Incontri difficili e drammatici per
tutto il 1996 in Regione e all’Isola d’Elba. Il Pnat fu istituito e il sindaco
Landini rimase sulla sua posizione, ma alcune crepe si aprirono nella sua
maggioranza e la minoranza rialzò la testa. L’azione diplomatica mia e del
presidente Frontera fu una mezza sconfitta o una mezza vittoria?
• I miei sforzi e quelli di
Frontera non ottennero il risultato di spostare un po’ più avanti l’istituzione
del Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, tanto che dopo appena due mesi (il
22 luglio 1996) fu varata, insieme ad altri 16 parchi nazionali (in realtà la
procedura si concluse nel dicembre dello stesso anno dopo avere avuto la
conferma del Consiglio dei ministri, la controfirma del Presidente della
Repubblica, il passaggio dalla Corte dei Conti e dal Consiglio di Stato). E
neppure quello di far partire una modifica della legge 394 del 91 (onestamente
difficile) che, a dire la verità, aveva rappresentato un notevole passo avanti
rispetto alla situazione precedente. Infatti, prima di quella non c’era
un’altra legge nazionale sui parchi e vigeva ancora la gestione voluta dal
fascismo e dalla Monarchia, che escludeva i Comuni dalla gestione dei tre unici
Parchi Nazionali di cui si era dotata l’Italia: l’Abruzzo, lo Stelvio e il Gran
Paradiso. C’era anzi da aggiungere che quello dei Parchi gestiti centralmente
dallo Stato era il modello più diffuso nel mondo, mentre la legge italiana
coinvolgeva i comuni nel direttivo del parco (anche se a nostro parere in modo
non del tutto soddisfacente). Insomma, su queste due cruciali questioni
registrammo una decisa sconfitta. Come dire, la partita d’andata finì 1 a 0 per i nostri avversari.
• Dal luglio al dicembre
1996 il tormentone si spostò, pertanto, sulla nomina del presidente del consiglio dell’ente parco. Ricordo una
riunione molto impegnativa a Portoferraio, per proporre un presidente gradito
alle comunità locali e individuare i comuni che avrebbero fatto parte del
comitato di gestione. Addirittura in quel caso mi sembra di rammentare che i
rappresentati dell’Isola del Giglio neppure vennero. E quindi nessuno in
seguito trovò posto nel comitato. In quella circostanza noi, la provincia di
Livorno, 8 comuni su 10 del PNAT fummo concordi sulla candidatura a presidente
di Franco Franchini che, mi pare, fosse stato il sindaco del comune di Rio
dell’Elba e in quel momento consigliere provinciale di Livorno. La nostra
proposta fu avallata dalla Regione Toscana che, per legge, doveva dare il
proprio placet alla proposta del ministro.
Ma il ministro
dell’ambiente, il bergamasco Edoardo Ronchi, detto Edo, persona preparata ma
assai radicale e cocciuto nelle proprie convinzioni, non sentì storie. Volò via
come un fulmine. E pensare che Romano Prodi, viste le pressioni delle province,
dei comuni e della regione, lo aveva pure inviato all’Isola d’Elba per vedere
di ammorbidire le reciproche posizioni. Quella visita non fece altro che
aggiungere benzina sul fuoco. Con una missiva informale il ministro fece avere
al gabinetto di Chiti la sua terna: Boris Procchieschi (presidente dell’APT
dell’Elba), Giovanni Frangioni (responsabile territoriale della Cgil elbana),
Michelangelo Zecchini (archeologo, ispettore alle antichità dell’Elba). Siccome
le voci, come si sa, circolano, almeno i primi due nomi erano già stati esclusi
dalla nostra valutazione, nella quale invece – come detto – avevamo individuato
Franchini. E il terzo non era gradito alla regione. Quindi la cosa ben presto
naufragò. A novembre nella terna di Ronchi, composta sempre da Procchieschi e
Zecchini, spunta un nome nuovo, quello di Giuseppe
Tanelli, docente di Mineralogia all’Università Federico II di Napoli.
Questa volta ministro e regione avevano concordato le mosse e la scelta di
Tanelli ottenne il placet della Giunta regionale.
La nomina di Tanelli scatenò
proteste e dimissioni specie nel Pds dell’Elba, ma a me sembrò una scelta accettabile, perché di
qualità ed anche perché nella sua prima uscita pubblica ci rassicurò circa la
volontà di lavorare per “la conservazione
e la valorizzazione dei beni naturali e culturali presenti nel Parco in grado
di produrre benessere e posti di lavoro”. “Deve essere un parco non di carta, ma fatto per la gente, per gli
isolani, ma non solo per loro. Bisogna abbandonare la visione del Parco come
un’entità puramente conservativa e statica, fruibile solo da pochi”.
Segnalò anche che il Parco poteva aiutare ad allungare la stagione turistica,
quasi esclusivamente legata al mare, e a dare valore all’agricoltura di qualità
e i suoi prodotti, tra i quali citò l’Ansonica del Giglio.
• Ma noi non avevamo posto
solo la questione del presidente. Avevamo
anche chiesto di avere, come enti locali, la maggioranza nel consiglio
direttivo (mentre la norma ce li assegnava 5 su 12), di rivedere in parte la zonizzazione, individuando anche zone
contigue nelle quali svolgere una caccia regolamentata di tipo selettivo e
riservata ai soli residenti. Tanelli si mostrò disponibile a ragionare di parziale
rivisitazione della zonizzazione come pure a ragionare di attività venatoria di
selezione (Parco: occasione di sviluppo.
Il neo presidente promette: con i cacciatori ci sarà l’accordo, Il Tirreno,
27.11.1996). La Regione Toscana, inoltre, disse di aver avuto la disponibilità
del Ministro a ricevere, sulle due nomine di spettanza ministeriale,
l’indicazione regionale. Alcune di quelle cose io e Frontera le avevamo sempre
sostenute. Questo ci permise di uscire dalla partita di ritorno con un 1 a 0 a nostro favore.
Altre cose non le ricordo,
perché il PNAT era uno delle questioni che mi trovavo sul tavolo di Presidente
della Provincia insieme a molte altre, ben più gravose. Ma, certo, mi fece
magiare un’ala di fegato!
• Che altro aggiungere,
allora?
Che alcune crepe cominciarono ad insinuarsi nel granitico corpo della
maggioranza dell’Isola del Giglio, egemonizzata dal sindaco. Ed anche la minoranza ricominciò ad alzare la testa,
dicendo che era ora di finirla con quella intransigenza. Interessante un’assemblea
pubblica svoltasi al Giglio i primi di dicembre 1996, nella quale – dinanzi a
Landini che insisteva come un forsennato contro il Parco annunciando esposti
alla Procura della Repubblica di Grosseto, ricorsi al Tar, di far scrivere al
difensore civico europeo, per giungere anche al Padreterno, contro quel “carrozzone” dell’ente Parco –
l’assessore Walter Rossi, presidente di Forza Italia dell’Isola, si chiedeva: “Ce la sentiamo di andare a rotta di collo
con la protesta e abbandonare la possibilità di essere rappresentati?” (La
Nazione, 3.12 1996). Appunto, era quello che avevo sempre detto a Landini. Ma
da quell’orecchio non ci sentiva.
La solita scena si verificò
all’atto dell’elezione del Presidente della Comunità del Parco, il 19 febbraio
1997 a Firenze, presso la sede della Presidenza regionale. Fu eletto Antonio
Galli, un ex-presidente della Comunità montana dell’Elba e vice Alberto De
Fusco, sindaco di Marciana Marina. Il sindaco Landini ribadì che non avrebbe
partecipato a nessuna votazione, quando poteva invece ottenere la
vice-presidenza. In quell’occasione il Presidente della Regione, Vannino Chiti,
prese a prestito la mia definizione di “parco
possibile” da organizzare con l’organismo della comunità del parco, “anche affrontando da subito questioni come
la verifica dei confini del parco, l’immediato impiego dei finanziamenti già
disponibili (16 miliardi di lire), la strutturazione del parco nelle sue varie
sedi e l’organizzazione del regime autorizzativo” (Il Tirreno, 20.02.1997).
Il Consiglio della Comunità del Parco era formato da 1 presidente e 12 esperti:
5 designati dagli enti locali, 2 da Università e istituzioni scientifiche
toscane, 2 dalle associazioni ambientaliste, 3 dai ministeri dell’ambiente e
dell’agricoltura, sentita la Regione Toscana. A quella data i ministeri non
avevano ancora indicato nessuno e – come ho già detto – in una precedente
riunione, Vannino Chiti aveva detto di aver ottenuto dal ministro Ronchi la
disponibilità a far indicare dalla Regione i due nomi di sua spettanza. Se era
vero i componenti degli enti locali sarebbero saliti da 5 a 7, cioè la maggioranza del consiglio dell’ente Parco.
Mentre il sindaco Landini e
l’attuale sindaco Sergio Ortelli, allora presidente dell’associazione Difesa del territorio del Giglio, confermavano
i propri ricorsi al TAR contro l’istituzione del Parco, i consiglieri di minoranza del Movimento per l’Ulivo, Pacella,
Andretta, Galeotti e Rum, prendendo in parola Chiti, colsero l’occasione –
nella circostanza della prima riunione della Comunità del Parco tenutasi a
Portoferraio – di inviare una nota a noi, alla regione e ai ministri
dell’ambiente e delle risorse agricole e forestali nella quale proponevano un
nome per il Consiglio del Parco: quello di Biagio
Servini, ex assessore all’ambiente del comune dell’Isola del Giglio. Una
persona retta, sensibile alle tematiche ambientali e soprattutto dotato di
equilibrio. Proposta che segnalai alla Regione Toscana. “Noi crediamo che la difesa e l’utilizzo regolamentato del territorio
– dicevano – siano una grande occasione
di crescita e di sviluppo e riteniamo opportuno che una fetta così importante
del Parco, quale è l’Isola del Giglio, venga rappresentata da un vero
conoscitore della realtà locale” (La Nazione, 28.03.1997). Era quanto avevo
sempre sostenuto. Ma era oggettivamente difficile, se non impossibile, che a
rappresentare il comune dell’Isola del Giglio, contrario sino al midollo al
PNAT, fosse nominata una persona indicata dalla minoranza consigliare del
comune stesso. L’avrebbero mandata al macello.
Quando penso alla vicenda PNAT mi viene, ancora una
volta, in mente la Preghiera della Torre di Tommaso Moro.
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