Dovevo, con i fatti, rasserenare il
clima, fornire tutta una serie di risposte urgenti, potenziare e rimotivare il
personale. Ero chiamato a decidere e decisi. Avevo in mente il “Parco amico”
I protagonisti
dell’operazione Commissariamento ricorderanno che, pienamente coinvolto
nell’attività della Provincia, tutto avrei voluto fuorché diventare il
Commissario del Parco. Anche perché gli slogan di piazza non erano del tutto
incoraggianti: “Gentili: dalla padella
alla brace”. E gli osservatori attenti lo interpretavano come un vero e
proprio boccone avvelenato in vista delle imminenti scadenze elettorali
provinciali. Avevano ragione. Ma, a differenza di quando si è liberi da ruoli, noblesse oblige e quindi al Presidente
della Provincia non fu possibile dire di no. La nomina a Commissario mi fu
notificata il 3 marzo 1999 ed è quindi da allora che potei essere operativo,
anche se dimezzato con l’attività provinciale (fino al giugno dello stesso anno).
Nel Parco vi entrai da
semi-informato. Non da disinformato, perché un Presidente di Provincia non
poteva esserlo. Ma da semi-informato, nel senso che preso dalle mille
problematiche provinciali e dal funzionamento dell’ente provincia, di tanto in
tanto avevo fatto capolino nel Parco, nei suoi problemi e nelle sue
potenzialità, attraverso incontri con il Consiglio Direttivo, il Presidente, le
Associazioni di categoria, ma sempre in modo abbastanza rapido e
passeggero. Magari erano delle
full-immersion, ma non potevano dare la percezione esatta delle cose. Iniziata
a vivere la vita del Parco mi resi pian piano conto delle sue problematiche e
potenzialità, delle ricchezze e fragilità che lo contraddistinguevano.
Cosciente che il 2000 avrebbe rappresentato quasi un anno giubilare anche per
il Parco (erano infatti 25 anni dalla sua istituzione), ritenni opportuno
predisporre un programma e un metodo di lavoro per giungere alla redazione
condivisa dei più volte citati Piano, Regolamento e Piano Pluriennale economico
e sociale del Parco.
• Ma il Parco è un
organismo vivo e come tale è animato da dinamiche proprie che spesso tengono
funzionalmente conto più del piccolo che del grande. La gente comune, infatti,
vive di micro-risposte piuttosto che di macro-enunciazioni. Ed io non sfuggii a
queste dinamiche, trovandomi spinto dalla necessità di fornire risposte ad una
serie di problematiche che magari ai palati più raffinati potevano apparire
insipide. Ma non lo erano affatto. Per questo dovetti applicare l’antico adagio:
primum vivere, deinde philosophari.
Nel prima vivere vi inclusi: la necessità di rasserenare (con i fatti)
il clima tra l’ente e le aziende residenti e operanti nel Parco e le
associazioni che variamente dicevano di rappresentarle; l’urgenza di fornire
tutta una serie di risposte ai cittadini che in un modo o nell’altro dal Parco
dovevano passare; l’opportunità di potenziare e rimotivare il personale interno
all’ente. Nel poi filosofare era
previsto: l’avvio della fase che doveva condurre alla predisposizione degli
strumenti di programmazione; la ricerca degli strumenti idonei a fare realmente
decollare i progetti di sviluppo solo enunciati; l’articolazione di uno statuto
più adeguato ai tempi e alla evoluzione normativa.
Il tutto fedele ad una filosofia di Parco. Quella
che lo intendeva: come sistema ambientale ove fare interagire diversi soggetti
– la natura, la rete delle attività dell’uomo (agricole e turistiche), gli
insediamenti storici, i luoghi di riposo, di divertimento, di immersione nella
natura – ; come patrimonio comune fatto di ambiente, storia, lavoro, speranze
in grado di attivare meccanismi moltiplicatori di reddito e di benessere; come
area protetta (naturalmente), ma soprattutto area che protegge il benessere
fisico e psicologico delle persone, nel rispetto delle altre forme di vita.
Quest’ultimo concetto lo sintetizzai nel luglio 1999: “Da area protetta a area che protegge: questa, e sono parole del
commissario Stefano Gentili, la scommessa del futuro, che non è piccola, per il
Parco della Maremma” (Giancarlo Capecchi, Un parco che protegga tutti, La
Nazione, 27.07.1999).
Nella
lettera che scrissi il 16 dicembre
1999, a conclusione del mio lavoro, agli Amici
che vivevano e lavoravano nel Parco della Maremma dissi, tra l’altro, “Il Commissariamento straordinario è durato
9 MESI, il tempo di una ‘gravidanza’. Spero che sia nato il PARCO AMICO. Ora
sta ai nuovi genitori, il Presidente e il Consiglio, educarlo e mantenerlo
sulla strada amica. A me resta la soddisfazione di aver lavorato insieme a voi,
unitamente ai dipendenti dell’Ente che sento il dovere di ringraziare. Voi che
siete il Parco vero, che amate questo meraviglioso lembo di terra e reclamate
giustamente forme di partecipazione più democratiche”.
• Ma andiamo per
ordine. I nuovi rapporti che volevo instaurare avevano bisogno sia di atti
amministrativi che di segni e testimonianze che il cambiamento era iniziato.
Per questo motivo RIDUSSI LE INDENNITÀ DEL PRESIDENTE E DEI CONSIGLIERI. Quella
del primo la equiparai all’indennità di un assessore provinciale, quella dei
secondi la misi allo stesso livello dei consiglieri provinciali. Io rinunciai
al mio compenso sino ad agosto. Con quella semplice operazione portai le spese
per indennità a 46.000.000 nel 1999, a fronte dei 162.000.000 del 1998. Oltre
che per il presente, intendevo anche dare un segnale per il futuro: al Parco
non ci si colloca per accaparrarsi qualche prebenda, ma per offrire un servizio
pubblico.
• Poi, accompagnato
dall’architetto Enrico Giunta, ANDAI AD INCONTRARE ALCUNI PROPRIETARI E GESTORI
DI ATTIVITÀ interne al Parco. Lo feci per ascoltare, comprendere i disagi,
leggere le aspettative, insomma per sentire il loro odore. Per me emozionante
fu l’incontro con la signora Giuliana Ponticelli, proprietaria della Trappola,
che era in contenzioso con il parco per un progetto di Birdwatching. Che donna.
Mi disse che lei lavorava nel rispetto rigoroso della tradizione maremmana, in
una dimensione esistenziale e non economica. Da quando sono nata – disse – non
è stato tirato su un mattone alla Trappola al fine speculativo e la tipicità
maremmana della Trappola è stata sempre da me rigorosamente tutelata: non ha
mai fatto parte di un disegno economico. Tutti gli animali allevati qui sono il
risultato di varie generazioni di produttori, non ultima la mia. Ne uscii
emozionato ed edificato.
• Non potevo
naturalmente sfuggire alla delicata, quanto reclamata od osteggiata, azione di
CONTENIMENTO DELLA FAUNA IN ECCESSO, o meglio, di ristabilimento di un adeguato
equilibrio ecologico, ormai saltato. Uno studio effettuato sulla gestione degli
ungulati tra il 1994 e il 1996 ed una successiva ricerca sull’andamento
demografico della popolazione del daino, avevano fatto emergere un quadro
preoccupante: si parlava di 2.700 daini. Per i cinghiali il discorso era
analogo: solo nell’estate 1998 erano stati avvistati 482 piccoli riprodotti in
quel periodo. Le azioni condotte sino ad allora dall’ente parco, quanto a
catture e abbattimenti, erano state evidentemente insufficienti. E non lo dicevo
io, ma il Comitato scientifico. Le sperimentazioni effettuate dal 1996 non
avevano offerto accettabili garanzie e risultati. Avevano fallito la
sterilizzazione del daino femmina poi, uno dopo l’altro, il sistema dei recinti
con rete, le reti a caduta, i lacci di caucciù, le tavole con chiusura a
scatto. Che dovevo fare, stare fermo?
Con i miei collaboratori più
stretti riflettemmo, ci consigliammo, chiedemmo il parere del nostro Comitato
scientifico, che addirittura si espresse per ridurre al massimo e, se
possibile, eliminare totalmente, la popolazione dei daini, mentre per quanto
riguardava i cinghiali, auspicava un potenziamento dei piani di contenimento.
Presi la decisione il 2 aprile 1999, un mese dopo il mio insediamento, con la
famosa delibera n. 21, che entrò in vigore il mese successivo. Mettemmo in
piedi un regolamento stralcio. Prevedeva che i daini al di fuori dell’area
agricola potevano essere abbattuti solo da selecontrollori (cacciatori speciali
con titoli e autorizzazioni speciali) che avessero partecipato ad un corso di
formazione, mentre la cattura dei cinghiali si decise di affidarla ad un
soggetto esterno, dopo l’espletamento di una pubblica gara. Invece i daini e i
cinghiali all’interno dell’area agricola potevano essere catturati solo dal
nostro personale di vigilanza, se necessario, insieme ai proprietari e ai
conduttori dei fondi (per interventi mirati e saltuari). Ogni singolo piano di
intervento doveva essere sottoposto all’esame e all’approvazione del Comitato
scientifico, che determinava modalità e numero dei prelievi. Organizzammo i
corsi di formazione integrativi per i selecontrollori che avevano già fatto il
corso con la Provincia e quello per i proprietari e i conduttori che prevedeva
anche il superamento di un test. I danni all’agricoltura relativi al primo
semestre del 1999 li pagammo nel luglio dello stesso anno.
• Peraltro, mettemmo in
piedi una serie di azioni che si configuravano come un vero e proprio sistema.
Prevedevano: l’attivazione, con il Dipartimento di Biologia Evolutiva
dell’Università degli Studi di Siena, di una ricerca quadriennale per lo studio
e la gestione della teriofauna (mammiferi di piccola e media taglia: da noi
daino, cinghiale e capriolo) del Parco che avrebbe dovuto condurre alla stesura
di un piano complessivo di gestione della fauna selvatica; la predisposizione
di azioni efficaci di sterilizzazioni al posto di quelle inefficaci fatte sino
allora; l’approvazione di un progetto per la produzione di colture a perdere
(gradite agli ungulati) nelle quali concentrare gli animali, senza dover
procedere agli abbattimenti, ma tentando di limitare i danni alle aree
coltivate della zona protetta; l’attivazione di una collaborazione con l’ARSIA
per porre in opera, nelle zone maggiormente soggette ai danni da fauna
selvatica, un sistema di recinzioni provvisorie elettrificate; la realizzazione
della recinzione lungo l’itinerario faunistico/forestale a completamento dei
tratti precedentemente realizzati (Vergheria e Romitorio) predisponendo anche
un progetto per il 2000, a completamento della recinzione nelle parti del Parco
ancora mancanti. Inoltre, al fine di farla finita con i numeri della presenza
degli animali buttata a casaccio dagli uni e dagli altri, a seconda dei
reciproci interessi, incaricammo un consulente esterno di fare una stima della
loro presenza e dei danni che provocavano. Insomma, l’impianto era molto serio, rispettoso dell’equilibrio ecologico e,
speravamo, efficace.
Avevo messo in conto
critiche da destra e da manca e queste non mancarono. Mi arrivarono da alcuni
cacciatori e agricoltori e da alcuni ambientalisti. Circa 80 animalisti
italiani, fomentati da soggetti locali da quella che chiamai la Campagna di disinformazione di agosto,
intasarono il nostro fax accusandomi di tutto il peggio possibile e la L.A.V.
diffidò l’Ente Parco a revocare la deliberazione n. 21. La requisitoria
dell’inquisitore della L.A.V. era assolutamente smodata e ci muoveva accuse del
tutto fuorvianti e pretestuose. Naturalmente rispondemmo punto per punto con
una contro requisitoria di 27 pagine, che sarebbe interessante andare a
rileggere, ma troppo lungo riportarla in questa sede.
• Perché, poi, tenere
aperti i CONTENZIOSI se si voleva crea-re un nuovo clima con gli abitanti e le
aziende del Parco? Per questo ci impegnammo a chiudere tutti quelli possibili.
E lo facemmo: con l’Azienda agricola dell’Uccellina mediante la sottoscrizione
di un atto di transazione; con l’Azienda agricola La Trappola relativamente
alla strada di accesso a Bocca d’Ombrone e al citato nuovo percorso di
Birdwatching; con l’Azienda agricola Le Cannelle riguardo a vari interventi
effettuati in località Cannelle di Talamone; con l’Azienda agricola Tombolello
circa la pineta omonima. Gestimmo anche la problematica inerente la posa in
opera di bitume fresato lungo alcune strade del Parco (che effettuammo a nostre
spese) e predisponemmo gli atti necessari per procedere alla redazione e
sottoscrizione dell’eventuale convenzione con l’Azienda agricola Vivarelli
Colonna. Tra i contenziosi, ma pensa te, c’era anche quello riguardante il comportamento da tenere nei confronti dei
pescatori lungo la foce dell’Ombrone, oggetto di poca chiarezza circa le
competenze dei vari enti. Grazie a questo feci la scoperta anche dei punti foranei: mancava la individuazione
di una linea (una riga su carta) che traguardasse il punto più foraneo di una
sponda del fiume Ombrone al punto più foraneo dell’altra sponda. Questa serviva
per dividere le acque interne (Ombrone) di competenza del Parco, da quelle
esterne sul mare, di competenza di altri. Questa carenza faceva sì che alcuni
pescatori, che pescavano tra la fine dell’Ombrone e il mare, talvolta venissero
multati dai Guardaparco (e se con la canna erano nella zona marina e con la
lenza dentro l’Ombrone?). Questi a loro volta denunciavano le guardie alla
Procura e le guardie si prendevano anche l’avviso di garanzia. La delimitazione
del punto foraneo spettava alla Regione e in carenza di quell’autorizzazione
predisponemmo un ordine di servizio interno nei confronti del Servizio di
Vigilanza. Non avrei mai pensato di dovermi occupare di una cosa del genere.
• C’erano, inoltre,
anche tutta una serie di PRATICHE EDILIZIE E SANATORIE che giacevano, non si sa
perché, sulla scrivania. Le approvammo entrambe abbondantemente nei tempi
previsti per legge (evase entro 20/30 giorni massimo dal momento del loro
arrivo). Al 15 dicembre erano state evase 373 pratiche edilizie ordinarie e 33
richieste di sanatoria edilizia.
Approvammo tutta una serie
di programmi di miglioramento ambientale e le relazioni agrituristiche, tramite
l’agronomo che avevamo convenzionato, in tempi notevolmente più brevi rispetto
agli altri enti. Alla stessa data del 15 dicembre erano stati approvati 25
programmi di miglioramento agricolo ambientale.
• Un’altra cosa per
me incomprensibile era LA INCOMUNICABILITÀ TRA IL PARCO REGIONALE DELLA MAREMMA
E L’AZIENDA REGIONALE DI ALBERESE. Regionali entrambi. Mi attivai subito con il
direttore Marco Baglioni e nel giro di poco tempo stipulammo un accordo
vantaggioso per entrambi. “La gestione
commissariale ha risolto in due mesi una questione che era in sospeso da anni”
dichiarò Baglioni il 31 agosto 1999 in occasione della firma della nuova
convenzione (la vecchia risaliva al 1992 quando commissario era Vellutini, ed
era scaduta da oltre un anno). A lui si aggiunse Mauro Ginanneschi: “È davvero cambiato il clima qui al Parco se
pensiamo a quello che succedeva solo qualche mese fa…” (Gabriele Baldanzi,
Tempo di pace tra il Parco e l’Azienda agricola della regione, Il Tirreno,
1.09.1999). Nella stessa occasione dissi: “Non
ho fatto nulla di straordinario, solo il mio dovere, visto che tra i compiti
del commissario c’era anche quello di portare a termine questo passaggio. In
futuro l’Ente Parco avrà nell’Azienda un punto di riferimento, un partner”.
Grazie ai corretti rapporti instaurati ed in conformità con quanto previsto
dalla convenzione sottoscritta, numerosi lavori furono effettuati dal personale
dell’Azienda Regionale per l’Ente Parco. Giungemmo anche alla definizione delle
modalità per l’acquisto dei tre immobili già individuati nella convenzione
(l’ex Frantoio, la casa del Guardiacaccia, la casa dei Pinottolai) e al
reperimento dei fondi necessari (705.000.000 di lire) per procedere
all’operazione.
• Il PERSONALE del Parco
viveva in una sede indecorosa e una buona parte si sentiva un po’ padrone e un
po’ assediato. Due atteggiamenti che non mi piacevano perché sbagliati
entrambi. L’asse che strinsi con l’architetto Giunta dette una diversa
impronta, riorganizzando anche il funzionamento interno abbastanza
abborracciato. Anche per questo alcuni lasciavano trasparire una certa
ostilità, non credo tanto nei miei confronti, quanto nei riguardi dello stile
che il duo Gentili-Giunta aveva messo in piedi, ritenendolo prono ai nemici
dell’idea di Parco che avevano loro. Una fesseria, naturalmente. Per far fronte
all’accelerazione impressa, mettemmo in piedi azioni per rimpinguarlo e
qualificarlo ulteriormente, favorendo anche il passaggio di qualifica di gran
parte di esso. Infatti, realizzammo selezioni e concorsi interni per
capoguardia e per un centralinista. Assegnammo l’incarico ad un agronomo per
seguire tutte le questioni inerenti l’agricoltura, la forestazione e per la
stima e la valutazione dei danni arrecati dai selvatici alle colture, assumemmo
a tempo indeterminato un’architetta, acquisimmo alla dotazione organica
dell’Ente 2 operai provenienti dall’Azienda Regionale di Alberese (esecutiva
dal 1 gennaio 2000), mediante l’assunzione diretta della gestione del servizio
di manutenzione delle strutture, dei mezzi e degli itinerari; predisponemmo
anche il bando per il concorso per ulteriori guardaparco e stipulammo una
convenzione con la Provincia di Grosseto per l’espletamento del concorso.
Predisponemmo, infine, la gara per l’acquisto di un nuovo mezzo fuoristrada per
il servizio di vigilanza, a parziale sostituzione del parco auto assai
invecchiato. Organizzammo un corso di perfezionamento per la vigilanza in
materia di pubblica sicurezza e atti di polizia giudiziaria e trasferimmo la
vigilanza nella nuova sede dello Scoglietto, fornita di adeguata attrezzatura
d’ufficio.
• Un discorso a parte merita
poi la questione del DIRETTORE DEL PARCO. Era dal 1992, dai tempi di Ilio
Boschi, che l’Uccellina ne era sprovvista. Avevano più volte tentato di bandire
un concorso per individuarne uno nuovo, ma gli appetiti dei candidati, la
individuazione del profilo giusto (con la diatriba se era meglio l’esperienza
amministrativa e professionale o la qualificazione scientifica in materia di
tutela, valorizzazione e gestione del patrimonio ambientale) e chissà quale
altra diavoleria, non avevano mai permesso il suo espletamento. Il precedente
consiglio si era scannato, appunto, sul fatto se doveva essere un ecologo (come
voleva il presidente) o un architetto (come voleva il gruppo dei 6 che si
opponevano al presidente). Io non volli neppure guardare l’elenco e i curricula
dei candidati – anche se a fine settembre fui sollecitato ad adottare decisioni
in merito anche dai revisori, Rambelli, Gabbrielli e Carlotti su sollecitazione
della dirigente Scialanca (e la cosa non mi piacque affatto) – ma dopo poco
tempo mi resi conto che il Parco il direttore già ce l’aveva. Era l’architetto Enrico Giunta, persona
competente e di esperienza nonostante la giovane età, operativa, perfettamente
in grado di gestire la macchina burocratica e le relazioni esterne dell’Ente.
Non potevo nominarlo formalmente, ma per me il direttore era lui. Grazie a lui
– e per le varie questioni agli altri dipendenti e, per le mie relazioni, a
soggetti istituzionali esterni – mi fu possibile mettere in piedi tutte le
azioni di quei 9 mesi.
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