La provincia mi travolse. Le pietre rotolanti che mi stavano venendo addosso erano pesanti. Il riferimento a Robert Musil e Tommaso Moro. Le scelte di fondo
Sì, fui travolto da un
insolito destino, ma non “nell’azzurro
mare d’agosto” di Lina Wertmuller.
Infatti, mentre alcuni
polemizzavano sui risultati elettorali, altri riflettevano sull’atteggiamento
avuto dal mondo cattolico, i comunisti di Sergio Bovicelli (sacerdoti autentici
della vera e unica sinistra) discettavano stancamente di politiche moderate o
progressiste e “di sindaci e presidenti
democristiani collocati un po’ dappertutto, come mai era accaduto in tanti anni”
e gli alleati – specie i più interessati – attendevano, pubblicamente silenti,
le mie scelte sulla giunta provinciale, fui letteralmente travolto
dall’insolito destino dei problemi che incombevano sulla Provincia.
• L’impatto fu traumatico:
L’ENTE AVEVA SMARRITO IL PROPRIO RUOLO, SEMBRAVA NAVIGARE A VISTA.
Per quanto atteneva
l’interno erano ravvisabili una struttura non funzionale, sistemi informatici
antidiluviani e non dialoganti, luoghi di lavoro inidonei, un servizio
personale poco attivo, il personale demotivato, soprattutto una totale assenza
di processi innovativi. Poi, una formazione professionale corsificio, un
ufficio agricoltura caratterizzato da un’inutile pletora di dirigenti, una
politica dell’attività venatoria appaltata all’esterno, inefficienza in ordine
a pratiche inevase al vincolo idrogeologico. Con riferimento al precedente modo
di operare vi era ancora traccia di relazioni previsionali caratterizzate da
politichese, di impegni fumosi e di un ruolo preponderante degli amministratori
nella gestione degli incarichi. Si palesava una mancanza di trasparenza e di
comunicazione. Esternamente l’ente si presentava disattento a fette del
territorio provinciale, litigioso nei riguardi degli altri attori del sistema
locale, con un rapporto deteriorato con la Regione Toscana e addirittura con
l’Unione Regionale delle Province Toscane. Circa precisi spezzoni programmatici
trovammo: il piano provinciale dei rifiuti non deliberato, il piano di bacino
della mobilità arretrato, il piano territoriale di coordinamento di là da
venire, solo per citarne alcuni. Poi, le resistenze della provincia sul decollo
di Grosseto-Sviluppo e l’azione forsennata per assumerne la presidenza, la
viabilità provinciale abbastanza trascurata in alcune zone della provincia.
Insomma, la situazione si
presentava molto problematica e riavviare un percorso virtuoso poteva sembrare
addirittura impossibile.
• A tutto questo si
aggiungevano quelle che chiamai ROLLING
STONES: PIETRE ROTOLANTI CHE
CI STAVANO VENENDO ADDOSSO.
Dal nord della provincia si
sentiva il gravoso rumore del cogeneratore di Scarlino con tutte le questioni
relative alla presenza dell’ENI, ad iniziare dalle bonifiche ambientali e
dall’occupazione. A sud mi si parlava di un lodo Ccc di alcuni miliardi legato
alla Laguna di Orbetello, per lavori eseguiti tra il 1990 e il 1992 e non
pagati. I disoccupati erano oltre 20.000.
La Livorno-Civitavecchia e
la Grosseto-Fano, nei tratti provinciali, erano ferme al palo. L’avvio
dell’istituzione del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano era un’altra bella
gatta da pelare. Il Parco Regionale della Maremma – in stato confusionale,
spaccato tra i fautori dell’ambientalismo oltranzista e quelli che di fatto ne
volevano un sostanziale superamento – da risorsa si era trasformato in fastidio
persistente. L’aeroporto di Grosseto, oggetto di tanti bla-bla-bla, era fermo e
non decollava come volano di eventuale sviluppo, ma drenava alcune nostre
risorse. La società Rama succhiava alla Provincia centinaia di milioni per il
ripiano dei propri bilanci in rosso. L’agricoltura provinciale era decotta,
senza prospettive concrete di rilancio e infestata da crisi aziendali molto
serie, come quella del Caseificio di Sorano.
Un dossier che trovai sul
tavolo, corredato di progetto e con ipotesi di costo mastodontiche, mi indicava
di procedere alla costruzione della nuova sede unica della Provincia.
Rischiai l’infarto
fulminante.
• Ma non potevo tirarmi
indietro, perché 76.746 cittadini mi avevano dato la bicicletta e bisognava
pedalare.
Mi accinsi, allora, ad
affrontare la nuova avventura con un’IDEA PRECISA DI POLITICA e uno STILE
POLITICO.
L’idea era quella di intendere la politica non come “luogo in cui si decide ciò che accade”
(Robert Musil), perché ciò che accade non è di per sé buono e tranquillizzante,
ma di considerarla capace di sentire le inquietudini dei cittadini e di indicare
un percorso per entrare nel futuro.
Lo stile – vista anche la sproporzione tra le mie forze e la rilevanza
delle cose da cambiare – voleva somigliare a quello del cancelliere del Regno
d’Inghilterra Tommaso Moro che chiedeva a Dio “la forza di cambiare quel che si può cambiare, la forza di accettare
quel che non si può cambiare, l’intelligenza di capire la differenza”.
I rilevantissimi problemi
che erano sul tappeto richiedevano alcune SCELTE DI FONDO radicali, senza le
quali avrei potuto mettere le mani solo nei capelli.
Queste
furono: la mia dedizione totale all’ente Provincia; la difesa
della Provincia da ogni ingerenza esterna; il rifiuto di qualsiasi compromesso
al ribasso; l’impegno a compiere scelte nell’unico interesse dei cittadini; la
scelta di impegnarmi per azioni che fossero concrete e tangibili e non astratte
e fumose, specie sul fronte dell’occupazione; la volontà di fare della
Provincia una casa di vetro, visibile agli occhi di tutti e da tutte le
prospettive.
Confesso di aver preso questi
impegni, che per me erano morali, solennemente e in ginocchio.
Ero cosciente che li avrei
pagati, ma della mia carriera politica non mi interessava un fico secco.
Certo, non dovevo diventare un uomo solo al comando e,
fortunatamente, di persone serie e preparate la compagine provinciale era
ricca. Dovevo, però, fare al meglio il Presidente
della provincia eletto direttamente dal popolo. Oddio…mi sentivo forse unto dal Signore?
Tutte queste seriosità,
furono rese per un attimo più lievi da una
simpatica intervista che mi fece Anna Rosa Pacini su L’Alcione del 15 giugno
1995, intitolata Un presidente come il
prezzemolo. A tu per tu con Stefano Gentili: l’amore per la moglie e i
figli e la grande fede.
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