Nel 1995 ci trovammo in un vero e proprio bailamme. Con l’assessore Renato De Carlo ci impegnammo come matti per portare a casa qualche risultato. Le sabbie mobili delle chiacchiere e dell’immobilismo altrui ingoiarono anche noi. L’unico fatto concreto fu il progetto definitivo per l’adeguamento in sede del tratto a due corsie di Capalbio da noi commissionato all’Anas
Il corridoio tirrenico è
ancora oggi una necessità e infatti se ne continua a parlare. Esso, in verità,
significa infrastruttura plurimodale fatta di mare, ferro e strada con la
funzione anche di collegare i porti commerciali e turistici toscani. Ma ora mi
soffermo sulla strada.
La
questione del corridoio tirrenico ha qualcosa di mitologico e la sua origine si
perde nella notte dei tempi.
Partita l’avventura quando
io avevo 12 anni, nel lontano 1969 con un decreto ministeriale che autorizzava
la concessione alla SAT (Società Autostrada Tirrenica) da parte dell’Anas per
la costruzione e l’esercizio dell’autostrada Livorno-Civitavecchia, già nel
1975 fu bloccata dalla legge La Malfa (Ugo) con il fermo messo a tutte le
costruzioni di nuove autostrade. Costruzioni che tornarono poi in pista nel
1982 e furono confermate nel 1985, ma senza risultati concreti. Nel 1991 il
progetto autostradale, con tracciato interno, presentato dalla concessionaria
fu oggetto di pronunciamento di Valutazione di Impatto Ambientale negativo da
parte del Ministro dell’Ambiente di concerto con quello dei Beni Culturali e
Ambientali. Da noi, polemiche, dibattiti, prese di posizione, propaganda sul
come farla: alcuni nel riempirsi la bocca ci si sono ingrassati.
① COSA TROVAMMO. Appena
eletto Presidente della Provincia di Grosseto, mi trovai in un vero e proprio bailamme.
I punti esclamativi di quel
periodo – “Fare l’autostrada è un obbligo
morale!”, “Non si deve fare!”, “Muovetevi o moriamo!”, “Non c’è volontà politica!”, eccetera,
eccetera, – andavano bene per il circolo bocciofili, per i dibattiti
congressuali, per le polemiche sulla stampa.
Notoriamente il come fare questa benedetta strada è
sempre stato oggetto di accese disfide e ha dato vita a mille, legittimi,
sentiti quanto inconcludenti, dibattiti.
Ma nel 1995 la realtà in cui
si trovava chi doveva tentare di fare qualcosa di concreto era il caos
assoluto, ed era davvero difficile trovare il pertugio utile.
Sul
fronte dei soggetti che potevano dire e
fare cose operative, la confusione era massima.
Non si riusciva a
comprendere chi avesse veramente il bandolo in mano. C’era l’ANAS (da poco Ente
nazionale per le strade) con il Presidente Giuseppe D’Angiolino, la SALT
(Società Autostrade Ligure Toscana) col presidente Francesco Baudone, la SAT
(Società Autostrade Tirrenica) con Stancanelli, poi in seguito nacque la SPAT
(Società per l’Autostrada Tirrenica) con presidente Carlo Alberto Dringoli, una
società privata costituita dalle associazioni industriali di nove province
della fascia tirrenica e dalla stessa Salt. Sembrava un tavolo da gioco e
nessuno sapeva se i giocatori avevano in mano il poker d’assi o una coppia di
sette.
Se penso poi agli interlocutori politici, mi viene il mal
di mare. Tutte persone rispettabilissime e di livello, naturalmente, ma troppe.
Nella legislatura maggio
1995 – giugno 1999 ho passato 3 Presidenti del Consiglio, Dini, Prodi e D’Alema
e 4, dico 4, Ministri dei Lavori Pubblici, Paolo Baratta (fino al 17 maggio
’96), Antonio Di Pietro (dal 18 maggio al 21 novembre ’96), Paolo Costa (dal 22
novembre ’96 al 21 ottobre 1998), Enrico Micheli (dal 22 ottobre ’98 alla fine
della nostra legislatura provinciale).
L’unico riferimento fermo,
sia pure con lievi oscillazioni, fu la Regione Toscana col Presidente Vannino
Chiti e l’Assessore Tito Barbini.
LA LINEA POLITICA ERA MOLTO
SUSSULTORIA, ANCHE SE NOI, SPECIE NEGLI ATTI FORMALI, FUMMO LINEARI. Negli atti
programmatori che trovai in Provincia si auspicava l’ammodernamento
dell’Aurelia. D’altro canto, proprio tra il 1995 e il 1996 la Regione Toscana
sembrò trovare un asse con la SAT e ambienti governativi: la formula magica fu “percorso unitario d’intenti” per “un’unica infrastruttura con caratteristiche
autostradali lungo tutta la direttrice tirrenica”.
Noi tendevamo a leggere
quella formulazione politichese più spostata sul versante Superstrada, che su quello dell’Autostrada. E i nostri atti formali
si mossero in quella direzione. Il 25 settembre 1996, infatti, deliberammo in
Consiglio Provinciale l’adeguamento
dell’Aurelia da Grosseto al confine con il Lazio con l’indicazione puntuale
degli svincoli da realizzare al posto delle immissioni a raso, dei tratti da
portare a quattro corsie e persino delle indicazioni progettuali e morfologiche
per il miglior inserimento nel paesaggio. Questa deliberazione non è stata mai
revocata.
Fu proprio sulla base di
quella delibera che, nel gennaio 1999, chiedemmo all’ANAS di redigere il progetto definitivo (finanziato da noi e dalla
Regione Toscana) per l’adeguamento in
sede del tratto a due corsie nel comune di Capalbio. Anche questo progetto
che io sappia non è mai stato ritirato.
Sia chiaro, però, che
eravamo disposti ad accogliere anche la proposta dell’Autostrada costiera
(prevalentemente sul tracciato Aurelia) di fronte ad una proposta vera, con
soldi veri, con tempi certi e alle condizioni ambientalmente più compatibili.
② L’APPARENTE ELISIR DEL
1996. Sul fronte del dibattito, sembrò
improvvisamente possibile intravedersi una via d’uscita, anche a seguito di
un autorevole incontro tenuto a Grosseto nel 1996 presso la Camera di Commercio
voluto dal Comitato permanente per la realizzazione prioritaria dell’autostrada
Livorno-Civitavecchia: presenti Carlo Alberto Dringoli (Presidente del Comitato
organizzatore), il vice-presidente del Consiglio regionale Mauro Ginanneschi
(per Vannino Chiti), Tito Barbini, assessore regionale ai trasporti, il
sottosegretario ai trasporti Giuseppe Soriero, il sottosegretario ai lavori
pubblici Antonio Bargone, il presidente della Salt Francesco Baudone, il
direttore generale di Confindustria, Innocenzo Cipolletta.
Come
detto, l’elisir fu rappresentato da due espressioni: “percorso unitario d’intenti” e “unica
infrastruttura con caratteristiche autostradali lungo tutta la direttrice
tirrenica”.
Consci che la problematica
di fondo era di carattere finanziario, furono fatte anche delle cifre e
ipotizzato un percorso. Secondo calcoli che si dicevano attendibili, la
realizzazione del tratto di percorrenza Grosseto-Civitavecchia sarebbe costato
circa 1.300 miliardi di lire (l’Anas ne disponeva forse di 1.000, che erano la
metà del proprio fondo di dotazione). Quindi che cosa si poteva fare?
Ipotizzando la trasformazione della superstrada Rosignano-Grosseto in
autostrada a pagamento (costo previsto 300 miliardi di lire) con i ricavi del
pedaggio (da cui si pensava di escludere il traffico locale) si sarebbe potuto
finanziare il proseguimento del corridoio (una strada europea a norme
comunitarie, si diceva) fino a Civitavecchia. A questa ipotesi, si disse, si
poteva concretamente lavorare perché la Salt, con il suo presidente Francesco
Baudone, aveva dichiarato la propria disponibilità. In sostanza, la Salt
avrebbe pagato la spesa di trasformazione (300 miliardi) e incassato il
pedaggio del tratto Rosignano-Grosseto. Soluzione che non avrebbe richiesto
l’intervento delle casse dello Stato, già allora sempre più asfittiche.
La via di uscita fu più un
abbaglio che una realtà. L’elisir ebbe vita breve.
La Provincia, per le sue
scarse finanze e le pressoché nulle competenze sulle grandi opere, non poteva
in realtà fare molto, però un peso lo
poteva avere, soprattutto nella tessitura di una posizione discussa e
condivisa. Insieme all’Assessore Renato De Carlo, persona di grande
signorilità, competenza e abnegazione, contattammo praticamente tutti,
incontrandoci o scontrandoci, avanzando proposte e accompagnando ogni piccolo
barlume realizzativo. Naturalmente nell’ottica di realizzare un’opera il più
possibile capace di unire concretezza a rispetto dell’ambiente.
Personalmente, su questo tema ho sempre
avuto un approccio pragmatico.
Non avevo un’ideologia da difendere
e comprendevo che i nemici da battere erano i dibattiti inconcludenti, i veti
contrapposti, le ipotesi contrastanti. Lo consideravo come il gioco delle tre
carte: altri ci davano le carte e puntualmente ne facevano sempre sparire una,
dirottando le sempre meno pingui risorse statali verso altre zone d’Italia.
Per questo nel 1995 ero
favorevole all’adeguamento dell’Aurelia perché c’erano limitate risorse
disponibili e l’intervento autostradale ne reclamava molte di più. Poi dal 1996
venne fuori l’ipotesi dell’Autostrada secondo la modalità che ricordavo prima
(unica infrastruttura con caratteristiche autostradali lungo tutta la
direttrice tirrenica) che come detto per me voleva piuttosto dire Superstrada
con caratteristiche autostradali. E sposai questa ulteriore possibilità, in
sintonia con la Regione Toscana, forse più spinta di noi. Il problema vero
erano sempre le risorse, la certezza della realizzazione e i tempi.
Con i Ministri una vera relazione fu possibile metterla in
piedi solo con Paolo Costa. Ricordo ancora lucidamente quanto mi disse
durante un incontro nel ’97 presso il suo Ministero: il corridoio tirrenico è
una delle 6 o 7 priorità nazionali. I soldi per tutte non ci sono. Per sperare
di farla rientrare tra le prime 2 o 3 è necessario che tutti gli attori locali,
comuni, provincia, regione, soggetti vari, trovino una posizione unitaria e
parlino con una sola lingua.
Già lo sapevamo, ma il
messaggio fu forte e chiaro. E io e De Carlo ci mettemmo proprio a tessere
quella tela, con la consapevolezza della nostra modestia, ma anche della utile
rilevanza del nostro compito. Continuammo i contatti con la Regione, il
Ministero, l’Anas nazionale e regionale, le varie Società Autostrade,
dialogammo con il sistema associativo locale e favorimmo diversi incontri con i
Sindaci da Capalbio a Follonica (che non la pensavano tutti allo stesso modo):
sostanzialmente, grazie a tutti, fummo in grado di raggiungere una posizione
unitaria, al di là delle propagande di rito e di intelligenti precisazioni su pedaggio,
autostrada aperta e via discorrendo.
Questa
raggiunta intesa ebbi modo di comunicarla al Ministro Costa quando venne a
Grosseto il 13 luglio 1998. Nell’assise pubblica che si tenne al Granduca gli
rivolsi queste parole: “Nell’incontro che
si ebbe presso il suo ministero nel corso del 1997 lei mi disse che il Governo
avrebbe lavorato per quegli interventi sui quali si registrava un consenso
unanime a livello locale. Sul consenso ci abbiamo lavorato ed è stato
sostanzialmente raggiunto. Ora attendiamo la risposta nazionale su tempi,
progetti, finanziamenti, esenzione del pedaggio per i residenti.
L’Amministrazione Provinciale di Grosseto sull’Aurelia ha già messo risorse
insieme alla Regione Toscana per la progettazione esecutiva del tratto a due corsie
di Capalbio”. Sia chiaro che in quel caso si sarebbe trattato di autostrada
e al ministro dissi: “autostrada sia”.
Risposte non ne avemmo,
anche perché di lì a qualche mese cadde il Governo Prodi (ottobre 1998).
③ L’USCITA DELLA SALT. Nel
frattempo la neonata Salt per bocca del Presidente Carlo Alberto Dringoli tra
la fine del 1997 e gli inizi del 1998 aveva dichiarato che per trasformare in
autostrada aperta la variante Aurelia e realizzare con le stesse
caratteristiche la tratta mancante fra Grosseto e Civitavecchia, c’era già un progetto con finanziamento da
parte dei privati e una data certa di consegna, il 2004. Noi sollevammo
qualche perplessità di tipo burocratico come le concessioni (ma il Presidente
Dringoli disse che non ne aveva bisogno), ed era vero che in linea teorica,
sempre a risorse e tempi certi, avremmo preferito per il tratto a sud di
Grosseto una Superstrada senza pedaggio sul tipo di quella che unisce Siena a
Firenze (come si diceva, ristrutturazione dell’Aurelia con tipologia autostradale:
25 metri, due corsie per parte di metri 3.75, corsie di emergenza e tutto il
resto). Ma anche questa volta eravamo disponibili a leggere le carte della
Salt, specie perché sosteneva che il suo progetto non sarebbe costato neppure
una lira allo Stato. Il progetto non ci fu mai consegnato.
• Con questo giungemmo agli
inizi del 1999, cioè alla scadenza del nostro mandato.
Ad eccezione del rammentato
Progetto definitivo Anas da noi e dalla Regione Toscana finanziato per il
tratto capalbiese, non ricordo altri eventi significativi su questo fronte,
salvo cortocircuiti della mia memoria.
Insieme a De Carlo ci
impegnammo con tutte le nostre forze, ma alla fine ebbero ancora una volta la
meglio i chiacchieroni e gli inconcludenti di fatto uniti ai contrari a tutto e
a chi aveva interesse a dirottare altrove le risorse.
Quindi anche noi fummo sconfitti e nessuno ci riconobbe
almeno il cavalleresco onore delle armi.