giovedì 7 aprile 2022

POST 77 – VIVA L’ITALIA, VIVA L’EUROPA

Il mio discorso in piazza Dante a Grosseto per l’anniversario della liberazione del 25 aprile 1997

Dal 25 aprile 1996 al 25 aprile 1999 ho sempre partecipato a Grosseto alla commemorazione della liberazione. Come presidente della Provincia dovevo esserci e volevo esserci. Per quella del 25 aprile 1997 mi fu chiesto di fare il discorso principale. Dopo il consueto corteo salii sul palco, in piazza Dante, insieme ad altri rappresentanti istituzionali civili e militari ed ai responsabili dell’ANPI. Feci un discorso asciutto (usufruendo anche di dati ricevuti da Luciana Rocchi, direttrice dell’Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell’Età Contemporanea), non roboante, senza eccessi di retorica, nella speranza che il 25 aprile potesse diventare oltre alla Festa della Liberazione, anche la festa della riunificazione d’Italia, senza indulgere a sommarie valutazioni e inaccettabili denigrazioni. O giudizi edulcorati sui presupposti ideologici e sulle drammatiche conseguenze del nazismo e del fascismo.

Mi era piaciuto, l’anno prima, il discorso d’insediamento come presidente della Camera di Luciano Violante sui ragazzi di Salò. Si era sforzato di capire le ragioni degli avversari, senza guardarsi allo specchio. Disse infatti che, senza indulgere nel revisionismo falsificante, bisognava cercare di conoscere le ragioni per le quali molte migliaia di ragazzi e soprattutto ragazze, quando ormai tutto era perduto, passarono alla Repubblica di Salò piuttosto che dalla parte della libertà e della democrazia. Fece cioè uno sforzo di comprensione, e non di giustificazione, di certi fatti storici. Nonostante ciò, e rifiutando qualsiasi arroccamento su una “rigida difesa di una certa interpretazione della Resistenza”, stigmatizzai “i caratteri sempre più preoccupanti dell’offensiva di un certo revisionismo iniziata diversi anni” prima “in sede storiografica, poi trasbordata nelle pagine dei rotocalchi e delle televisioni”. E, come antidoto, pensai all’Europa, allora in costruzione. Il discorso – modesto, ma sentito – lo intitolai Viva l’Italia, Viva l’Europa e lo riporto di seguito.

“Cinquantadue anni sono trascorsi dalla Liberazione del 1945. Storicamente, lo sappiamo, il 25 aprile ha segnato la fine della lotta di liberazione e l'inizio del cammino verso la democrazia. Prima tappa di questo cammino fu la Costituzione, che fondò il nuovo stato democratico sui valori ai quali si era ispirata la Resistenza. La data del 25 aprile e gli ideali che alimentarono quel grande moto di ribellione e di lotta contro il nazifascismo sono ancora vivi nella popolazione anziana e in larghi strati della generazione – come la mia – figlia del dopoguerra.

Ma le nuove generazioni sono a conoscenza di cosa accadde? Qualcuno ha narrato loro cosa fossero il Fascismo ed il Nazismo, i presupposti ideologici e gli slogan che li sostenevano? Chi ha spiegato loro gli spaventosi esiti di quell’immane eccidio: 50 milioni di persone sterminate, tra cui 6 milioni di ebrei, l’Europa ridotta ad un grande campo di concentramento dove le persone venivano distrutte ed arse nell’infernale rogo dei forni crematori. Quanti giovani sono a conoscenza del generoso contributo che la Maremma grossetana ha dato alla lotta contro il nazifascismo? Vi fecero parte oltre 3000 persone fra partigiani, combattenti e patrioti. Molte vite sono state sacrificate anche in questo nostro territorio per riscattare la dignità umana del popolo italiano (155 i partigiani caduti in combattimento e 163 i cittadini uccisi per rappresaglia). Mi preme ricordare fra le vittime il sacrificio di una donna, Norma Pratelli Parenti di Massa Marittima, medaglia d’oro al valore militare, ma non vanno dimenticati neppure i feroci eccidi come quello di Maiano Navacchio dove persero la vita undici giovani, o quello di Niccioleta che vide massacrati 83 minatori (sulla cui vicenda abbiamo appena concluso di girare un film). Quegli episodi drammatici, mescolati alle passioni umane, fecero insorgere attivamente, anche nella nostra provincia, uomini e donne di varia provenienza ed estrazione sociale (con un forte contributo dal mondo del lavoro), uniti dalla speranza di libertà, di giustizia, di pace.

Il 25 Aprile 1945 è la data che si sta celebrando come Liberazione dell’Italia, ma la liberazione della nostra provincia avvenne con un po’ di anticipo. Ai primi di giugno del 1944 la sconfitta nazifascista appariva imminente e le forze alleate risalivano la penisola incalzando le truppe tedesche. Anche sul nostro territorio i partigiani, organizzati in varie formazioni, anticipando l’arrivo degli alleati, già l’11 giugno avevano liberato Pitigliano affrontando il nemico in una battaglia nella quale riuscirono addirittura a strappare ai nazisti dei cannoni. Pietro Casciani nell’occasione si guadagnò la medaglia d’argento al valore militare. Il 12 giugno è la volta della liberazione di Manciano (e fu proprio lì che si svolsero il 25 febbraio del 1945 le elezioni del primo sindaco dell’Italia liberata). In quei giorni intanto a Grosseto si organizzarono gli uomini disponibili per dare battaglia con l’ordine di non attaccare per primi. Nella mattina del 15 giugno un numeroso gruppo di tedeschi, staccati dal grosso delle forze in ritirata, entrarono nella città di Grosseto e proprio nella zona di Portavecchia fu inevitabile lo scontro. Sei partigiani grossetani persero la vita nella battaglia. Il giorno seguente gli alleati entrarono nella città già liberata. Nei giorni 21 – 23 giugno avviene la liberazione di Roccastrada fra distruzioni e morti. Il 24 giugno, con la liberazione di Massa Marittima si può considerare liberata l’intera provincia anche se continueranno azioni di disturbo di sporadici nuclei nazifascisti fino verso il 20 luglio del 1944. Pensando alla liberazione della nostra terra non possiamo neppure dimenticare i combattenti di altri Paesi che lottarono per la nostra libertà: americani, austriaci, francesi, indiani, inglesi, russi, tutti militarono nelle nostre bande partigiane. E come in questo novero dimenticare il coraggioso comandante della formazione di Montecucco, Lorenz Rodrik, che qui operò e cadde in combattimento.

Per tutto questo e per il grato rispetto che dobbiamo a coloro che lottarono contro il totalitarismo per riconsegnarci alla libertà e alla democrazia quello di oggi, oltre ad essere un giorno di Festa per la Liberazione, deve essere anche un ‘Memorial day’: un giorno destinato a pensare, a mettere in relazione passato, presente e futuro. Mi piacerebbe, anzi, che fosse un giorno capace di ridarci la forza di raccontare quella storia nelle case, nelle scuole, sui muri, perché il popolo che non conosce la propria storia è condannato a riviverla.

Certamente, è ormai tempo di una compiuta pacificazione tra quelli che la guerra lacerò. Senza con questo voler far passare la pari dignità delle ragioni in nome delle quali i due opposti schieramenti furono in campo. Anche la stessa violenza, dalla quale è bene star sempre lontani, non era ugualmente perpetrata da una parte e dalla altra. La violenza fascista era un valore all’interno del codice genetico di quel sistema oppressivo, mentre per le donne e gli uomini della Resistenza era una triste necessità da usare solo ai fini della riconquista di un mondo libero da cui essa fosse eliminata. Certo non voglio arroccarmi a rigida difesa di una certa interpretazione della Resistenza, ma la verità storica non può essere calpestata. E l’offensiva di un certo revisionismo iniziata diversi anni or sono in sede storiografica, poi trasbordata nelle pagine dei rotocalchi e delle televisioni, si presenta con caratteri sempre più preoccupanti specie perché si è saldata con quel terremoto di imprevista potenza che ha sconvolto il sistema politico della cosiddetta prima Repubblica, ha trasformato o fatto scomparire i partiti che della Resistenza erano stati i protagonisti, ha scatenato l’attacco alla Costituzione nata anch’essa dalla Resistenza.

Ma se i morti di allora ci potessero parlare cosa ci direbbero? Quali valori ci griderebbero di non perdere mai vista o di recuperare? Innanzi tutto penso la ‘pace’. Quella pace che allora segnò la fine di una guerra iniqua. Pace che è assenza di guerra, ma non solo. Pace che va scelta giorno dopo giorno e difesa con coraggio, perché è la condizione della vita stessa. Pace che è pace sociale, perché non può esservi condizione pacifica dove non sono garantite condizioni di vita conformi alla dignità umana e dove prevalgono disuguaglianza e privilegi. Poi ‘l’antirazzismo’. Le leggi razziali dei 1938 e le loro tragiche conseguenze sono da annoverare tra le pagine inumane della nostra storia. Ieri la Resistenza si oppose alle discriminazioni razziali, in nome del diritto di ciascuno ad essere riconosciuto come persona, indipendentemente dal luogo di provenienza e dal gruppo etnico di appartenenza. Oggi dinanzi a nuovi razzismi risorgenti è essenziale saper pensare al plurale e, nel rispetto dell’identità, accogliere le diversità. Penso, infine, che ci richiamerebbero allo ‘spirito di sacrificio’. Allora la liberazione fu la conquista di giovani che non esitarono a difendere i diritti di tutti, anche al caro prezzo della vita.  Oggi è richiesto l’impegno di tutti, per il bene della società, per dare piena attuazione alla Costituzione nata dalla Resistenza a cominciare dal diritto al lavoro. È richiesto di vigilare assiduamente nei confronti dei totalitarismi palesi e occulti, a cui non piacciono le persone pensanti.

Cari cittadini, pensare al 25 aprile vuol dire lasciarsi ancora dissetare alla grande sorgente dei valori della giustizia, della libertà, della democrazia. Non perdiamoli mai di vista. Il mio augurio è che, con le parole e con le azioni, possiamo sempre gridare: mai più la guerra, mai più i totalitarismi, mai più il fascismo. Viva l’Italia e viva l’Europa, l’altra grande Patria in costruzione”.

Scesi dal palco di piazza Dante, pensoso e onorato dell’opportunità che mi era stata offerta.




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