Il ricordo della relazione con gli amici “dell’Isola che c’è” lo porto stretto nel mio cuore. Più volte mi rifugiai da loro, ma gli incroci istituzionali furono quattro. Uno dei quali riguardò la visita del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro
Su una collina sormontata da
una croce, nel cuore della Maremma, al km 8 della Grosseto-Siena, sorge il
villaggio nel quale vive il popolo nuovo creato da don Zeno Saltini, una delle
voci profetiche più limpide e feconde del secolo scorso. Nel 1999 i suoi
abitanti erano 320 persone, una cinquantina di famiglie: volontari cattolici
decisi a costruire una nuova civiltà fondata sul Vangelo. A Nomadelfia tutti i
beni sono in comune, non circola denaro, non esiste proprietà privata, le
famiglie sono disponibili ad accogliere figli in affido. Qui sono nate le mamme
di vocazione: dalla prima, Irene, poi seguita da Norina, Zaira, Agnese, Enrica,
Sirte, Elis ed altre. Alle quali in seguito si sono aggiunte le coppie di sposi
(Nelusco e Anna, i pionieri). Da allora, i figli vengono consegnati all’altare
con le parole che Gesù in croce rivolse alla Madonna e all’apostolo Giovanni:
Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua madre. A Nomadelfia tutti lavorano ma
nessuno è pagato, e non esiste disoccupazione. Chi sbaglia è perdonato, purché
ammetta il suo errore e si penta. Ogni giorno si dedica un’ora alla
riflessione, cioè si fa cultura. “Utopia?
Semplicemente una comunità animata dallo spirito dei primi cristiani, di cui
parlano gli Atti degli Apostoli. Per lo Stato è un’associazione civile, una
fondazione, organizzata sotto forma di cooperativa di lavoro. Per la Chiesa è
una parrocchia comunitaria e un’associazione privata tra fedeli, ma non chiusa
in sé stessa, perché si presenta come fermento in mezzo alla società che la
circonda” (Jesus, n. 8 agosto 1999).
La relazione con gli amici
di Nomadelfia è tra i ricordi che custodisco più gelosamente nel mio cuore.
L’aplomb istituzionale che dovevo tenere, spesso lasciava il passo alla
condivisone e all’ammirazione per quella scelta evangelica radicale ed alla
specialità delle loro persone. Più volte mi recai a visitarli al di fuori dei
momenti solenni e trovai sempre amicizia e franchezza, senza accondiscendenze
di comodo. Ne uscivo sempre edificato e stimolato a dare il meglio di me a
servizio del popolo provinciale. A distanza di anni ho dimenticato alcuni nomi
(non tutti), ma ho impressi i loro volti, belli, solari, puliti.
Gli incroci istituzionali furono prevalentemente quattro. Il primo relativo all’orientamento verso di
loro dei finanziamenti giubilari, nella seconda trance, per la costruzione di
tre fabbricati destinati all’accoglienza povera e la predisposizione di un’area
di sosta e servizi per il Giubileo del 2000. Il secondo, il 22 gennaio 1998, per ricordare i 50 anni dal varo della
Costituzione firmata sull’altare nel 1948, poi rinnovata il 22 maggio 1994 e
approvata dalla Congregazione per il Clero. Il terzo, il 21 marzo 1999, per l’arrivo del Presidente della Repubblica
Italiana, Oscar Luigi Scalfaro, in occasione dell’apertura del centenario della
nascita di Don Zeno (1900-2000). Il quarto,
collegato sempre al centenario, il finanziamento per la realizzazione del
libro-ricordo Nomadelfia un popolo nuovo.
Proprio nella presentazione
del libro, finito di stampare in occasione dell’apertura del centenario, dicevo
le seguenti parole.
“Nomadelfia significa: la fraternità è
legge. Ed i suoi membri si chiamano nomadelfi perché per essi l’amore fraterno
è regola, in eroica applicazione della loro fede. È quanto si trova scritto
nella loro Costituzione ed è quanto ho potuto sperimentare tutte le volte che
sono entrato in contatto con la comunità. Dei tre grandi principi riaffermati
due secoli or sono la fraternità è ancora la più negletta. Non ci siamo ancora
neppure sul fronte dell’uguaglianza e della libertà, specie se diamo al nostro
sguardo dimensione planetaria. Ma la fraternità è il traguardo ancora più
lontano, forse perché, inglobandole, le sublima entrambe. E la comunità dei
liberi figli di Dio di Nomadelfia è il segno che vivere da fratelli è
possibile. È l’isola che c’è ed è qui, in mezzo a noi, tra le nostre zolle. Il
popolo nuovo, come amano chiamarsi e come hanno voluto intitolare questa
pubblicazione, somiglia a quei grandi massi dove, entrando nella Comunità,
testimoniano le loro regole. Rappresentano un monito severo verso il resto del
mondo, ma anche un sorriso, una speranza, una guida per coloro, tanti, che sono
dispersi. E sono gioia i loro spettacoli, è gioia quella che trasmettono ai
loro visitatori e ai loro figli. Non so se sarà mai possibile che comunità più
vaste, nazioni, popoli si possano organizzare sullo stile di Nomadelfia. Dentro
il mio cuore sento, però, che così dovrebbe essere”.
Ogni volta che penso a don
Zeno e agli amici di Nomadelfia, m’illumino
d’immenso.
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