I parchi, per me, sono sempre stati gatte da pelare. Tra la contrarietà della maggioranza dell’Isola del Giglio e la fretta del Ministro Ronchi, proposi l’idea del “Parco possibile”. La lettera a Romano Prodi.
I parchi, per me, sono
sempre stati gatte da pelare. Me li sono trovati addosso nei momenti di loro
massima crisi. Il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano nel periodo della sua
travagliata istituzione, il Parco della Maremma nella fase del
commissariamento. Rappresentavano altre due pietre rotolanti che si stavano
dirigendo a forte velocità anche addosso alla Provincia. Il primo tra la metà
del 1995 e primi mesi del ‘97, il secondo specie nel 1999. Apertura e chiusura
della legislatura breve. Tanto per gradire e non stare mai tranquilli. Del Parco
della Maremma parlerò più avanti.
Ora – con due interventi –
vorrei dedicarmi al Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (d’ora innanzi
PNAT) che del territorio provinciale coinvolgeva l’Isola del Giglio, l’Isola di
Giannutri, gli scogli del Giglio (l’Isola della Cappa, e Le Scole, lo scoglio
tristemente noto dove è andata a sbattere la Concordia), le Formiche di
Grosseto. A parte i tre isolotti delle Formiche che si trovavano nel comune di
Grosseto, tutti gli altri ricadevano nel comune dell’Isola del Giglio. Conservo
pochi articoli di giornale del 1995 riguardanti il PNAT, e anche la meritoria
rassegna stampa della Provincia entrò in modalità digitale (e quindi da tutti
fruibile) dal 1 settembre 1996. Fatto sta che, appena eletto Presidente, mi
trovai questa patata bollente da pelare.
• La questione veniva da
lontano. Nel 1991 era stata emanata la legge quadro sulle aree protette (la
394). In attuazione degli articoli 9 e 32 della Costituzione e nel rispetto
degli accordi internazionali, dettava principi fondamentali per l’istituzione e
la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere,
in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio
naturale del paese (così l’art. 1 al comma 1). Ottima cosa. La Provincia
praticamente non aveva voce in capitolo sulla decisone, ma la questione
politica era grossa come una casa. E da noi c’era il Thor dell’Isola del
Giglio, il sindaco Giacomo Landini, che roteava il martello della
contrapposizione totale, sponsorizzato dalla destra provinciale in ascesa, come
quella nazionale. La protesta contro l’istituzione del Parco gli aveva fatto
vincere le elezioni del 1995 e – nonostante i tempi fossero cambiati e gli
animi placati – gli farà vincere anche quelle del 1999. Con Landini, a quei
tempi, era molto attivo l’assessore Walter Rossi, mio carissimo amico. Ancora
oggi si addebitano furbescamente al Parco responsabilità che non ha. A tal
riguardo si vada a rivedere lo scambio di battute, in occasione della campagna
elettorale per le amministrative del 2014, tra l’attuale sindaco, Sergio
Ortelli (Giglionews.it 6.03.2104), e il presidente del PNAT, Giampiero Sammuri
(Il Tirreno, 19.03.2014), sui problemi della piccola isola di Giannutri.
• Io nel 1995 ero a capo di
una coalizione provinciale di sinistra-centro che, per sua natura, non poteva
essere contraria alla salvaguardia della natura e alla istituzione delle aree
protette. Questo modo di pensare è di per sé un valore, ma dietro la spinta
propagandistica della destra (che accusava noi, la regione Toscana e il governo
nazionale di voler ingessare il territorio, rovinare il turismo di massa e
favorire la solita élite sinistrorsa capalbiese, bla, bla, bla…) era diventato
un disvalore nella percezione della gente e nei dibattiti quotidiani sui
giornali.
Per storia personale ero per
la salvaguardia del creato, ma non mi aveva mai convinto una politica tesa solo
a tutelare senza puntare anche a valorizzare. Avevo in mente quanto sta scritto
nella Bibbia a proposito dei progetti che Dio ha sull’uomo quando, all’inizio
della creazione, lo pone nel giardino di Eden. “Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse
e lo custodisse” (Gen. 2, 15). Appunto, lo custodisse e lo coltivasse.
E ho messo prima il custodire. Una certa sinistra verdognola puntava solo alla
tutela. Ma non mi apparteneva e non apparteneva anche a larga parte della
maggioranza che mi sosteneva. Quindi le boiate della destra non mi scalfivano.
Però il problema c’era ed era in alcune procedure e contenuti della legge 394
come pure nella imminente istituzione del PNAT.
Tra l’ottobre 1995 e
l’estate ’96 la questione PNAT mi tenne molto occupato in un lavoro di
relazioni con i soggetti interessati, dai ministri Baratta (governo Dini) e
Ronchi (governo Prodi) al presidente della Regione Toscana, Chiti, dal
presidente della Provincia di Livorno, Frontera, al sindaco dell’Isola del
Giglio, Landini. Il mio impegno diretto si protrasse sino ai primi mesi del
’97, poi lasciai che le cose andassero secondo natura.
IL PARCO COME. Era chiaro
che, nonostante l’opposizione frontale della coalizione che governava l’Isola
del Giglio e soprattutto del suo sindaco, il PNAT sarebbe stato istituito di lì
a poco. Mi convinsi, dunque, che bisognava uscire dalla inconcludente logica
del Parco sì – Parco no per entrare
in quella più produttiva del Parco come.
Era la via più difficile, ma
a mio modo di vedere era la sostanza e la
forma di una vera azione di governo. Voleva dire agire senza estremismi e
gestire le situazioni per quelle che sono, possibilmente indirizzandole verso
gli esisti sperati. Era la via debole che ripudiava la politica gridata, fatta
di dichiarazioni, interviste, comunicati stampa 24 ore su 24, considerati quasi
come una sorta di specchio di Biancaneve dal quale ricevere l’attesa risposta
sulla più bella del reame. Io credevo fermamente, insomma, che amministrare
significasse governare i processi in atto per contribuire al cambiamento,
favorire il salto di qualità, raggiungere i risultati sperati. Era la logica
del chicco di grano, che se non muore non porta frutto e che ci consentiva
finalmente di uscire dal teatrino dell’ovvio. Questo atteggiamento paga poco in
termini mediatici, ma è l’unico in grado di raggiungere gli obiettivi
possibili.
Con questo stile cercai di
affrontare anche la questione del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.
Specie insieme al Presidente della Provincia di Livorno, Claudio Frontera – che
sulla questione Parco aveva maturato le mie stesse idee e viveva le stesse
difficoltà – giungemmo ad alcune convinzioni, maturammo una decisione,
lanciammo una sfida.
• La principale
CONVINZIONE era che sopra la testa delle popolazioni interessate non poteva
essere imposto nulla, salvo quanto richiesto da uno stato di diritto.
L’impianto della legge 394/91, in tema di competenze delle varie articolazioni
dello Stato, sembrava politicamente contrastare con la legge del 1990 che
statuiva la potestà dei Comuni e delle Province e a maggior ragione con il
principio di responsabilità diretta delle popolazioni amministrate che la
successiva legge del 1993 aveva affidato ai Sindaci e ai Presidenti delle
Province. Per questo, era indispensabile riconsiderare il ruolo delle autonomie
locali in materia di parchi nazionali attraverso le necessarie modifiche della
394/91. Pertanto, la costituzione del PNAT sarebbe dovuta scaturire da un
percorso nel quale la perimetrazione fosse la conclusione di un lavoro
programmatorio comune degli Enti Locali e della Regione Toscana, tale da poter
essere assunto dalla Regione medesima in sintonia con i principi normativi che
si era data con la LR 77/95 per il sistema delle Autonomie Locali, con la LR
26/92 per la programmazione e con la LR 5/95 per il governo del territorio.
• Per ricollocare le
autonomie locali al centro dell’intero processo, maturammo la DECISIONE di
inviare una missiva alla Regione Toscana nella quale: rappresentare la nostra
contrarietà alla proposta trasmessa dal Ministero, per questioni sia di
contenuto che di metodo; chiedere come Province (di Grosseto e Livorno) un
esplicito mandato onde procedere ad avanzare proposte e piani di perimetrazione
e di gestione, da formulare mediante conferenze di concertazione con i Comuni
interessati.
• Lanciammo, infine,
una SFIDA nei riguardi della Regione Toscana, perché il tanto conclamato
federalismo trovasse attuazione in comportamenti sostanziali oltre che in
dichiarazioni formali. Insomma chiedemmo un esplicito mandato a diventare
protagonisti di un percorso che ci avrebbe permesso di giungere alla
costituzione del PNAT per una via diversa e con un metodo innovativo, tale da
condurci – tramite la Regione Toscana – a rappresentare
al Ministero una ipotesi di parco possibile quanto a perimetrazione,
zonizzazione e gestione (tutti termini allora di moda) condiviso dalle comunità
locali delle Isole, dalle due province e dalla regione stessa. In concreto
voleva dire: che per la perimetrazione il punto di partenza irrinunciabile erano
i Piani Regolatori Generali dei Comuni; che la zonizzazione, ossia la
suddivisione del territorio del Parco in zone 1-2 e, perché no, 3 scaturisse da
questa concertazione tra Enti Locali; che per la gestione, la Regione Toscana
si impegnasse (e riuscisse) a strappare al Ministero l’impegno di nominare
almeno la maggioranza dei componenti il Consiglio Direttivo dell’Ente Parco
all’interno di rose di candidati graditi alla Comunità del Parco, composta
dagli Enti Locali.
Per
tutti questi motivi – e non lasciare nulla di intentato – scrissi, il 30 maggio
1996, una lettera al neo Presidente del Consiglio dei Ministri, Romano Prodi,
di cui riporto l’avvio e la conclusione. “Pregiatissimo
Presidente, mi permetto di sottoporre alla Sua attenzione la questione del
Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano che forse domani troverà sul tavolo del
Consiglio dei Ministri. Il punto all’o.d.g. è, probabilmente, uno dei tanti;
ma, in verità, contiene in sé delicati e complessi intrecci che acquistano una
valenza generale nel metodo e nel merito di governo. Il Parco appare, infatti,
come una soluzione sostanzialmente calata dall’alto senza nessun coinvolgimento
delle popolazioni e delle istituzioni locali. (…) Io ritengo, anzi, che la tutela e la gestione dei parchi debba essere
nelle mani pressoché esclusive delle Comunità locali che, vivendo su quel
territorio, ne desiderano più di altri la tutela e la valorizzazione. Questa è
la cultura e la storia della provincia di Grosseto e i fatti lo dimostrano. Per
quanto detto sono a chiederle, pregiatissimo Presidente, di voler sospendere
l’iter amministrativo dell’istituzione del Parco Nazionale dell’Arcipelago
Toscano e di attivarsi sin da subito per una rapida modifica della Legge 394/91
laddove è in evidente contrasto con le istanze che, sempre più consistenti,
salgono dalle popolazioni e dalle amministrazioni locali. Istanze di un
autentico federalismo da lei certamente condiviso”.
Lettera un po’ velleitaria, si dirà, ma io la scrissi
ugualmente.
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