lunedì 4 aprile 2022

POST 75 – IL PARCO NATURALE DELLA MAREMMA: DA AREA PROTETTA A AREA CHE PROTEGGE

Dovevo, con i fatti, rasserenare il clima, fornire tutta una serie di risposte urgenti, potenziare e rimotivare il personale. Ero chiamato a decidere e decisi. Avevo in mente il “Parco amico”

I protagonisti dell’operazione Commissariamento ricorderanno che, pienamente coinvolto nell’attività della Provincia, tutto avrei voluto fuorché diventare il Commissario del Parco. Anche perché gli slogan di piazza non erano del tutto incoraggianti: “Gentili: dalla padella alla brace”. E gli osservatori attenti lo interpretavano come un vero e proprio boccone avvelenato in vista delle imminenti scadenze elettorali provinciali. Avevano ragione. Ma, a differenza di quando si è liberi da ruoli, noblesse oblige e quindi al Presidente della Provincia non fu possibile dire di no. La nomina a Commissario mi fu notificata il 3 marzo 1999 ed è quindi da allora che potei essere operativo, anche se dimezzato con l’attività provinciale (fino al giugno dello stesso anno).

Nel Parco vi entrai da semi-informato. Non da disinformato, perché un Presidente di Provincia non poteva esserlo. Ma da semi-informato, nel senso che preso dalle mille problematiche provinciali e dal funzionamento dell’ente provincia, di tanto in tanto avevo fatto capolino nel Parco, nei suoi problemi e nelle sue potenzialità, attraverso incontri con il Consiglio Direttivo, il Presidente, le Associazioni di categoria, ma sempre in modo abbastanza rapido e passeggero.  Magari erano delle full-immersion, ma non potevano dare la percezione esatta delle cose. Iniziata a vivere la vita del Parco mi resi pian piano conto delle sue problematiche e potenzialità, delle ricchezze e fragilità che lo contraddistinguevano. Cosciente che il 2000 avrebbe rappresentato quasi un anno giubilare anche per il Parco (erano infatti 25 anni dalla sua istituzione), ritenni opportuno predisporre un programma e un metodo di lavoro per giungere alla redazione condivisa dei più volte citati Piano, Regolamento e Piano Pluriennale economico e sociale del Parco.

• Ma il Parco è un organismo vivo e come tale è animato da dinamiche proprie che spesso tengono funzionalmente conto più del piccolo che del grande. La gente comune, infatti, vive di micro-risposte piuttosto che di macro-enunciazioni. Ed io non sfuggii a queste dinamiche, trovandomi spinto dalla necessità di fornire risposte ad una serie di problematiche che magari ai palati più raffinati potevano apparire insipide. Ma non lo erano affatto. Per questo dovetti applicare l’antico adagio: primum vivere, deinde philosophari.

Nel prima vivere vi inclusi: la necessità di rasserenare (con i fatti) il clima tra l’ente e le aziende residenti e operanti nel Parco e le associazioni che variamente dicevano di rappresentarle; l’urgenza di fornire tutta una serie di risposte ai cittadini che in un modo o nell’altro dal Parco dovevano passare; l’opportunità di potenziare e rimotivare il personale interno all’ente. Nel poi filosofare era previsto: l’avvio della fase che doveva condurre alla predisposizione degli strumenti di programmazione; la ricerca degli strumenti idonei a fare realmente decollare i progetti di sviluppo solo enunciati; l’articolazione di uno statuto più adeguato ai tempi e alla evoluzione normativa.

Il tutto fedele ad una filosofia di Parco. Quella che lo intendeva: come sistema ambientale ove fare interagire diversi soggetti – la natura, la rete delle attività dell’uomo (agricole e turistiche), gli insediamenti storici, i luoghi di riposo, di divertimento, di immersione nella natura – ; come patrimonio comune fatto di ambiente, storia, lavoro, speranze in grado di attivare meccanismi moltiplicatori di reddito e di benessere; come area protetta (naturalmente), ma soprattutto area che protegge il benessere fisico e psicologico delle persone, nel rispetto delle altre forme di vita. Quest’ultimo concetto lo sintetizzai nel luglio 1999: “Da area protetta a area che protegge: questa, e sono parole del commissario Stefano Gentili, la scommessa del futuro, che non è piccola, per il Parco della Maremma” (Giancarlo Capecchi, Un parco che protegga tutti, La Nazione, 27.07.1999).

Nella lettera che scrissi il 16 dicembre 1999, a conclusione del mio lavoro, agli Amici che vivevano e lavoravano nel Parco della Maremma dissi, tra l’altro, “Il Commissariamento straordinario è durato 9 MESI, il tempo di una ‘gravidanza’. Spero che sia nato il PARCO AMICO. Ora sta ai nuovi genitori, il Presidente e il Consiglio, educarlo e mantenerlo sulla strada amica. A me resta la soddisfazione di aver lavorato insieme a voi, unitamente ai dipendenti dell’Ente che sento il dovere di ringraziare. Voi che siete il Parco vero, che amate questo meraviglioso lembo di terra e reclamate giustamente forme di partecipazione più democratiche”.

• Ma andiamo per ordine. I nuovi rapporti che volevo instaurare avevano bisogno sia di atti amministrativi che di segni e testimonianze che il cambiamento era iniziato. Per questo motivo RIDUSSI LE INDENNITÀ DEL PRESIDENTE E DEI CONSIGLIERI. Quella del primo la equiparai all’indennità di un assessore provinciale, quella dei secondi la misi allo stesso livello dei consiglieri provinciali. Io rinunciai al mio compenso sino ad agosto. Con quella semplice operazione portai le spese per indennità a 46.000.000 nel 1999, a fronte dei 162.000.000 del 1998. Oltre che per il presente, intendevo anche dare un segnale per il futuro: al Parco non ci si colloca per accaparrarsi qualche prebenda, ma per offrire un servizio pubblico.

 

• Poi, accompagnato dall’architetto Enrico Giunta, ANDAI AD INCONTRARE ALCUNI PROPRIETARI E GESTORI DI ATTIVITÀ interne al Parco. Lo feci per ascoltare, comprendere i disagi, leggere le aspettative, insomma per sentire il loro odore. Per me emozionante fu l’incontro con la signora Giuliana Ponticelli, proprietaria della Trappola, che era in contenzioso con il parco per un progetto di Birdwatching. Che donna. Mi disse che lei lavorava nel rispetto rigoroso della tradizione maremmana, in una dimensione esistenziale e non economica. Da quando sono nata – disse – non è stato tirato su un mattone alla Trappola al fine speculativo e la tipicità maremmana della Trappola è stata sempre da me rigorosamente tutelata: non ha mai fatto parte di un disegno economico. Tutti gli animali allevati qui sono il risultato di varie generazioni di produttori, non ultima la mia. Ne uscii emozionato ed edificato.

 

• Non potevo naturalmente sfuggire alla delicata, quanto reclamata od osteggiata, azione di CONTENIMENTO DELLA FAUNA IN ECCESSO, o meglio, di ristabilimento di un adeguato equilibrio ecologico, ormai saltato. Uno studio effettuato sulla gestione degli ungulati tra il 1994 e il 1996 ed una successiva ricerca sull’andamento demografico della popolazione del daino, avevano fatto emergere un quadro preoccupante: si parlava di 2.700 daini. Per i cinghiali il discorso era analogo: solo nell’estate 1998 erano stati avvistati 482 piccoli riprodotti in quel periodo. Le azioni condotte sino ad allora dall’ente parco, quanto a catture e abbattimenti, erano state evidentemente insufficienti. E non lo dicevo io, ma il Comitato scientifico. Le sperimentazioni effettuate dal 1996 non avevano offerto accettabili garanzie e risultati. Avevano fallito la sterilizzazione del daino femmina poi, uno dopo l’altro, il sistema dei recinti con rete, le reti a caduta, i lacci di caucciù, le tavole con chiusura a scatto. Che dovevo fare, stare fermo?

Con i miei collaboratori più stretti riflettemmo, ci consigliammo, chiedemmo il parere del nostro Comitato scientifico, che addirittura si espresse per ridurre al massimo e, se possibile, eliminare totalmente, la popolazione dei daini, mentre per quanto riguardava i cinghiali, auspicava un potenziamento dei piani di contenimento. Presi la decisione il 2 aprile 1999, un mese dopo il mio insediamento, con la famosa delibera n. 21, che entrò in vigore il mese successivo. Mettemmo in piedi un regolamento stralcio. Prevedeva che i daini al di fuori dell’area agricola potevano essere abbattuti solo da selecontrollori (cacciatori speciali con titoli e autorizzazioni speciali) che avessero partecipato ad un corso di formazione, mentre la cattura dei cinghiali si decise di affidarla ad un soggetto esterno, dopo l’espletamento di una pubblica gara. Invece i daini e i cinghiali all’interno dell’area agricola potevano essere catturati solo dal nostro personale di vigilanza, se necessario, insieme ai proprietari e ai conduttori dei fondi (per interventi mirati e saltuari). Ogni singolo piano di intervento doveva essere sottoposto all’esame e all’approvazione del Comitato scientifico, che determinava modalità e numero dei prelievi. Organizzammo i corsi di formazione integrativi per i selecontrollori che avevano già fatto il corso con la Provincia e quello per i proprietari e i conduttori che prevedeva anche il superamento di un test. I danni all’agricoltura relativi al primo semestre del 1999 li pagammo nel luglio dello stesso anno.

• Peraltro, mettemmo in piedi una serie di azioni che si configuravano come un vero e proprio sistema. Prevedevano: l’attivazione, con il Dipartimento di Biologia Evolutiva dell’Università degli Studi di Siena, di una ricerca quadriennale per lo studio e la gestione della teriofauna (mammiferi di piccola e media taglia: da noi daino, cinghiale e capriolo) del Parco che avrebbe dovuto condurre alla stesura di un piano complessivo di gestione della fauna selvatica; la predisposizione di azioni efficaci di sterilizzazioni al posto di quelle inefficaci fatte sino allora; l’approvazione di un progetto per la produzione di colture a perdere (gradite agli ungulati) nelle quali concentrare gli animali, senza dover procedere agli abbattimenti, ma tentando di limitare i danni alle aree coltivate della zona protetta; l’attivazione di una collaborazione con l’ARSIA per porre in opera, nelle zone maggiormente soggette ai danni da fauna selvatica, un sistema di recinzioni provvisorie elettrificate; la realizzazione della recinzione lungo l’itinerario faunistico/forestale a completamento dei tratti precedentemente realizzati (Vergheria e Romitorio) predisponendo anche un progetto per il 2000, a completamento della recinzione nelle parti del Parco ancora mancanti. Inoltre, al fine di farla finita con i numeri della presenza degli animali buttata a casaccio dagli uni e dagli altri, a seconda dei reciproci interessi, incaricammo un consulente esterno di fare una stima della loro presenza e dei danni che provocavano. Insomma, l’impianto era molto serio, rispettoso dell’equilibrio ecologico e, speravamo, efficace.

Avevo messo in conto critiche da destra e da manca e queste non mancarono. Mi arrivarono da alcuni cacciatori e agricoltori e da alcuni ambientalisti. Circa 80 animalisti italiani, fomentati da soggetti locali da quella che chiamai la Campagna di disinformazione di agosto, intasarono il nostro fax accusandomi di tutto il peggio possibile e la L.A.V. diffidò l’Ente Parco a revocare la deliberazione n. 21. La requisitoria dell’inquisitore della L.A.V. era assolutamente smodata e ci muoveva accuse del tutto fuorvianti e pretestuose. Naturalmente rispondemmo punto per punto con una contro requisitoria di 27 pagine, che sarebbe interessante andare a rileggere, ma troppo lungo riportarla in questa sede.

• Perché, poi, tenere aperti i CONTENZIOSI se si voleva crea-re un nuovo clima con gli abitanti e le aziende del Parco? Per questo ci impegnammo a chiudere tutti quelli possibili. E lo facemmo: con l’Azienda agricola dell’Uccellina mediante la sottoscrizione di un atto di transazione; con l’Azienda agricola La Trappola relativamente alla strada di accesso a Bocca d’Ombrone e al citato nuovo percorso di Birdwatching; con l’Azienda agricola Le Cannelle riguardo a vari interventi effettuati in località Cannelle di Talamone; con l’Azienda agricola Tombolello circa la pineta omonima. Gestimmo anche la problematica inerente la posa in opera di bitume fresato lungo alcune strade del Parco (che effettuammo a nostre spese) e predisponemmo gli atti necessari per procedere alla redazione e sottoscrizione dell’eventuale convenzione con l’Azienda agricola Vivarelli Colonna. Tra i contenziosi, ma pensa te, c’era anche quello riguardante il comportamento da tenere nei confronti dei pescatori lungo la foce dell’Ombrone, oggetto di poca chiarezza circa le competenze dei vari enti. Grazie a questo feci la scoperta anche dei punti foranei: mancava la individuazione di una linea (una riga su carta) che traguardasse il punto più foraneo di una sponda del fiume Ombrone al punto più foraneo dell’altra sponda. Questa serviva per dividere le acque interne (Ombrone) di competenza del Parco, da quelle esterne sul mare, di competenza di altri. Questa carenza faceva sì che alcuni pescatori, che pescavano tra la fine dell’Ombrone e il mare, talvolta venissero multati dai Guardaparco (e se con la canna erano nella zona marina e con la lenza dentro l’Ombrone?). Questi a loro volta denunciavano le guardie alla Procura e le guardie si prendevano anche l’avviso di garanzia. La delimitazione del punto foraneo spettava alla Regione e in carenza di quell’autorizzazione predisponemmo un ordine di servizio interno nei confronti del Servizio di Vigilanza. Non avrei mai pensato di dovermi occupare di una cosa del genere.

 

• C’erano, inoltre, anche tutta una serie di PRATICHE EDILIZIE E SANATORIE che giacevano, non si sa perché, sulla scrivania. Le approvammo entrambe abbondantemente nei tempi previsti per legge (evase entro 20/30 giorni massimo dal momento del loro arrivo). Al 15 dicembre erano state evase 373 pratiche edilizie ordinarie e 33 richieste di sanatoria edilizia.

Approvammo tutta una serie di programmi di miglioramento ambientale e le relazioni agrituristiche, tramite l’agronomo che avevamo convenzionato, in tempi notevolmente più brevi rispetto agli altri enti. Alla stessa data del 15 dicembre erano stati approvati 25 programmi di miglioramento agricolo ambientale.

• Un’altra cosa per me incomprensibile era LA INCOMUNICABILITÀ TRA IL PARCO REGIONALE DELLA MAREMMA E L’AZIENDA REGIONALE DI ALBERESE. Regionali entrambi. Mi attivai subito con il direttore Marco Baglioni e nel giro di poco tempo stipulammo un accordo vantaggioso per entrambi. “La gestione commissariale ha risolto in due mesi una questione che era in sospeso da anni” dichiarò Baglioni il 31 agosto 1999 in occasione della firma della nuova convenzione (la vecchia risaliva al 1992 quando commissario era Vellutini, ed era scaduta da oltre un anno). A lui si aggiunse Mauro Ginanneschi: “È davvero cambiato il clima qui al Parco se pensiamo a quello che succedeva solo qualche mese fa…” (Gabriele Baldanzi, Tempo di pace tra il Parco e l’Azienda agricola della regione, Il Tirreno, 1.09.1999). Nella stessa occasione dissi: “Non ho fatto nulla di straordinario, solo il mio dovere, visto che tra i compiti del commissario c’era anche quello di portare a termine questo passaggio. In futuro l’Ente Parco avrà nell’Azienda un punto di riferimento, un partner”. Grazie ai corretti rapporti instaurati ed in conformità con quanto previsto dalla convenzione sottoscritta, numerosi lavori furono effettuati dal personale dell’Azienda Regionale per l’Ente Parco. Giungemmo anche alla definizione delle modalità per l’acquisto dei tre immobili già individuati nella convenzione (l’ex Frantoio, la casa del Guardiacaccia, la casa dei Pinottolai) e al reperimento dei fondi necessari (705.000.000 di lire) per procedere all’operazione.

 

• Il PERSONALE del Parco viveva in una sede indecorosa e una buona parte si sentiva un po’ padrone e un po’ assediato. Due atteggiamenti che non mi piacevano perché sbagliati entrambi. L’asse che strinsi con l’architetto Giunta dette una diversa impronta, riorganizzando anche il funzionamento interno abbastanza abborracciato. Anche per questo alcuni lasciavano trasparire una certa ostilità, non credo tanto nei miei confronti, quanto nei riguardi dello stile che il duo Gentili-Giunta aveva messo in piedi, ritenendolo prono ai nemici dell’idea di Parco che avevano loro. Una fesseria, naturalmente. Per far fronte all’accelerazione impressa, mettemmo in piedi azioni per rimpinguarlo e qualificarlo ulteriormente, favorendo anche il passaggio di qualifica di gran parte di esso. Infatti, realizzammo selezioni e concorsi interni per capoguardia e per un centralinista. Assegnammo l’incarico ad un agronomo per seguire tutte le questioni inerenti l’agricoltura, la forestazione e per la stima e la valutazione dei danni arrecati dai selvatici alle colture, assumemmo a tempo indeterminato un’architetta, acquisimmo alla dotazione organica dell’Ente 2 operai provenienti dall’Azienda Regionale di Alberese (esecutiva dal 1 gennaio 2000), mediante l’assunzione diretta della gestione del servizio di manutenzione delle strutture, dei mezzi e degli itinerari; predisponemmo anche il bando per il concorso per ulteriori guardaparco e stipulammo una convenzione con la Provincia di Grosseto per l’espletamento del concorso. Predisponemmo, infine, la gara per l’acquisto di un nuovo mezzo fuoristrada per il servizio di vigilanza, a parziale sostituzione del parco auto assai invecchiato. Organizzammo un corso di perfezionamento per la vigilanza in materia di pubblica sicurezza e atti di polizia giudiziaria e trasferimmo la vigilanza nella nuova sede dello Scoglietto, fornita di adeguata attrezzatura d’ufficio.

 

• Un discorso a parte merita poi la questione del DIRETTORE DEL PARCO. Era dal 1992, dai tempi di Ilio Boschi, che l’Uccellina ne era sprovvista. Avevano più volte tentato di bandire un concorso per individuarne uno nuovo, ma gli appetiti dei candidati, la individuazione del profilo giusto (con la diatriba se era meglio l’esperienza amministrativa e professionale o la qualificazione scientifica in materia di tutela, valorizzazione e gestione del patrimonio ambientale) e chissà quale altra diavoleria, non avevano mai permesso il suo espletamento. Il precedente consiglio si era scannato, appunto, sul fatto se doveva essere un ecologo (come voleva il presidente) o un architetto (come voleva il gruppo dei 6 che si opponevano al presidente). Io non volli neppure guardare l’elenco e i curricula dei candidati – anche se a fine settembre fui sollecitato ad adottare decisioni in merito anche dai revisori, Rambelli, Gabbrielli e Carlotti su sollecitazione della dirigente Scialanca (e la cosa non mi piacque affatto) – ma dopo poco tempo mi resi conto che il Parco il direttore già ce l’aveva. Era l’architetto Enrico Giunta, persona competente e di esperienza nonostante la giovane età, operativa, perfettamente in grado di gestire la macchina burocratica e le relazioni esterne dell’Ente. Non potevo nominarlo formalmente, ma per me il direttore era lui. Grazie a lui – e per le varie questioni agli altri dipendenti e, per le mie relazioni, a soggetti istituzionali esterni – mi fu possibile mettere in piedi tutte le azioni di quei 9 mesi.









Nessun commento: