Le sue potenzialità, la storia mineraria e chimica, i danni provocati all’ambiente, l’ingombro dell’inceneritore mi costrinsero ad ascoltare e studiare per calarmi con il cuore e la mente in una situazione veramente nuova
Entrato in Provincia della
zona nord della provincia non conoscevo quasi nulla.
Di quell’area avevo
reminiscenze delle scuole elementari, nei cui libri si parlava della pirite
delle Colline Metallifere e dei soffioni boraciferi del non lontano Larderello
(PI), dove 91 anni prima (il 4 luglio 1904) erano riusciti ad accendere 5
lampadine grazie alla trasformazione in energia elettrica della forza del
vapore prelevato nel sottosuolo. Come d’altronde, passando ad un’altra zona,
del cinabro del Monte Amiata. Per la verità un altro ricordo ce l’avevo:
riguardava un campo scuola al quale avevo partecipato nel 1971 organizzato da
don Leopoldo Genovesi a Gerfalco, nel comune di Montieri, dove arrivammo dopo
circa 3 ore di pulmino.
Se poi la devo dire tutta, avevo
avuto incontri con amici democristiani negli anni ’90-’92 in vista dei
congressi provinciali, regolarmente persi: mi sembra Gavorrano, Follonica,
Massa Marittima.
Ma, a parte queste veloci
incursioni, di quella splendida zona della nostra provincia conoscevo veramente
poco.
Mi aveva colpito nella fase
elettorale, consegnandomi risultati con percentuali rilevanti: Follonica (8.360
voti, 61,31%), Gavorrano (3.675, 72,44%), Massa Marittima (4.410, 71,92%),
Montieri (757, 80,88%), Scarlino (1.252, 70,57%), Monterotondo (615, 80,81%).
Ma, alle prime conoscenze da Presidente, fui impressionato per le sue bellezze
e le sue ferite, per il tentativo di ragionare come area, sia pure con alcuni
legittimi protagonismi.
L’area era veramente rossa e
il suo personale politico molto preparato, compresi anche alcuni di quelli che
nel 1995 avevano lasciato, come Renato Bolognini ex sindaco di Massa Marittima
e Enrico Norcini ex sindaco di Follonica. Del primo me ne parlò molto bene
Mariella Gennai, tanto che a fine ‘96 gli chiesi la disponibilità per la
presidenza della Rama, ma declinò. Il secondo era un noto personaggio della
zona, che speravo non mi fosse proposto, nel maggio ’95, dal Pds come assessore
solo perché volevo circondarmi di una compagine totalmente nuova e discontinua
(ma lo ritenevo assai preparato) e nessuno me lo propose. C’era anche
l’architetto Claudio Saragosa, poi sindaco di Follonica, che curò la
pubblicazione dell’interessante Conferenza sullo sviluppo e il coordinamento
territoriale tenuta a Follonica nel marzo 1994. E poi c’era il Partito che,
sino ai primi anni ’90, aveva funzionato come strumento di collegamento con
quello regionale e nazionale ed era in grado di forgiare classi dirigenti di
tutto rispetto.
Quegli amministratori – (tra
cui Mauro Giusti di Gavorrano, Alduvinca Meozzi di Scarlino, Avio Bardelloni di
Monterotondo Marittimo e Alberto Niccolaini presidente della Comunità Montana),
a cui si aggiunsero nel 1995, Emilio Bonifazi (popolare) nuovo sindaco di
Follonica, Luca Sani nuovo sindaco di Massa Marittima, Giancarlo Bastianini
(popolare) nuovo sindaco di Montieri, Alidiano Bargelli, nuovo presidente della
comunità montana e, appunto, Bolognini e Norcini – avevano portato avanti una
riflessione approfondita sulla necessità di passare da un modello di sviluppo a
un altro.
Fase
di crisi, quindi di passaggio, faticoso e indispensabile,
nella quale svolsero un ruolo di rilievo anche i sindacati (ricordo Silvano
Polvani della CGIL, Giovanni Balloni della Cisl, Antonio Granelli della Uil, che
insieme facevano parte della FULC e i loro referenti provinciali Palmiero
Ferretti, Bulfardo Romualdi, Walter Lunardi) e le associazioni di categoria,
come la Confesercenti di Follonica, guidata da Luigi Cacialli, su posizioni
diametralmente opposte.
E naturalmente c’era l’ENI
con l’Ad della Nuova Solmine, Paolo Vazzana, poi Luigi Mansi, Ad da metà ‘94 e
poi della Sol.Mar. Quindi l’amministratore delegato della Tioxide, Luigi
Cutrone. Era anche la zona, specie quella tra la Val di Cornia e Follonica, nella
quale di tanto in tanto faceva incursioni l’on. Fabio Mussi e che elesse
senatore Giuseppe Turrini, di Alleanza Nazionale.
Io
ero alle prime armi, avevo 38 anni, ero popolare e confrontarmi con quel
personale, prevalentemente ex-comunista, consolidato e stagionato, non fu una
cosa semplice. Anche perché – pure in questo caso – in
Provincia non c’era alcun dossier Colline Metallifere. E dovetti pagare tutto
sulla mia pelle, sia lo studio, la conoscenza e le relazioni non sempre facili.
Da subito, ma in particolare
dopo il tour della provincia organizzato con la mia giunta, compresi che ormai da qualche anno quel
personale aveva deciso di cambiare modello di sviluppo, partendo dalla
tremenda crisi mineraria e le sue conseguenze e facendo dell’ambiente il punto
decisivo di valutazione delle politiche locali. Lo aveva esplicitato Bolognini
ricordando che la casa (oikos, termine comune all’economia e all’ecologia) era
una sola, sia che si trattasse della norma che stabilisce il modo con cui era
possibile gestirla (economia), sia che riguardasse il modo con cui la si voleva
tenere bella e pulita dal punto di vista del sistema biologico (ecologia). E la
scelta sulla quale iniziarono ad incamminarsi era completamente diversa da
quella del passato economico, che aveva mirato esclusivamente ad arricchire i
componenti della casa e non a renderla adatta alle persone che ci abitavano.
Con una differenza sostanziale: rispetto alla presenza dell’industria alcuni
parlavano di reindustrializzazione sostenibile, altri di deindustrializzazione.
All’interno di questa
macro-questione di fondo, apparentemente solo teorica, ci stavano problemi molto concreti e gravi. Infatti, ad essere
dettagliati se, nel 1995, guardavo il panorama delle Colline Metallifere avevo
dinanzi agli occhi: – un’area in transizione dal punto di vista economico e
culturale; – una storia mineraria, ormai conclusa, che aveva profondamente
segnato la gente da un punto di vista economico, sociale, psicologico,
comportamentale; – la grande questione della bonifica ambientale dei siti
degradati dall’attività mineraria; – la riorganizzazione del sistema idraulico,
con la ricostruzione della foce del fiume Pecora, per garantirne lo sbocco a
mare; – interlocutori di spessore ed anche un po’ furbacchioni, dagli amministratori
locali ai referenti locali dell’ENI; – la necessità di comprendere la vera
partita che Eni voleva ancora giocare sul nostro territorio, a cominciare dalla
vendita di Nuova Solmine; – la questione della riconversione occupazionale dei
lavoratori usciti dal ciclo chimico-minerario e della reindustrializzazione
compatibile; – il macigno del cogeneratore di Scarlino.
Rispetto ad alcuni di questi problemi la Provincia poteva
svolgere un’azione diretta, come lo sbocco a mare del Pecora, riguardo ad altri
solo un’attività di stimolo e, se richiesta, di coordinamento, di pressione nei
confronti della Regione Toscana, del Ministero e dei comuni. Cioè, un’azione
politica. Azione che provai a svolgere
insieme a due miei assessori della zona: Mariella Gennai, per ciò che
riguardava la cosiddetta vertenza ENI; Daniele Morandi, per le bonifiche
ambientali. Mi stavo quasi per dimenticare: a rendere la vita di quella
zona (e nostra) ancora più movimentata nacque pure un Comitato che voleva
riportare l’orologio della storia al 1815, proponendo la Costituzione della
Provincia del Golfo. E poi?
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