Nel giro di un paio d’anni lo definimmo. Era fatto di sogno e concretezza, linee di sviluppo e assi strategici, azioni programmatorie e soldi
Ancora oggi, quando penso al
lavoro che mettemmo in piedi, mi viene da dire che tramammo un ordito. Non ordimmo una trama, come normalmente si
dice, ma tramammo un ordito, nel senso che tentammo di intrecciare i fili della
trama con quelli dell’ordito, tesi da un lato all’altro del telaio. In modo da
formare un tessuto di differenti
colori e materiali, come il broccato e il piqué, ma anche striscioline di
stoffa, fibre di rafia, stoppini di feltro. Fuor di metafora, l’obiettivo che
volevamo raggiungere era quello di organizzare l’intera provincia come una vera
e propria Città-distretto. La
definizione la includemmo per la prima volta, con la Grosseto-Sviluppo, nel
documento di presentazione del Patto Territoriale. Ma io e pochi altri
l’avevamo abbozzata sin dal 1996. In quell’anno, con la Conferenza provinciale
Agricola ’96 da noi chiamata: La terra
promessa, la declinammo anche in altro modo: Distretto Rurale, per poi giungere alla proposta della Maremma, Distretto rurale d’Europa.
① Sognando un po’, pensavo il
territorio provinciale simile a quello che oggi viene detto Smart Land, cioè, un ambito territoriale intelligente e brillante nel quale,
attraverso politiche diffuse e condivise, si aumentava la competitività e
l’attrattività del territorio, con una attenzione particolare alla diffusione
della conoscenza, alla crescita creativa, all’accessibilità e alla libertà di
movimento, alla fruibilità dell’ambiente (naturale, storico-architettonico,
urbano e diffuso) e alla qualità del paesaggio e della vita dei cittadini. Dal
punto di vista più strettamente economico, ad una piattaforma produttiva di area vasta da sostenere anche
attraverso la realizzazione di politiche attive del lavoro, di sostegno allo
sviluppo, di marketing territoriale e turistico, in rapporto con l’Europa e con
le altre istituzioni.
L’idea del Distretto rurale
piacque molto anche a Giuseppe De Rita, intervenuto a Grosseto nella Sala
congressi del Centro Militare Veterinario il 14 maggio 1999, invitato da noi e
da Ecovast alla Conferenza europea sullo sviluppo rurale. “Io parteggio per il Distretto rurale d’Europa in Maremma” esordì
il presidente del Cnel, precisando che il distretto rurale poteva essere
vincente come erano stati vincenti tanti distretti industriali. Tenendo
presenti le differenze. Mentre il distretto industriale aveva sempre avuto un
significato più forte nelle aree a monocoltura territoriale, l’approccio con il
distretto rurale non poteva essere mono-settoriale. Continuava l’illustre
ospite: “Occorre saper stare su una
pluralità di filiere produttive”. Infatti si costruisce su “un’area connotata ruralmente che è capace
di tenere dentro il turismo, l’industria e i campi da golf previsti nel Patto
territoriale”. Creare un distretto “significa
favorire l’intrecciarsi di piccole e medie imprese che, insieme, costituiscono
una sorta di multinazionale territoriale. Ma mentre in un distretto industriale
il sistema delle relazioni è agevolato dalla vicinanza dei soggetti, in un
distretto rurale occorre adoperarsi per favorire la concertazione”. Un
distretto “non nasce perché il soggetto
pubblico lo vuole, ma scaturisce dal protagonismo collettivo; è l’insieme delle
volontà di centinaia di persone, il loro intreccio. Insomma, è frutto della
banale, quotidiana, coesione sociale. Il
soggetto pubblico può certo favorire la concertazione, la concentrazione degli
interessi” (Il Tirreno, 15.05.1999). Insomma, era una rivoluzione che non
richiedeva solo soldi, ma visioni comuni. Ed era una nuova cultura di governo
che prendeva atto della realtà e voleva unire le potenzialità, le risorse, gli
strumenti, le idee, le volontà delle diverse comunità senza semplicemente
limitarsi a sommarle, ma creando reti e
sistemi in grado di sviluppare con progressione geometrica la loro forza ed
efficacia.
Per una certosina precisione
voglio ricordare che i due termini partivano dalla stessa idea di
organizzazione sistemica dell’intero territorio provinciale, valorizzandone
tutte le potenzialità. Mentre, però, il Distretto
rurale vedeva il legame primo nella ruralità,
la Città-distretto la vedeva nel
binomio ambiente-turismi. Al nostro
interno e nella Grosseto sviluppo vi era chi parteggiava per l’una o l’altra
ipotesi.
Io ero più sulla linea del
distretto rurale, sia per la prosa, perché – dietro la sapiente regia del
professor Pacciani – esso andava assumendo una fisionomia sempre più precisa e
lasciava intravedere le migliori opportunità, unendo identità e politiche
comunitarie presenti e future, stili di vita sempre più richiesti e carattere
complessivo del nostro territorio, potendo raggiungere il risultato massimo a
cui tendevamo: migliorare la qualità dell’ambiente e della vita, produrre
reddito, sostenere e incrementare l’occupazione.
Come
per la poesia, perché – per dirla con Ildebrando Imberciadori nello scritto
agli “amici della mia provincia” del
10 agosto 1962 – : “(…) E su nelle
colline poggiose di Scansano e di Pitigliano e di Sorano o nelle valli della
montagna, boschi secolari di querci e di cerri, dicioccati e scassati dalla
fatica eroica dei campagnoli, si trasfigurarono lentamente in fiorenti vigneti
e oliveti. Poi, è giunta l’età nostra, con i suoi capitali e le sue braccia,
con le sue macchine e col suo respiro grandioso, e noi cominciamo ad accorgerci
di quanto sia anche bella la nostra provincia: bello il paesaggio agrario,
creato dall’opera dell’uomo come bello il paesaggio creato dalla natura.
Guardare la nostra terra dall’apparita di Montemassi o di Fercole è una
rivelazione. Osservare dal crinale del Monte Labbro tutta la nostra provincia:
voltarsi a riposare l’occhio sul gran verde del Monte Amiata; e poi scendere
attraverso i poggi e le colline dalle stoppi d’oro sino alla riva del nostro
mare per accorgerci che dal suo azzurro vivo sale la luce che brilla sul faggio
e sul castagno, sulla vite e sull’olivo e sul campo seminato, è cosa che
incanta ed esalta insieme (…)”.
② Comunque sia,
personalmente PENSAVO AD UNA COSA DEL
GENERE: – alla cartina
geografica del territorio provinciale con tutte le sue emergenze territoriali
naturali, – sopra cui sovrapporre un’altra cartina trasparente delle tipicità
storiche e culturali,– sopra la quale appoggiare un’altra cartina trasparente
delle infrastrutture presenti e di quelle da aggiungere (nella logica del tutte
quelle necessarie, solo quelle necessarie), – sopra la quale mettere la cartina
trasparente delle attività economiche presenti e prevedibili sulla linea delle
filiere vocazionali tipiche (agroalimentare di qualità, industrie ambientali,
turismi selettivi, sistema cavallo, prodotti manifatturieri, artigianato
evoluto), – sopra la quale collocare la cartina trasparente dei luoghi e delle
azioni di coesione sociale (salute, scuola, comunicazione e informazione,
ecc.).
Proviamo ora ad inserire
nella cartina multistrato indicata in precedenza alcune delle azioni poste in
essere dalla nostra Provincia.
• Gli oltre 150 INTERVENTI
STRATEGICI PREVISTI E CONTENUTI NEL PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO, dalle
infrastrutture stradali all’università, elencati dettagliatamente nel post 86
(Il PTC: governare il territorio perché la vita viva e l’uomo viva).
• I 79 PROGETTI CONTENUTI
NEL PATTO TERRITORIALE (58 privati e 21 di enti pubblici) dotati di risorse
definite (100 miliardi di lire dal Patto, 431 tra privati ed enti) e con
previsioni occupazionali delineate progetto per progetto (per un totale di 824
tra i privati, 203 tra i pubblici, 360 stagionali privati, 1000 prevedibili in
fase di cantiere e circa 500 nell’indotto) con la fattibilità urbanistica
garantita dalle norme speciali previste dal Patto.
• Le INFRASTRUTTURE tipiche
legate al Parco degli Etruschi e al Parco Minerario a servizio della filiera
Turismi-Beni Culturali; alla Rete delle Aree protette e della Sentieristica a
servizio della filiera Turismo-Ambiente; al Sistema delle Ippovie a servizio
della filiera cavallo; alle Strade del vino, dell’olio, della carne, le vie
della castagna a servizio dello sviluppo rurale. Come pure delle infrastrutture
innovative legate alle autostrade telematiche, in sintonia con la Regione
Toscana e l’Università di Siena.
• Le ATTIVITÀ E LE AZIONI
CONTENUTE NEI TRE ASSI RURALI STRATEGICI di intervento per dare vita ad un
sistema territoriale di qualità: consolidamento delle filiere e delle
infrastrutture pubbliche, rafforzamento della Qualità, fare della
Maremma un Sistema. Accennando solo al primo asse (per non farla troppo
lunga) ricordo la spinta a consolidare le strutture delle imprese nelle
filiere, puntando su investimenti innovativi in grado di rafforzare le capacità
competitive delle imprese rispetto alla qualità dei processi, dei prodotti e
dell’ambiente. Aggiungo le azioni volte ad accrescere le capacità
concorrenziali del sistema, puntando innanzitutto al superamento del deficit
delle infrastrutture rurali con particolare riferimento alla viabilità, al sistema
degli acquedotti, ai sistemi di captazione delle acque, di irrigazione e di
bonifica, favorendo un’armonizzazione delle stesse con l’ambiente; erano
interventi di base ma volti a far raggiungere al sistema locale rurale la
capacità di competere ad armi pari sul mercato, rimovendo i vincoli allo
sviluppo.
•Le AZIONI SULLE FILIERE
RURALI DI PARTICOLARE RILEVANZA per il territorio provinciale o comunque
caratterizzate da problematiche particolari: la filiera vitivinicola,
olivicola, zootecnica, della pesca e cerealicola, nonché il comparto del
biologico. Anche in questo caso, accennando solo ad una filiera, quella
vitivinicola, rammento come sostenemmo la sua forte dinamicità di metà anni
’90 (dopo la dura crisi del periodo precedente) con il Piano vitivinicolo
provinciale. Vi fu un rilevante sforzo di qualificazione delle produzioni che
trovò un importante supporto nell’approvazione di nuove denominazioni di
origine (Sovana, Capalbio e Montecucco, che si aggiungevano alle cinque DOC
storiche della provincia di Grosseto: Bianco di Pitigliano, Morellino di
Scansano, Monteregio di Massa Marittima, Parrina, Ansonica Costa
dell’Argentario). Come pure di grande importanza fu la parallela crescita degli
investimenti di nuove superfici vitate, specialmente nelle aree collinari ed
interne, in parte destinate a riassorbire la perdita fisiologica degli impianti
esistenti registratasi negli anni della crisi e in parte a consolidare le nuove
denominazioni di origine. La costituzione di due nuovi Consorzi di tutela che si
affiancarono ai due Consorzi già esistenti rappresentò un altro importante
passaggio per una migliore valorizzazione delle produzioni. In particolare la
costituzione di un consorzio unico tra le cinque DOC pose i presupposti per una
gestione economicamente valida, e favorì la elaborazione di programmi di più
ampio respiro, pur nel rispetto delle singole specificità.
• Gli oltre 150 PRODOTTI
INCLUSI NELL’ELENCO DEI PRODOTTI TRADIZIONALI DELLA MAREMMA (poi inseriti
nell’apposito Elenco regionale) predisposto dalla nostra Provincia, in
collaborazione con l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione in
Agricoltura e con le Organizzazioni professionali agricole, mediante una
accurata e capillare ricerca sul territorio. In particolare furono svolte
azioni di tutela e valorizzazione su specie quali il Miccio Amiatino, la
Vacca, il Cavallo, il Cinghiale, il Pastore e il Segugio della Maremma, sulle
cultivar (tipi genetici strettamente associati ad un’area geografica) di
olivo Olivastra Seggianese e Scarlinese, sui vitigni Ansonica e Vermentino, sul
Riso della Maremma, sul Carciofo di Pian di Rocca e sul Fagiolo di Sorano. Tali
elementi rappresentavano un potenziale per la valorizzazione futura del
territorio stesso integrandosi perfettamente con le risorse ambientali della
Maremma (parchi, oasi naturali, ecc.). In questa direzione la collaborazione
tra Provincia e Slow Food portò alla realizzazione dei Presidi della
Vacca maremmana, della Bottarga di Orbetello, dei prodotti goym (tra cui lo sfratto di Pitigliano) e
della Palamita delle coste del Giglio e dell’Argentario.
Il Censimento dei prodotti tradizionali pose le basi per selezionare un paniere dei prodotti della Maremma di particolare specificità e legame con il territorio e con il sistema economico locale, suscettibili a diventare oggetto di valorizzazione commerciale per le caratteristiche proprie e del sistema di imprese che li realizzava.
③ Mi fermo, perché il brodo
si è allungato e tralascio altre azioni che dovrei includere. L’importante è
avere in mente oggi quello che noi avevamo in mente allora: la matrice. Fatta di sogno e concretezza, linee di sviluppo e
assi strategici, azioni programmatorie e soldi. Certo, alcune di quelle
azioni noi le programmavamo e altri avrebbero dovute realizzarle (comuni,
imprenditori), altre le realizzavamo in proprio, altre sarebbero state
consequenziali, per altre ancora avevamo bisogno di convincere interlocutori
regionali e nazionali. C’era quindi bisogno di lavorare insieme, continuare a
farlo affinando gli strumenti e la volontà reciproca, rifuggire da ogni risacca
individualistica. E poi, ammesso che la strada fosse giusta, per avere
risultati in termini di PIL, occupazione e qualità della vita ci volevano anni
(10, forse 15) e tanta coerenza.
Io, insomma, ho la convinzione che durante la nostra legislatura riuscimmo a elaborare organicamente e a dare le gambe al tanto declamato DIVERSO MODELLO DI SVILUPPO DELLA MAREMMA. Era composto di soldi, azioni, strategie, matrice di fondo. E di sogno. Sì, di sogno, perché io la penso come Ivano Fossati (C’è tempo): “Dicono che c’è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare. Io dico che c’era un tempo sognato che bisognava sognare”.
Agricola '96 - L'assessore provinciale Pacciani con Periccioli e Ginanneschi |
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