Tra la lumachella della vanagloria e i grandi della Mancia, ho riordinato le cose dette in quattro anni di presidenza
Fare, fare, fare era il mio
assillo. Ma quando presiedi qualcosa devi anche dire. Dire, dire, dire. Parlare
in ogni circostanza, da quelle più banali e veloci ad altre più complesse e
corpose.
Mentre le prime, le cose
fatte, sono sotto gli occhi di tutti e, bene o male, ci giudicano e ci
valutano, le seconde, le parole dette, dopo un po’ di tempo svaniscono come
neve al sole.
Capita, peraltro, di godere
di fondamentali frammenti di vita nei quali ci è dato riflettere con calma e
pacatezza e allora ti chiedi: “Ma che ci
sono stato a fare?, cosa ho realizzato?, cosa ho detto?”. E quando me lo
chiederanno i miei figli, cosa risponderò loro?
Il dettagliato resoconto
delle cose fatte fu pubblicato, come amministrazione, alla fine della
legislatura. E su alcune di esse mi soffermerò più avanti.
Le
cose dette, invece, sembrerebbero essersi perse nelle circostanze, nei
consessi, nei convegni. Eppure non può essere così, perché le
parole sono pietre e una volta uscite non si possono riprendere: creano caos o
ordinano, distruggono o tracciano il futuro.
Mosso da questa curiosità (ho fatto confusione o aiutato a tracciare il
futuro? Ho detto qualcosa di significativo oppure è stato solo flatus vocis)
mi ero deciso a partire per riorganizzare le parole perse, quando una lumachella ha fatto capolino. Era la
Lumachella della Vanagloria di Trilussa che mi illudeva di aver lasciato
un’impronta nella storia locale.
D’altro canto, dovevo
decidere se lasciar cadere tutto nell’oblio, oppure fare ordine tra le orme di
questo passaggio. Valeva la pena? Era giusto? A chi serviva?
SOGNO O SON DESTO?
Poi, improvvisamente, ho
fatto un sogno. Ho sognato Don Chisciotte che percorreva i territori
dell’immaginario alla ricerca di una nobile causa da difendere, nemico di
quanti usavano la ragione come grimaldello per i loro interessi.
L’anti-eroe pronto a
battersi contro il Cavaliere della Bianca Luna e i mulini a vento del potere.
Il simbolo del perdente in
un mondo dominato da grinta e decisionismo.
“Il
Don Chisciotte che si ostinava a credere, contro l’evidenza, che la bacinella
da barbiere fosse l’elmo di Mambrino e che la rozza Aldonza fosse l’incantevole
Dulcinea. E con lui è apparso il fido Sancho Panza che lo assecondava, ma che
gli mostrava i limiti e i rischi della sua immaginazione, che lo spingeva verso
cose più concrete” (C. Magris).
Allora, come di soprassalto,
mi sono svegliato e sono venute alla mia mente le parole di una canzone tratta
da un album di Francesco Guccini, Stagioni.
“Nel mondo oggi più di ieri domina
l’ingiustizia / ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia; / proprio per
questo Sancho c’è bisogno soprattutto / di uno slancio generoso… Il Potere è
l’immondizia della storia degli umani / e anche se siamo due romantici rottami
/ sputeremo il cuore in faccia all’ingiustizia giorno e notte / siamo i grandi
della Mancha / Sancho Panza e Don Chisciotte”.
Anche io sicuramente in
qualche caso ho confuso la bacinella da barbiere con l’elmo di Mambrino. Ho
cioè lottato contro fantasmi inesistenti che, magari, erano entrati nella mia
mente. Oppure ho preso fischi per fiaschi. Ma posso assicurare che ho
combattuto l’ingiustizia (quella che a me sembrava tale) e preso le distanze
dal potere, anche se la sua gestione è necessaria nell’amministrare la cosa
pubblica. Ma che, se ti si attacca addosso, non ti abbandona più.
Il
Don Chisciotte dell’utopia e il Sancho Panza del disincanto hanno lavorato
insieme in me e nei miei più stretti collaboratori. Il
fido scudiero ha tentato di farmi vedere le cose nella loro cruda verità e
realtà e, quando è accaduto, è stato un bene. Ma il Don Chisciotte dell’utopia
ha spesso avuto la meglio: dopo tutto è necessario pensare che la vita abbia un
senso e un senso abbia quello che stai facendo e, quindi, operare per cercare
l’elmo fatato ed incontrare la bellezza luminosa.
HO RITROVATO 55.569 PAROLE
Assorto tra sogni e dubbi e
in altre faccende indaffarato, alcuni anni fa, quasi senza accorgermene ho
iniziato a mettere in fila le cose dette. Ho preso solo le parti più
significative, magari spezzoni di discorsi più lunghi e articolati oppure
semplici saluti. Considerazioni alcune, che ho condiviso con i miei più stretti
collaboratori e, quindi, risentono anche del loro apporto.
Cosa ne è venuto fuori? Non
sta a me dirlo.
Certamente
è la testimonianza delle cose dette e, per ciò stesso, delle sensazioni provate
e condivise, delle speranze abbozzate mediante 55.569 parole. Forse, vi si
può intravedere un filo conduttore, una coerenza di fondo. Magari qualcosa che
meriti almeno la dignità di un indice.
Ho ritenuto opportuno
aggregare gli interventi per argomenti partendo dai più remoti – e quindi magari
semplicemente abbozzati – ai più recenti e compiuti. Ne sono uscite fuori 5
raccolte rintracciabili sul mio sito http://www.stefanogentili.it/prov_amica/introduzione.php
Editoriali e saluti.
Considerazioni su ambiente, territorio, infrastrutture. Considerazioni su
lavoro e sviluppo. Considerazioni sui fattori di coesione sociale e sull’ente
Provincia. Considerazioni su democrazia, società civile, politica.
La speranza è che un domani una giovane ricercatrice,
desiderosa di ricostruire – con il giusto distacco e la necessaria obiettività
(che io non posso avere) – la vicenda politico-amministrativa locale, s’imbatta
anche nelle cose fatte e dette dalla
provincia di Grosseto e dal suo Presidente, nella breve legislatura 1995-1999.
1998 Incontro a Grosseto con il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro |
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