Chi fecero sostenere e chi votarono Babini, Scola, Bassetti. E Comastri cosa pensava?
La dimostrazione che ci
furono lamentele da parte di alcuni in ambito ecclesiale per il presunto
appoggio che mi avrebbero dato il vescovo e alcune strutture della mia diocesi,
fu palesata dal fatto che Mons. Giacomo
Babini (allora ordinario di Pitigliano-Sovana-Orbetello) sentì la necessità
di intervenire sulle pagine del settimanale Confronto.
Sapevo
perfettamente che nulla di tutto questo era avvenuto e, infatti, il vescovo
esordì affermando “di aver mantenuto
sull’argomento un assoluto riserbo” e difendendo “l’utilizzo del settimanale che ha ospitato le varie prese di posizione
che avevano l’autorità di chi le firmava”. Leggendo con attenzione
quell’articolo emerge inoltre come la visione culturale di Mons. Babini fosse
ancora legata all’idea che l’impegno cristiano in politica avrebbe avuto
maggior valore se si fosse manifestato senza contaminazioni con la destra o la
sinistra. E invitava le comunità cattoliche a “non dare deleghe di alcun tipo”, ma a “continuare il lavoro di sempre”, tanto più in quel frangente in
cui “gli sviluppi e gli interessi
politici hanno condotto ad uno stadio nuovo molti cristiani, per cui lo spirito
di partito è diventato più forte di ogni altro tipo di associazione e le
relazioni tra le comunità sono ora determinate dal loro orientamento politico”.
Mons. Babini nutriva affetto
nei miei confronti, ma la sua impostazione culturale non lo avrebbe mai potuto
portare a sostenere la mia candidatura, anche in modo riservato. Quanto al
voto, dipende se prese il sopravvento la testa o il cuore e, soprattutto, se
andò a votare.
Come, poi, la pensasse
l’allora vescovo di Grosseto, Mons.
Angelo Scola, era di tutta evidenza. Egli era stato e continuava ad essere
(con modalità più riservate) uno dei principali leader ideologico-teologici di
Comunione e Liberazione e anche in quell’occasione rimase fedele all’impronta
originaria. Mai e poi mai avrebbe sostenuto un cattolico alleato con la
sinistra. Non so se fece nulla per il cattolico alleato con la destra. Certo,
alcuni che si richiamavano più fedelmente a lui, erano organizzativamente
schierati con Tamburro. Ma il vescovo è il vescovo e, presumo, che anche lui
sia rimasto in riserbo.
Il
suo pensiero, però, lo espresse nella tradizionale omelia per i santi Pietro e
Paolo, nella Chiesa di San Pietro al Corso di Grosseto, il 29 giugno 1995
(quindi di poco successiva alle elezioni), ed ebbe anche eco, con una prosa
diversificata, su La Nazione del 20 luglio sotto il titolo: Cattolici smarriti tra destra e sinistra.
Ovviamente il suo sguardo era rivolto prevalentemente allo scenario nazionale,
ma sono convinto che un po’ si riferisse anche alle nostre questioni locali
quando diceva “I cattolici in Italia?
Qualcuno sostiene che, quanto alla politica, mai siano stati così visibili e
influenti come ora. Ciascuno degli schieramenti in campo usa volentieri come
gonfaloniere un cattolico, visto come figura moderata e perbene. Dunque, di che
lamentarsi? I cattolici sono più che mai visibili, blanditi da tutti, e hanno
persino troppi cuscini dove posare il capo. Tutto bene allora? Sono portato a
dubitarne”. Perché ne dubitava il vescovo? “Perché nella rincorsa a valorizzare i cattolici in questa o quella
formazione politica, accade che venga perduto qualcosa di essenziale”.
Infatti, “il cristianesimo si pretende
come evento e non come sentimento religioso” e “in tutto questo rigirarsi tra destra, sinistra e centro, accade sia
ridotto alla promozione di alcuni valori morali. La verità è sostituita dai
valori”.
Temeva,
il vescovo, che l’evento di Gesù Cristo morto e risorto fosse ridotto a poca
cosa, “ad uno spunto di motivazione
privata, a un pretesto per l’impegno”. Mentre i contenuti di quell’impegno
venivano “determinati da concezioni del
mondo estranee o addirittura in contrasto con l’evento cristiano”. Egli era
rattristato da quel processo (perdurante da anni, palesatosi allora in modo più
evidente) che aveva condotto il cristianesimo “a non essere più sorgente di un’esperienza, di una cultura, di un
metodo di presenza nella società”. Ma che rischiava di “offrire solo un supporto esterno ad altri progetti di vita”.
Passava quindi a criticare
le due impostazioni culturali che si stavano contendendo il primato nel nostro
Paese. Quella del “pensiero utopico non
conclamato” (e ce l’aveva con gli ex-marxisti e i loro cugini) e quella
della “ideologia pragmatica” (e qui
se la prendeva con i neoliberisti e i loro affini). E criticava noi cattolici
che ci eravamo immersi in quei mondi senza la “preoccupazione di mostrare la rilevanza sociale della fede”. “Se ci fosse stata avremmo potuto godere di
una qualche testimonianza in più di tensione all’unità, perché l’unità, anche
in politica, perché no, resta un segno forte per il mondo”.
Insomma, al di là della
lucida impostazione, molto ciellina, della traduzione quasi senza mediazioni
della fede nel sociale e nella politica, Mons. Scola giungeva al solito punto
di Mons. Babini: anche lui era un nostalgico dell’unità politico-partitica dei
cattolici.
E,
pertanto, se mai fossi entrato nei suoi pensieri, non avrebbe certo potuto
vedere di buon occhio la mia alleanza con il fronte del “pensiero utopico” che prometteva “la realizzazione di una società politica perfetta nella storia, come
condizione definitiva e irreversibile, a patto di un necessario sacrificio
della libertà”, “vedeva come fattore
di disturbo il libero aggregarsi di persone unite da una stessa visione delle
cose” e puntava a svolgere “un’azione
culturale e sociale intesa come realizzazione di una egemonia su tutta la
società da parte di una forza politica che di fatto si concepisce e si propone
come un’avanguardia” (stralci dell’Omelia tenuta il 29 giugno 1995 nella
Chiesa di San Pietro al Corso di Grosseto).
Confesso come quelle
riflessioni, per alcuni aspetti (e non certo per la centralità dell’evento Gesù
Cristo), le sentii un po’ arretrate e trovarono poco spazio nei miei pensieri,
ormai già occupati da strade, ponti, lavoro, ambiente, formazione
professionale, agricoltura, caccia e altro ancora; cioè, da persone in carne e
ossa.
Il vescovo Mons. Gualtiero Bassetti non lo
conoscevo. Aveva sostituito il vescovo Angelo Comastri a Massa
Marittima-Piombino nel settembre del 1994. In seguito ebbi modo di conoscerlo
ed apprezzarlo. Egli mi inviò un telegramma nel quale esprimeva i suoi “più fervidi voti augurali per l’adempimento
della sua alta missione” e assicurava “preghiere
perché il suo impegno inteso come servizio alla nostra gente possa essere
pieno, generoso e fecondo”. Tutto qui. Nessun appoggio, nessuna
sollecitazione in favore della mia candidatura.
Desidero,
peraltro, cogliere l’occasione di far presenti le parole di Mons. Angelo Comastri inviatemi a fine
’92, in risposta ad una mia richiesta di sua opinione circa un documento
socio-politico che ebbi modo d’inviargli, perché fornivano una serie di
consigli assai interessanti. “1. Non
usate la Chiesa (compresi i Vescovi) per produrre consensi politici: la Chiesa
vi dà un’anima per il vostro impegno in politica, ma non deve mai diventare uno
strumento per la politica”. “2.
Vivete una sana responsabilità laicale nella vita sociale e politica puntando
sulla validità della proposta e sulla credibilità delle persone per produrre
consenso”. “3. Riattiviamo, almeno a
livello provinciale, strumenti per la formazione cristiana dei politici e di
tutti coloro che operano nel sociale, affinché sia davvero conosciuta la
dottrina sociale della Chiesa”. “4. Agite in fretta, perché l’accelerazione
del processo di disgregazione non vi darà la possibilità di discutere a lungo”.
Concludeva assicurando la sua preghiera affidandoci “alla Madonna, silenziosa ed efficace collaboratrice di Dio”.
Mi riconobbi pienamente in
quei consigli e cercai, anche in seguito, di rimanervi fedele. Motivo per cui,
ad esempio, anche solo pensare di strumentalizzare la Chiesa per trarne
vantaggi personali, anche di carattere politico, mi faceva ribrezzo.
Insomma, l’accusa rivolta ad alcuni sacerdoti,
organizzazioni cattoliche e, in filigrana, anche ai vescovi, di avere in
qualche modo favorito o sostenuto la mia candidatura alle elezioni provinciali,
era destituita di ogni fondamento. Era
una vera e propria bufala. Ma contribuì ad agitare le acque.
E aggiunse preoccupazione a preoccupazioni.
Nessun commento:
Posta un commento