogo e il mondo
associazionistico grossetano, stiamo lavorando per verificare la fattibilità di
un centro intermodale collocato in Maremma. Ciò in ragione della presenza di
una importante T di tipo stradale (Aurelia e Due Mari) e di tipo ferroviario
(specie se si tendesse a potenziare la linea trasversale). Vorrei, pertanto,
comprendere se la Regione Toscana condivide la nostra volontà di lavorare in
tal senso. Noi lo stiamo facendo con senso di realismo, senza pensare ad
inutili concorrenze, ma ad un sistema integrato e perseguendo quella logica di
spesa che punta alla conclusione delle opere intraprese”. Non ebbi
risposte, né in quella sede, né dopo.
• Quando adottammo il PTC,
il 7 aprile 1999, mantenemmo la previsione di un centro intermodale (non un interporto) e trovammo pure il
finanziamento per lo studio di fattibilità nel Fondo di sviluppo del Monte dei
Paschi di Siena, da me presieduto, per un importo di 89 milioni di lire. Fu
effettuato quel magno studio che al punto 1.4. recitava: “Considerato quanto sopra, l’iniziativa imprenditoriale relativa alla
realizzazione di un Centro Intermodale al momento non si giustifica”. Amen!
Più che una vista più lunga, quella dell’interporto
fu una svista clamorosa.
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