Il mio discorso in piazza Dante a Grosseto per l’anniversario della liberazione del 25 aprile 1997
Dal 25 aprile 1996 al 25
aprile 1999 ho sempre partecipato a Grosseto alla commemorazione della
liberazione. Come presidente della Provincia dovevo esserci e volevo esserci.
Per quella del 25 aprile 1997 mi fu chiesto di fare il discorso principale.
Dopo il consueto corteo salii sul palco, in piazza Dante, insieme ad altri
rappresentanti istituzionali civili e militari ed ai responsabili dell’ANPI.
Feci un discorso asciutto (usufruendo anche di dati ricevuti da Luciana Rocchi,
direttrice dell’Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell’Età
Contemporanea), non roboante, senza eccessi di retorica, nella speranza che il
25 aprile potesse diventare oltre alla Festa della Liberazione, anche la festa
della riunificazione d’Italia, senza indulgere a sommarie valutazioni e
inaccettabili denigrazioni. O giudizi edulcorati sui presupposti ideologici e
sulle drammatiche conseguenze del nazismo e del fascismo.
Mi era piaciuto, l’anno
prima, il discorso d’insediamento come presidente della Camera di Luciano
Violante sui ragazzi di Salò. Si era sforzato di capire le ragioni degli
avversari, senza guardarsi allo specchio. Disse infatti che, senza indulgere
nel revisionismo falsificante, bisognava cercare di conoscere le ragioni per le
quali molte migliaia di ragazzi e soprattutto ragazze, quando ormai tutto era
perduto, passarono alla Repubblica di Salò piuttosto che dalla parte della
libertà e della democrazia. Fece cioè uno sforzo di comprensione, e non di
giustificazione, di certi fatti storici. Nonostante ciò, e rifiutando qualsiasi
arroccamento su una “rigida difesa di una
certa interpretazione della Resistenza”, stigmatizzai “i caratteri sempre più preoccupanti dell’offensiva di un certo
revisionismo iniziata diversi anni” prima “in sede storiografica, poi trasbordata nelle pagine dei rotocalchi e
delle televisioni”. E, come antidoto, pensai all’Europa, allora in
costruzione. Il discorso – modesto, ma sentito – lo intitolai Viva l’Italia, Viva l’Europa e lo
riporto di seguito.
“Cinquantadue anni sono trascorsi dalla
Liberazione del 1945. Storicamente, lo sappiamo, il 25 aprile ha segnato la
fine della lotta di liberazione e l'inizio del cammino verso la democrazia.
Prima tappa di questo cammino fu la Costituzione, che fondò il nuovo stato
democratico sui valori ai quali si era ispirata la Resistenza. La data del 25
aprile e gli ideali che alimentarono quel grande moto di ribellione e di lotta
contro il nazifascismo sono ancora vivi nella popolazione anziana e in larghi
strati della generazione – come la mia – figlia del dopoguerra.
Ma le nuove generazioni sono a
conoscenza di cosa accadde? Qualcuno ha narrato loro cosa fossero il Fascismo
ed il Nazismo, i presupposti ideologici e gli slogan che li sostenevano? Chi ha
spiegato loro gli spaventosi esiti di quell’immane eccidio: 50 milioni di
persone sterminate, tra cui 6 milioni di ebrei, l’Europa ridotta ad un grande
campo di concentramento dove le persone venivano distrutte ed arse
nell’infernale rogo dei forni crematori. Quanti giovani sono a conoscenza del
generoso contributo che la Maremma grossetana ha dato alla lotta contro il
nazifascismo? Vi fecero parte oltre 3000 persone fra partigiani, combattenti e
patrioti. Molte vite sono state sacrificate anche in questo nostro territorio
per riscattare la dignità umana del popolo italiano (155 i partigiani caduti in
combattimento e 163 i cittadini uccisi per rappresaglia). Mi preme ricordare
fra le vittime il sacrificio di una donna, Norma Pratelli Parenti di Massa
Marittima, medaglia d’oro al valore militare, ma non vanno dimenticati neppure
i feroci eccidi come quello di Maiano Navacchio dove persero la vita undici
giovani, o quello di Niccioleta che vide massacrati 83 minatori (sulla cui
vicenda abbiamo appena concluso di girare un film). Quegli episodi drammatici,
mescolati alle passioni umane, fecero insorgere attivamente, anche nella nostra
provincia, uomini e donne di varia provenienza ed estrazione sociale (con un
forte contributo dal mondo del lavoro), uniti dalla speranza di libertà, di
giustizia, di pace.
Il 25 Aprile 1945 è la data che si sta
celebrando come Liberazione dell’Italia, ma la liberazione della nostra
provincia avvenne con un po’ di anticipo. Ai primi di giugno del 1944 la
sconfitta nazifascista appariva imminente e le forze alleate risalivano la
penisola incalzando le truppe tedesche. Anche sul nostro territorio i
partigiani, organizzati in varie formazioni, anticipando l’arrivo degli
alleati, già l’11 giugno avevano liberato Pitigliano affrontando il nemico in
una battaglia nella quale riuscirono addirittura a strappare ai nazisti dei
cannoni. Pietro Casciani nell’occasione si guadagnò la medaglia d’argento al valore
militare. Il 12 giugno è la volta della liberazione di Manciano (e fu proprio
lì che si svolsero il 25 febbraio del 1945 le elezioni del primo sindaco
dell’Italia liberata). In quei giorni intanto a Grosseto si organizzarono gli
uomini disponibili per dare battaglia con l’ordine di non attaccare per primi.
Nella mattina del 15 giugno un numeroso gruppo di tedeschi, staccati dal grosso
delle forze in ritirata, entrarono nella città di Grosseto e proprio nella zona
di Portavecchia fu inevitabile lo scontro. Sei partigiani grossetani persero la
vita nella battaglia. Il giorno seguente gli alleati entrarono nella città già
liberata. Nei giorni 21 – 23 giugno avviene la liberazione di Roccastrada fra
distruzioni e morti. Il 24 giugno, con la liberazione di Massa Marittima si può
considerare liberata l’intera provincia anche se continueranno azioni di
disturbo di sporadici nuclei nazifascisti fino verso il 20 luglio del 1944.
Pensando alla liberazione della nostra terra non possiamo neppure dimenticare i
combattenti di altri Paesi che lottarono per la nostra libertà: americani,
austriaci, francesi, indiani, inglesi, russi, tutti militarono nelle nostre
bande partigiane. E come in questo novero dimenticare il coraggioso comandante
della formazione di Montecucco, Lorenz Rodrik, che qui operò e cadde in
combattimento.
Per tutto questo e per il grato rispetto
che dobbiamo a coloro che lottarono contro il totalitarismo per riconsegnarci
alla libertà e alla democrazia quello di oggi, oltre ad essere un giorno di
Festa per la Liberazione, deve essere anche un ‘Memorial day’: un giorno
destinato a pensare, a mettere in relazione passato, presente e futuro. Mi
piacerebbe, anzi, che fosse un giorno capace di ridarci la forza di raccontare
quella storia nelle case, nelle scuole, sui muri, perché il popolo che non
conosce la propria storia è condannato a riviverla.
Certamente, è ormai tempo di una
compiuta pacificazione tra quelli che la guerra lacerò. Senza con questo voler
far passare la pari dignità delle ragioni in nome delle quali i due opposti
schieramenti furono in campo. Anche la stessa violenza, dalla quale è bene star
sempre lontani, non era ugualmente perpetrata da una parte e dalla altra. La
violenza fascista era un valore all’interno del codice genetico di quel sistema
oppressivo, mentre per le donne e gli uomini della Resistenza era una triste
necessità da usare solo ai fini della riconquista di un mondo libero da cui
essa fosse eliminata. Certo non voglio arroccarmi a rigida difesa di una certa
interpretazione della Resistenza, ma la verità storica non può essere
calpestata. E l’offensiva di un certo revisionismo iniziata diversi anni or
sono in sede storiografica, poi trasbordata nelle pagine dei rotocalchi e delle
televisioni, si presenta con caratteri sempre più preoccupanti specie perché si
è saldata con quel terremoto di imprevista potenza che ha sconvolto il sistema
politico della cosiddetta prima Repubblica, ha trasformato o fatto scomparire i
partiti che della Resistenza erano stati i protagonisti, ha scatenato l’attacco
alla Costituzione nata anch’essa dalla Resistenza.
Ma se i morti di allora ci potessero
parlare cosa ci direbbero? Quali valori ci griderebbero di non
perdere mai vista o di recuperare?
Innanzi tutto penso la ‘pace’. Quella
pace che allora segnò la fine di una guerra iniqua. Pace che è assenza di
guerra, ma non solo. Pace che va scelta giorno dopo giorno e difesa con
coraggio, perché è la condizione della vita stessa. Pace che è pace sociale,
perché non può esservi condizione pacifica dove non sono garantite condizioni
di vita conformi alla dignità umana e dove prevalgono disuguaglianza e
privilegi. Poi ‘l’antirazzismo’. Le
leggi razziali dei 1938 e le loro tragiche conseguenze sono da annoverare tra
le pagine inumane della nostra storia. Ieri la Resistenza si oppose alle
discriminazioni razziali, in nome del diritto di ciascuno ad essere
riconosciuto come persona, indipendentemente dal luogo di provenienza e dal
gruppo etnico di appartenenza. Oggi dinanzi a nuovi razzismi risorgenti è essenziale
saper pensare al plurale e, nel rispetto dell’identità, accogliere le
diversità. Penso, infine, che ci richiamerebbero allo ‘spirito di
sacrificio’. Allora la liberazione fu la
conquista di giovani che non esitarono a difendere i diritti di tutti, anche al
caro prezzo della vita. Oggi è richiesto
l’impegno di tutti, per il bene della società, per dare piena attuazione alla
Costituzione nata dalla Resistenza a cominciare dal diritto al lavoro. È
richiesto di vigilare assiduamente nei confronti dei totalitarismi palesi e
occulti, a cui non piacciono le persone pensanti.
Cari cittadini, pensare al 25 aprile
vuol dire lasciarsi ancora dissetare alla grande sorgente dei valori della
giustizia, della libertà, della democrazia. Non perdiamoli mai di vista. Il mio
augurio è che, con le parole e con le azioni, possiamo sempre gridare: mai più
la guerra, mai più i totalitarismi, mai più il fascismo. Viva l’Italia e viva
l’Europa, l’altra grande Patria in costruzione”.
Scesi dal palco di piazza
Dante, pensoso e onorato dell’opportunità che mi era stata offerta.
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