La situazione era disastrosa. Insieme a Mariella Gennai, intraprendemmo la strada del cambiamento radicale. La lotta fu durissima, ma noi avevamo messo l’elmetto e a fine legislatura registrammo una vera e propria mutazione genetica
Quando mi trovai in mano la
famosa bicicletta provinciale indubbiamente le materie che mi erano più
congeniali per storia e cultura personale erano quelle legate alla formazione,
all’educazione e alla scuola.
Con Mariella Gennai
decidemmo di mettere subito a fuoco la questione della formazione professionale e della scuola. Naturalmente dovendo dimensionarci sulle nostre competenze,
molto estese sulla prima, meno sulla seconda.
• Ne discutemmo
approfonditamente, insieme ad altri collaboratori giungendo a tre convinzioni elementari, ma decisive.
La prima riguardava la consapevolezza che la più importante risorsa di
una comunità sono le persone (o come si usa dire, con espressione che non mi
entusiasma, il capitale umano).
La seconda era la percezione del superamento della vecchia
tripartizione della vita: la giovinezza legata alla formazione, la maturità
dedicata al lavoro e la vecchiaia riservata al riposo e al tempo libero.
La terza consisteva nella convinzione che per riposizionare il nostro
sistema produttivo e rilanciare l’economia era necessario vincere la sfida
dell’innovazione, e quindi la strada obbligata per arrivare a ciò era ancora
quella di investire sulle persone.
Dovevamo solamente fare
scelte conseguenti, investire seriamente in formazione, costruire percorsi
formativi di apprendimento “life long learning” (come si diceva), inventare
strumenti di ricerca dei bisogni formativi, spalancare le porte del fortino
provinciale.
Se penso all’avverbio usato
– solamente – mi viene di nuovo
l’orticaria.
• La situazione della formazione in
Provincia era disastrosa.
Le ragioni erano molteplici
(demotivazione e scontri tra il personale, nicchie che venivano salvaguardate,
ecc.), ma ravvisammo l’errore di fondo nella gestione diretta dei corsi, figlia
di quel tempo e di una mentalità statalista e ideologizzata propria della
classe politica che sino allora aveva governato. Molta gestione, con
connaturate clientele e in realtà poca vera e innovativa programmazione, che
invece andava fatta e fatta bene, partendo dalle reali necessità del
territorio, ascoltando interlocutori veri e possibilmente non politicizzati.
La lotta fu durissima ed è
comprensibile il perché.
Messaggi trasversali,
letteracce, ribellioni organizzate. Addirittura, visto che scegliemmo di
pescare il nuovo dirigente, che fu poi il docente universitario Carlo Odoardi,
al di fuori del personale dell’ente con una selezione rigorosa e innovativa
(tra 150 candidati, una trentina dei quali con curricula formidabili), diversa
dal solito inconcludente, lungo e forse pilotato concorso interno, a seguito di
una immotivata denuncia di qualche dipendente, fummo attenzionati dalla
procura.
• La lotta fu durissima, dicevo, ma noi
avevamo messo l’elmetto e quando feci un bilancio di legislatura mi resi conto
che avevamo prodotto una vera e propria mutazione genetica.
La gestione della Formazione
Professionale era passata dalla forma diretta per la quasi totalità dei corsi,
ad un prevalente spazio a quella autorizzata (cioè svolta all’interno delle
aziende) ed alla formazione convenzionata (affidata alla collaborazione delle
agenzie formative specializzate).
Nel 1996 il rapporto era 101
corsi in gestione diretta, 7 nelle altre due tipologie e circa 1000 allievi
coinvolti.
Nel 1999 fu di 15 corsi in
gestione diretta, 188 tra l’autorizzata (132) e la convenzionata (56) e la
previsione era che vi partecipassero oltre 3000 allievi.
Inoltre il sevizio
formazione della Provincia gestiva al 1999 relazioni esterne con 13 agenzie
formative e con oltre 30 aziende che facevano formazione al loro interno
attivando circa 600 operatori. Era di
fatto nata una rete di soggetti, fatta di scuole, imprese, associazioni di
categoria, università, enti locali, che direttamente o indirettamente si
facevano carico e contribuivano a garantire lo sviluppo di competenze
individuali e che avrebbero potuto sempre più e sempre meglio favorire
l’innovazione e lo sviluppo del sistema economico e di tutto il territorio.
Non tutto era oro,
naturalmente; anche all’esterno c’erano alcune vischiosità, qualche lentezza e
in certi casi cattive abitudini figlie di un antico legame col potere.
Ma il salto era fatto e la
Provincia, anche in questo caso, era uscita in campo aperto, fidandosi dei
soggetti diversi da se stessa e per ciò stesso riuscendo a promuovere una
formazione meno pensata dall’alto (poi non si sa da quali menti sopraffine) e,
abbandonando l’impegno nella gestione diretta, a riposizionarsi sul fronte della
programmazione, del controllo della qualità e della consulenza.
La
capacità di spesa dei finanziamenti che la Regione erogava ogni anno sul Fondo
Sociale Europeo era cresciuta esponenzialmente. Il programma di Formazione Professionale del 1998 fu totalmente
realizzato e i corsi tutti terminati entro la fine dell’anno. Fu l’unico caso
in tutta la Toscana.
L’esigenza di aderire sempre
meglio alle richieste del territorio al fine della programmazione ci spinse a
dotarci di un Sistema informatizzato
proprio per rilevare il fabbisogno formativo che, con la imminente nascita del
Centro per l’impiego, avrebbe dovuto anche incrociare domanda e offerta di
lavoro.
Progetti specifici
innovativi – come il Sulcis
(formazione a distanza insieme ad altre 4 regioni), il Laboratorio, che prevedeva l’istituzione permanente di formazione
imprenditoriale e una ricerca sul territorio di vocazioni imprenditoriali,
unitamente all’avvio della Formazione
Integrata Superiore, che partì con un corso
per tecnico dei processi agroalimentari e uno per tecnico ambientale esperto in bonifica – rappresentarono il
nostro desiderio di spingere la formazione a diventare linfa di nuovo tessuto
imprenditoriale.
Insomma, era proprio un’altra cosa rispetto a
quella ante-1996.
Non solo, impegnati come
eravamo nella questione morale, non declamata ma praticata, pubblicammo sin dal 1996 l’elenco delle
docenze effettuate con nomi e cognomi, residenza e compenso dei docenti,
fossero singoli o aggregati. Casa di vetro volevo che fosse la Provincia e
trasparenti dovevano essere tutti i nostri atti, anche perché se c’era qualcosa
che non andava, per errore o perché qualcuno aveva fatto il furbo, ci poteva
essere chi eccepiva, puntava il dito, eventualmente denunciava. Nessuno eccepì
nulla, almeno in mia presenza o in modo ufficiale.
Sono trascorsi tanti anni da
quei momenti e di acqua sotto i ponti ne è passata.
Non sono in condizione di
fare una obiettiva valutazione di quello che è avvenuto in seguito. Spero si
sia andati avanti, sburocratizzando, modificando quello che ancora non
funzionava alla luce dell’esperienza. Spero, soprattutto, si sia continuato a
fare della formazione professionale e continua e dell’educazione un luogo di
libertà, di sperimentazione, di apertura al nuovo, di crescita di nuove
professionalità. Per quegli straordinari
anni sono grato a molti, ma in particolare a Mariella Gennai e Carlo Odoardi.
Mentre
scrivo queste riflessioni, mi sovviene un proverbio cinese: “Se ci pensi un anno prima pianti riso. Se
ci pensi dieci anni prima pianti alberi. Se ci pensi cento anni prima educhi il
popolo”.
E mi commuovo.
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