mercoledì 29 dicembre 2021

POST 53 – LA VERA SFIDA: PASSARE DAL DECLINO ALLO SVILUPPO

C’erano ostacoli da superare e bisognava decidere insieme quello che volevamo. Il tour della giunta provinciale in 27 dei 28 comuni della provincia

Lo stato di salute della nostra economia provinciale e della Provincia per un po’ mi fecero pensare al detto di Cicerone, mala tempora currunt. E mi venne un doloroso cerchio alla testa.

Ma non potevo entrare in depressione proprio all’inizio. L’adrenalina salì a mille e fortissimo dentro di me e i miei collaboratori nacque il desiderio di contribuire all’inversione di tendenza: dal declino ad un nuovo sviluppo.

Ma c’erano alcuni “ma”.

• Il primo “ma” era che questa ESIGENZA DI OPPORSI AI PROCESSI DI CRISI ECONOMICA E DI EMARGINAZIONE SOCIALE EMERGESSE IN TUTTI I GRUPPI DIRIGENTI LOCALI, noi compresi: istituzioni, associazioni di categoria, imprenditori, operatori economici, aggregazioni consortili di scopo, sindacati. Mancava, infatti, una cultura di governo collettiva e convergente. L’occasione offerta dalla crisi della nostra economia e gli strumenti di sostegno ad essa correlati potevano essere giocati in modo vincente a condizione che si fosse fuoriusciti da una logica di attribuzione di compiti amplissimi all’intervento pubblico, fino a sostituire il ruolo della società civile nella determinazione della direzione dello sviluppo. Operare per il rilancio dello sviluppo voleva dire, essenzialmente, modificare l’ambiente economico-sociale del grossetano. E poiché non esisteva una sola via di sviluppo era necessario che si attivassero, nell’opera di cambiamento, una pluralità di attori e che la società locale fosse protagonista essa stessa della sua trasformazione.

• Il secondo “ma” era che SI TENDESSERO A SUPERARE LE CONNOTAZIONI COMPORTAMENTALI DEL LAMENTO E DELL’ATTESA DI SALVEZZA DALL’ESTERNO E, SOPRATTUTTO, SI SUPERASSE LA RASSEGNAZIONE. Quest’ultima faceva dire alla gente che quanto accadeva era proprio brutto, ma cosa ci si poteva fare? Se tutto continuava come prima e peggio di prima, tanto valeva far finta di niente. Non era solo accettazione passiva dell’esistente, ma anche la verbosa protesta a cui non seguivano i fatti. Era possibile ribaltare la rassegnazione? Ritenevo proprio di sì. Però non servivano programmi onnicomprensivi, magari ben confezionati. Se alla base della rassegnazione c’era la crisi di credibilità che toccava tutti, allora era necessario fare passi significativi, anche pochi, però di livello e concreti. Capaci cioè di rendere visibile (testimoniare) la volontà di affrontare un itinerario di reale cambiamento.

• Il terzo “ma” era che UN RUOLO CENTRALE NEL PROCESSO DI CAMBIAMENTO FOSSE PRESO IN MANO DALL’IMPRENDITORIA LOCALE. Ciò non significava scaricare sugli imprenditori grossetani tutto il compito della ripresa. Al contrario, essi andavano aiutati e incentivati a qualificarsi e modernizzarsi, a espandersi e soprattutto ad indirizzarsi verso l’uso creativo delle risorse costituite da Grosseto e dal suo ambiente socio-economico. Ma dovevano anche mostrare di avere gli attributi o, perlomeno, la disponibilità a mettersi in gioco.

Senza la determinazione a favorire solidi legami tra apparato produttivo e struttura finanziaria, amministrazione locale, sistema di comunicazione, istituzione educativa e di ricerca, le economie offerte dal territorio grossetano sarebbero rimaste troppo deboli per attrarre gli auspicabili investimenti esterni.

Era in quell’ambito di ragionamento che si poteva costruire una cultura di governo che non doveva essere di un solo attore, ma vedere presenti tutti i protagonisti. Il nostro impegno era quello di contribuire a rendere operativa una volontà, a trasformare le dichiarazioni in fatti, a denunciare chi si limitava agli enunciati e poi non garantiva un impegno reale (fosse lo stato, la regione, i comuni, gli imprenditori, le associazioni o fossimo noi stessi).

• Il quarto “ma” era rappresentato DAL DECISO SUPERAMENTO DELLA MANCANZA DI FIDUCIA TRA LE ISTITUZIONI che spesso – per eccesso di defatiganti mediazioni – conduceva alla paralisi, all’immobilismo. All’inconcludenza. La nostra Provincia amica aveva stabilito un patto di fiducia con i cittadini (mettere in piedi azioni concrete per dare nuovo slancio al sistema) e lo voleva difendere anche con altri livelli istituzionali (comuni, regione, stato), aiutando, informando e facendosi promotrice di soluzioni veloci e innovative. Patto di fiducia che, in primis, era da stabilire tra gli enti del nostro territorio. Un accordo di lavoro comune basato sulle sinergie possibili, sul rispetto dei diversi ruoli di rappresentanza, sullo scambio e l’integrazione nei servizi alla collettività.

• Il quinto “ma” riguardava IL TRATTEGGIARSI DI UN DISCUSSO E CONDIVISO MODELLO DI SVILUPPO NON PIÙ DISEGNATO SU MODELLI IMITATIVI delle aree industriali, ma indirizzato in modo originale nell’ambito di filiere vocazionali tipiche del nostro territorio.

② Per tutti questi motivi (ed altri ancora, attinenti le competenze della Provincia) decisi IL TOUR DELLA GIUNTA e di alcuni funzionari in tutti e 28 i comuni della provincia. Non era mai stato organizzato in precedenza e lo volli anche per dimostrare plasticamente che la Provincia Amica aveva a cuore le aree forti come quelle deboli. Anzi, nella logica della sussidiarietà si sarebbe messa a disposizione, per quanto possibile, più di quelle deboli e periferiche. Come non leggere in questo senso, ad esempio, i molti interventi che facemmo sulle strade bianche del comune di Sorano.

In due mesi (5 settembre – 31 ottobre 1995) incontrammo tutti i comuni ad eccezione di quello di Campagnatico perché il sindaco, Fabio Capitani, accampò scuse su scuse per non vederci (e poi perse il comune alle successive elezioni). Quel Capitani che incrocerò, senza incontrarlo di nuovo, segretario provinciale dei DS nel 1999 al tempo della mia defenestrazione. Formidabile.

Partimmo con l’Isola del Giglio, anche perché avevamo in mano la patata bollente del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, che il Sindaco Landini roteava come il martello di Thor e chiudemmo con il comune capoluogo, incontrando una giunta piuttosto distratta (così distratta che due anni dopo perse le elezioni). Ma ti pare: il sindaco e la giunta del capoluogo incontrati nello stesso modo degli altri sindaci e giunte dei comuni della provincia. Grosseto come Montieri, non sia mai. A proposito, anche quel sindaco lo incrocerò, senza incontrarlo, nel maggio 1999. Straordinario.

Commenti a parte, noi avevamo esigenze conoscitive, perché sia io che Sammuri, Gennai, De Carlo, venivamo da alcune aree del territorio. Paradossalmente, aveva più una visione d’insieme l’extracomunitario Pacciani sul fronte dell’agricoltura. Ma soprattutto desideravo capire se era possibile trovare un condiviso modello di sviluppo provinciale, diverso da altri modelli toscani e non toscani.

L’itinerario attraverso i comuni ebbe due caratteristiche fondamentali, una più evidente, l’altra meno ovvia: concentrare in uno scambio unico tutte le informazioni sui problemi che coinvolgevano le amministrazioni; conoscere direttamente il tessuto amministrativo e sociale del territorio in un rapporto personale, in taluni casi prepolitico. Questi momenti segnarono le visite. Molto utile fu il confronto, ma l’integrazione umana, l’opportunità di offrire ai comuni di giocare in casa, permise di mettere in bilancio quel qualcosa in più che non era stato possibile realizzare in situazioni di incontro istituzionale che c’erano già state. La novità fu apprezzata. E noi avemmo il piacere di visitare il territorio, conoscere associazioni e imprese, approfondire e individuare ulteriori argomenti di lavoro.

③ Il filo di ragionamento che unì tutto il percorso fu la scelta consolidata e diffusa di un modello di sviluppo sostenibile che aveva come risorse di base i beni culturali e ambientali e che sceglieva il turismo e l’agricoltura di qualità, la piccola e media impresa artigiana e di servizio come sbocchi economici. Il panorama di potenzialità specifiche emerso fu consistente, per originalità e qualità dell’offerta e in tutti i comuni trovai consenso a muoverci in quella direzione.

Proprio a servizio di quell’idea e di quelle potenzialità, ravvisammo il vero ruolo della provincia da noi suggerito e accolto da molti (non tutti) come determinante: essere un raccordo, organizzare, offrire strumenti rapidi ed efficaci di intervento, lavorare per il potenziamento delle infrastrutture, aiutare i comuni (soprattutto quelli piccoli) con supporti di progettazione, rendere patrimonio comune la ricerca e le informazioni. Il superamento del particolare per ricondurlo ad un bisogno generale era il vero salto qualitativo che eravamo chiamati a fare, e la disponibilità a trovare un luogo comune di scambio - riconoscendo all’Ente che rappresentavo quella funzione - fu una novità nella storia delle municipalità.

Era un’opportunità da non sprecare. Perché una mancanza di risposta avrebbe rischiato di ricacciare tutti nei propri confini e di non dare gambe ad un modello qualitativo che avevamo a cuore: la rapida e concreta attivazione del cosiddetto “Sistema Qualità Maremma”.

Ed era la concretizzazione di quanto avevo detto in campagna elettorale. O meglio, scritto sul dépliant elettorale. “La Provincia deve essere anche ente pensante, cioè intelligenza capace di regolare lo sviluppo del territorio coinvolgendo i cittadini e i gruppi sociali interessati al benessere”. “Dobbiamo interrogarci sul nostro futuro”. “La questione dello sviluppo deve essere posta al centro del dibattito sul territorio, individuando le azioni utili a rafforzare il sistema economico della Maremma e ad indirizzarne la crescita equilibrata. L’attivazione della società e dei suoi soggetti economici è un obiettivo da perseguire per innestare un processo di rinnovamento e di sviluppo dell’area”. “L’intervento pubblico va inteso come strumentale rispetto ai fini di sviluppo che si vogliono raggiungere”. “Le risorse della nostra terra sono il punto di partenza naturale per crescere in maniera equilibrata”. “Vogliamo lavorare attorno a un’idea di crescita che sappia attivare lo snodo economico per noi fondamentale di agricoltura e ambiente e di agricoltura e aree urbanizzate (industrie di trasformazione, commercio, artigianato, servizi, turismo)”. “La provincia di Grosseto è un territorio che vive sull’impresa, specie piccola e media di tipo agricolo, artigiano e sull’imprenditorialità individuale. Da qui vogliamo ripartire per dare forza all’economia locale”. “Ma lo vogliamo fare nell’ottica dello sviluppo sostenibile, che significa utilizzare in modo razionale il capitale in nostro possesso, consegnandolo valorizzato alle generazioni future. Uno sviluppo di tal genere non può essere pensato che in modo integrato”.

Fortunatamente, scripta manent.




Da sinistra: Walter Rossi e Giacomo Landini assessore e sindaco dell'Isola del Giglio



Nessun commento: