Perché scelsi due dirigenti esterni. Su quali dirigenti potei effettivamente contare. Un piccolo segreto. Perché nominai due volte i nuovi assessori Moreno Canuti e Daniele Morandi. Come mi trovai nella città delle donne. Mariella Gennai, la donna emergente.
Continuo sulla linea delle
curiosità.
• Perché scelsi DUE DIRIGENTI ESTERNI
all’amministrazione?
Giunto in Provincia, trovai
una pletora di dirigenti (mi sembra una ventina) e una proposta di
riorganizzazione del personale che prevedeva appunto 20 posizioni apicali
dirigenziali. Una tragedia. Erano troppi e perlopiù figli della prima
repubblica: tot comunisti, tot socialisti (che facevano la parte del leone),
tot democristiani (pochini) e tot ai partiti minori. Tra di loro c’erano molte
persone veramente in gamba, mentre altri avevano raggiunto il vertice per
grazia ricevuta. Io provai a prendere il massimo da parte di tutti, senza
pregiudizialmente escludere nessuno. Una parte, fortunatamente, era andata in
pensione poco prima del mio avvento e un’altra ci sarebbe andata pochi mesi
dopo. I problemi di fondo erano prevalentemente due: un eccesso di mentalità
proceduralistica e una scarsa abitudine/attitudine a dirigere strutture
complesse.
La mentalità
proceduralistica si poteva tradurre così: l’importante era seguire a puntino la
procedura burocratica, curandosi il minimo o per nulla del risultato finale.
L’opposto di quello che volevamo noi amministratori: a noi interessava il
risultato, raggiunto con efficacia ed efficienza. E naturalmente nel rispetto
della norma e della procedura, ma senza tante arzigogolature.
La scarsa
abitudine/attitudine a dirigere le strutture e il personale della Provincia era
semplicemente un dato di fatto, che andava migliorato con l’applicazione e
l’esperienza. Essere competente nella materia del proprio settore non implicava
la capacità direzionale. E far capire questa evidente verità fu impresa non
sempre facile.
Vi erano poi due grandi
fronti che, a mio parere, dovevano essere coperti da personale esterno, perché
non presente in amministrazione.
Uno che – dopo la
riorganizzazione dell’ente fatta grazie al consulente esterno Giovanni Valotti
della Bocconi di Milano – chiamammo Modernizzazione
e riqualificazione, proprio per promuovere l’adeguamento
dell’organizzazione e dei sistemi di gestione della Provincia, garantire lo
sviluppo di nuove funzioni qualificanti il suo ruolo. Si organizzò, il 7
febbraio 1997, una selezione che offriva un inquadramento dirigenziale mediante
sottoscrizione di un contratto di diritto privato di durata biennale. Nel giro
di tre mesi scegliemmo il dottor Pierluigi
Mastrogiuseppe, che ci aiutò ad elaborare il Piano Esecutivo di Gestione
(PEG), a legare la retribuzione dei dirigenti e dei dipendenti ai risultati
raggiunti, a riorganizzare la parte informatica. Lo snodo fondamentale fu il
PEG che per sua natura rappresentava per gli enti locali (e quindi per noi) lo
strumento di raccordo tra le funzioni politiche di indirizzo e controllo degli
organi di governo e le funzioni di gestione proprie dei dirigenti e dei
rappresentanti dei servizi. In esso si realizzava la traduzione operativa
dell’intero impianto pianificatorio della Provincia, consistente
nell’elaborazione di progetti per obiettivi e di strumenti di analisi, monitoraggio
e misurazione. Fu un salto di qualità straordinario.
L’altro fronte riguardava la
Formazione professionale che andava
completamente rivoluzionata. Era un corsificio, tutto gestito all’interno.
Anche in questo caso si
avviò una selezione e giungemmo alla individuazione del professor Carlo Odoardi che aveva competenze sui
sistemi formativi unitamente a quella psicologica che, a nostro parere, sarebbe
stata utilissima per rimotivare l’intero fronte della Formazione,
dell’Orientamento e delle Politiche del Lavoro. Che l’acquisto di Odoardi
avesse funzionato ce lo dimostrò il programma della formazione professionale
del 1998: tutto il piano fu realizzato e i corsi terminarono tutti entro la
fine dell’anno. Fu l’unico caso in tutta la Toscana e ci permise di far partire
subito il piano del 1999.
Le procedure di selezione
che scegliemmo per individuare le figure dirigenziali che ci servivano furono
diverse dai tradizionali concorsi, che avrebbero richiesto anni prima di essere
portati a compimento. La cosa non piacque ad alcuni dipendenti interni che,
supportati da qualche sindacato, denunciarono uno dei due casi all’autorità
giudiziaria, con gli strascichi che ne seguirono.
• Su QUALI DIRIGENTI POTEI
EFFETTIVAMENTE CONTARE per portare avanti con decisione ed efficacia il nostro
programma di governo?
Oltre alle due figure
esterne ricordate, i pilastri che sostennero con determinazione, credo anche
entusiasmo (e qualche arrabbiatura), la nostra azione furono Milvio Parentini,
Pietro Pettini, Massimo Luschi, Laura Pippi, poi, in seguito, anche Fabio
Fabbri. Non dimentico neppure altri dirigenti che svolsero i loro compiti con
dedizione e competenza (Gherghi, Brandi, Martorini, ecc.), ma con finalità più
interne. Come debbo rammentare la saggezza e il fiuto politico-amministrativo
del segretario Giovanni Battista Biserni, che ci servì molto finché rimase con
noi.
Quest’ultimo riferimento mi
offre l’opportunità di ricordare UN
PICCOLO SEGRETO.
Quando ci lasciò Biserni,
per raggiunti limiti d’età, dovevo individuare un’altra figura di segretario e
per primo domandai la disponibilità a Giovanni Tamburro.
Sì, proprio lui, quel
Tamburro che era stato il mio sfidante nelle elezioni e che in consiglio,
finché rimase (27 febbraio 1996), mi riempì di bordate. Credo fosse il 1998
avanzato e durante un incontro presso l’Assindustria di Grosseto, gli chiesi un
veloce colloquio privato. Gli domandai, appunto, se voleva assumersi l’impegno
di Direttore Generale della Provincia. Rimase molto sorpreso, mi ringraziò e mi
disse che si sentiva più a suo agio nel ruolo di direttore degli industriali.
Dopo tutto era il suo vero mondo. Non so se l’ha mai detto a nessuno. A
distanza di tanti anni da quella richiesta che, se accettata, mi avrebbe creato
problemi politici (ma non me ne importava nulla), desidero ricordarla per dire,
ancora oggi, la mia stima per un uomo che ha lasciato il segno della sua
passione e competenza nella nostra terra.
• Perché NOMINAI DUE VOLTE I
NUOVI ASSESSORI Canuti e Morandi?
Era
trascorso un anno e mezzo di lavoro e le cose messe in cantiere erano tante. I
4 assessori della prima ora, nonostante la loro forte tempra, erano veramente
messi a dura prova. Ed io con loro. Ecco perché quando, il 6 ottobre 1996, il
decreto legge 56 permise anche alla nostra Provincia di portare il numero degli
assessori da 4 a 6, presi la palla al balzo e l’8 novembre comunicai al
consiglio provinciale l’intenzione di nominare, la settimana successiva, due
nuovi assessori e di revisionare le deleghe, spalmandole meglio su 6 persone.
Purtroppo il decreto decadde, per mancata conversione, il 4 dicembre dello
stesso anno e le nomine decaddero. La situazione fu sanata in modo impreciso
nella legge finanziaria e rimediata nel decreto di fine anno e, quelle
precisazioni normative, mi consentirono di firmare un nuovo decreto che
confermava le nomine.
Con Moreno e Daniele inserii
due belle e competenti persone nella giunta e potei riorganizzare gli impegni
in modo più funzionale. A Moreno Canuti
(PDS), ex-sindaco di Cinigiano, affidai le politiche sociali e il raccordo con
il volontariato, la cooperazione internazionale, le attività culturali, la
scuola, lo sport e lo spettacolo. A Daniele
Morandi (SI), che proveniva dalla presidenza dell’Acquedotto del Fiora,
delegai le azioni a difesa del territorio, la bonifica, la protezione civile.
Questa operazione mi permise
di sgravare Giampiero Sammuri di quello che prese Morandi e di orientare
Mariella Gennai sulla Promozione economica (che era divenuta la sua vera
passione), togliendola ad Alessandro Pacciani, per dedicarlo totalmente allo
Sviluppo rurale. Si faccia attenzione, non all’Agricoltura vecchio stile, ma
alla Sviluppo rurale inteso sulla
linea di quanto definito nel corso della conferenza provinciale effettuata i
primi di novembre.
• Come mi trovai nella CITTÀ
DELLE DONNE?
Quando divenni Presidente
della Provincia, Grosseto era stata battezzata da un articolo del Corriere
della Sera (17 luglio 1993), “la città
delle donne” e ogni tanto le cronache locali ritornavano su questo refrain.
C’era la signora Prefetto (Anna Maria D’Ascenzo), la signora Questore (Maria
Alessandra Barbantini), la signora Presidente della Camera di commercio (Franca
Spinola), la signora vicesindaco (Annamaria Spada). Ero contento, ma anche un
po’ intimorito. Ero il più piccolo di tutti e alcune di quelle donne avevano
una storia di rilievo.
Con la vicesindaca Annamaria
Spada ebbi pochi rapporti, perché quelli che dovevo avere li intrattenevo col
sindaco Valentini. Con la contessa Franca Spinola in Malfatti furono abbastanza
fugaci, perché poco dopo la mia elezione ci fu il cambio della guardia alla
camera di commercio, non ricordo se per scadenza naturale del mandato o per sue
dimissioni. Nei pochi colloqui che ebbi con lei ne trassi l’impressione di una
persona grintosa e determinata, le espressi la mia volontà di collaborazione a
tutti i livelli, dicendole anche che della presidenza della Grosseto sviluppo
(che piaceva tanto al mio predecessore Ciani) non me ne interessava proprio
nulla. Mi interessava che funzionasse e basta.
Con la dottoressa Anna Maria
D’Ascenzo (in quanto Prefetto, autorità provinciale politica di pubblica
sicurezza) il rapporto fu costante e leale. Certo, lei era una presenzialista e
in qualche caso un po’ populista, ma i nostri rapporti filarono lisci.
Con la dottoressa Maria
Alessandra Barbantini (Questore e, quindi, autorità provinciale tecnica di
pubblica sicurezza) i dialoghi furono più sporadici e prevalentemente legati al
Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica o ad alcune
commemorazioni. Ma è di lei che ho il ricordo più bello, e non perché ci lasciò
troppo prematuramente, ma perché trasmetteva serenità, dolcezza e grande
umanità. Nominata questore di Grosseto nel 1993, in una successiva intervista
aveva detto: “Ormai sono grossetana
anch’io, almeno tale mi sento e mi piacerebbe riuscire a dare di questa zona, a
tutti gli abitanti della città e della provincia, un’immagine di comunità
moderna, dove si può ancora vivere con serenità e si può ancora riuscire a
crescere socialmente e culturalmente, con uno sviluppo economico portato avanti
con equilibrio e senso di responsabilità”. Spesso si incontrava con i
giovani delle scuole, motivo per cui gli fu anche dedicata la scuola materna di
via Adamello.
•MARIELLA GENNAI, LA DONNA
EMERGENTE.
Delle 4 donne che trovai
all’inizio della legislatura (maggio 1995) alla fine (giugno 1999) non era
rimasta nessuna. La signora Spada non era più vicesindaco, perché Alessandro Antichi
aveva sbaragliato Loriano Valentini. La signora Spinola non era più presidente
della camera di commercio. La signora Barbantini, purtroppo, era deceduta. La
signora Anna Maria D'Ascenzo non era più prefetto di Grosseto.
Ma
era emersa un’altra donna: Mariella Gennai. Aveva raggiunto
spessore politico provinciale e anche oltre, era entrata dentro i meccanismi
socio-economici e culturali della provincia, aveva relazioni diffuse sul
territorio ed era molto stimata.
Quando decisero di non
ripresentarmi, sarebbe stata Mariella la naturale candidata alla presidenza
della provincia. Era una scelta di eccellenza, ma non la fecero, anche se delle
sue competenze non poterono fare a meno. Mi era stata troppo vicina.
Ecco perché ai suoi funerali non mi piacquero quelli che
l’avevano impallinata e, in quell’occasione, la lodarono.
1996 - Stefano, Alessandro, Moreno, Renato, Mariella, Giampiero, Daniele |
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