Il mio appello finale a Piero, Carlo, Claudino, Lucia e tanti altri amici incontrati in quel faticoso e affascinante viaggio elettorale
Per
quanto mi riguardava giustificai i mancati apparentamenti con le altre forze
politiche con una pubblica dichiarazione: “Il
dovere di un candidato all’amministrazione provinciale nella fase di
ballottaggio non ritengo sia quello di lasciarsi schiacciare dalla logica degli
apparentamenti, quanto invece quello di aprire un serio confronto sui
programmi. Al giovane, alle donne, al professionista, al mondo dell’impresa e
della cooperazione, alla grande famiglia del volontariato, all’agricoltore,
all’artigiano, al commerciante, all’operatore turistico interessano risposte
amministrative in grado di favorire lo sviluppo e la vivibilità delle diverse
aree provinciali. Io sono il candidato del centro-sinistra, e tale rimarrò,
soprattutto nella filosofia di fondo che tende a coniugare la solidarietà
all’efficienza e a riconoscere il ruolo decisivo della società civile”.
La
novità derivava “dall’ispirazione che mi
anima: quel cattolicesimo democratico e popolare che spinge alla dedizione
totale al bene comune, che nel contempo ricorda che se tutto è politica, la
politica non è tutto, che orienta l’azione alla realizzazione di un umanesimo
integrale e plenario. Nuova è l’idea di suscitare e valorizzare le potenzialità
presenti nella società civile (a cominciare dalla famiglia, dal volontariato,
dall’associazionismo in genere). Originale mi sembra essere, almeno per le
nostre zone, l’idea di sviluppo legata all’innovazione tecnologica,
organizzativa ed al collegamento con i centri di ricerca e le università.
Decisiva, infine, ritengo sia l’attenzione nei riguardi della cultura, della
formazione e della scuola. Pur nel rispetto delle competenze dell’ente, è
prioritario convincersi che nell’attuale clima di concorrenza mondiale non vi è
alcuna prospettiva di conservare il benessere e la democrazia se non con un
enorme aumento del livello di istruzione di tutti i cittadini”.
Il
progetto “che sta alla base della mia
candidatura alla presidenza della Provincia è un progetto di centro-sinistra.
Su questo è stato fatto un patto con gli elettori, da essi ampiamente condiviso
ed in tale direzione intendo muovermi. Il programma che si sta delineando,
mediante il confronto con i cittadini, con le categorie produttive e le forze
sociali, è aperto al contributo e alla convergenza di tutti, senza pregiudizi
di alcun genere”.
E così decollò la seconda
fatica di Ercole: altri 10 giorni di
forsennata campagna elettorale. Incontri, dibattiti, colloqui. Invitammo
candidati di livello nazionale, quali Rosy Bindi, Claudio Burlando, Luigi
Berlinguer, Beniamino Andreatta. Ho ancora in mente l’incontro con quest’ultimo
all’Hotel Granduca di Grosseto; con quel suo parlare impolitico, difficile, mi
colpì l’augurio finale che mi fece: “Stefano,
ti auguro di essere il leader dello sviluppo di questa provincia”. Quel
LEADER DELLO SVILUPPO non me lo sono più tolto dalla testa e ha rappresentato
un faro ideale della mia azione futura.
Intanto il confronto con
Tamburro si faceva sempre più aspro, sino al suo apice, raggiunto a Canale 10 e
poi a Telemaremma il 5 maggio. Dinanzi a Tamburro che mi accusava “di andare avanti per slogan, senza
conoscere il perché e il come delle cose”, definendomi “espressione del passato”, rispondevo dicendogli che aveva “una visione aristocratica e taumaturgica
della politica” e che era “un
burocrate e un arrogante”.
Uno che “pretende di avere la bacchetta magica”. E di nuovo Tamburro a
sostenere che il PDS sarebbe stato egemone e mi avrebbe schiacciato. Ed io di
rimbalzo a rinfacciargli di “avere il
volto rassicurante ma i modi di una certa destra” e di essere legato a
certi interessi a differenza mia che avevo un’idea della politica “non legata a nessun interesse economico,
politico e sociale” e che, anzi, avrei lottato contro tutti quegli
interessi che avrebbero voluto schiacciarla. Tamburro ancora a ribattere che
non avrebbe schiacciato nessuno e che “mentre
nel suo schieramento c’è la destra e molto centro, dall’altra parte c’è molta
sinistra e poco centro”.
Concludeva
il servizio de La Nazione del 6 maggio 1995, affermando che serpeggiava “tra i due una polemica su una lettera
firmata da esponenti di un movimento cattolico” che invitavano “a votare per Gentili” e questo, “secondo Tamburro”, era “un modo di abusare della propria religione”.
La
lettera era stata pubblicata prima delle elezioni del primo turno e alcuni
cattolici, senza coinvolgere nessuna associazione o movimento ecclesiale, ma a
titolo personale, dichiaravano apertamente di sostenere la mia candidatura. Mi
riconoscevano “come uno dei nostri”,
dotato “senza dubbio di notevole
competenza politica” e dichiaravano essere “le idee politiche che propone che ci spingono a sostenere la
candidatura di Stefano Gentili”. Concludevano il loro appello destinato
agli altri cattolici nel modo seguente: “Per
questo ci rivolgiamo a voi, consapevoli che, mentre una vittoria di Gentili
consentirebbe di riaggregare l’area cattolico-democratica e di ridarle vigore
nella nostra Provincia, una sua eventuale sconfitta sarebbe una sconfitta per
tutti i cattolici democratici”.
Un appello che mi sorprese,
tanto fu inatteso, ma che mi dette la consapevolezza che non ero solo, anche
all’interno di quell’arcipelago cattolico, allora sempre poco attento e
generoso con i suoi figli che si impegnavano in politica. Specie se si
alleavano con gli eredi di Peppone.
A
pareggiare l’appello ai cattolici in mio favore, ci pensarono i cattolici del
PPI di Buttiglione che in un volantino elettorale invitavano a votare Tamburro
dicendo testualmente: “Pretenderebbero di
dimostrare che la cultura e il pensiero politico cattolico sono affini a quelli
del PDS. Possono esserci affinità con un partito come il PDS che ha una
concezione opposta alla nostra in tema di aborto, famiglia, tutela
dell’individuo nei confronti della pubblica amministrazione, diritto allo
studio???? (i 4 punti interrogativi erano nel volantino”.
Quasi tutti temi che non
avevano nulla a che fare con le competenze della Provincia. Ma, si sa, quando è
guerra è guerra.
Comunque sia, eravamo alle
battute finali e nell’APPELLO sul perché votare per me, che feci a Telemaremma
e comunicai alla carta stampata, espressi, per così dire, i miei sentimenti
politici:
“Perché votare per me?
Perché non sono un uomo prestato alla
politica, ma un cittadino che ha sempre creduto nel valore alto della politica
e lottato contro chi la abbassava a strumento di salvaguardia dei privilegi
personali e di gruppo.
Perché non sono legato ad interessi
politici, economici e sociali particolari; quindi sono libero di scegliere – e
di sbagliare – ascoltando anche le flebili voci dei più deboli e avendo come
bussola il bene comune.
Perché non credo ai professionisti della
politica, ma ritengo necessario ridare in mano ai cittadini il timone della
propria storia attraverso una partecipazione reale e non fittizia e una
collaborazione costruttiva che veda impegnati larghi strati della popolazione
provinciale.
Perché voglio che anche il nostro
microcosmo provinciale si radichi sempre di più sui valori fondamentali del
nostro patto costituzionale: sul personalismo, sullo sviluppo delle comunità
intermedie, sul pluralismo, sulla partecipazione, sulla solidarietà, sul
rispetto della libertà di coscienza, sulla distribuzione del potere, sulla
imparzialità e trasparenza della pubblica amministrazione.
Perché ripudio una politica ridotta a
pragmatica gestione dell’esistente, priva di valori e di capacità progettuale.
Far politica, anche amministrativa, esige ancora la capacità di coniugare
realismo ed utopia, riconoscendo lo scarto che necessariamente esiste tra ciò
che si vorrebbe e ciò che si può, ma senza rinunciare a costruire una comunità
migliore in cui possa essere vissuta da tutti la giustizia e la pace.
Perché Piero, Carlo, Claudino, Lucia e i
tanti altri amici che ho incontrato in questo faticoso e affascinante viaggio
elettorale mi hanno detto che senza la passione per le cose sopra dette non è
possibile e neppure utile tentare di offrire una risposta concreta ai numerosi
problemi della nostra provincia”.
Con il mio appello e quello
di Giovanni Tamburro si chiusero le ultime ore di campagna elettorale e ci si
avviò verso il sabato del silenzio, entrambi stanchi ma consapevoli di aver
fatto tutto quello che era nelle nostre possibilità.
Cosa ci avrebbe riservato la
domenica?
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