C’erano ostacoli da superare e bisognava decidere insieme quello che volevamo. Il tour della giunta provinciale in 27 dei 28 comuni della provincia
Lo stato di salute della
nostra economia provinciale e della Provincia per un po’ mi fecero pensare al
detto di Cicerone, mala tempora currunt.
E mi venne un doloroso cerchio alla testa.
Ma non potevo entrare in
depressione proprio all’inizio. L’adrenalina salì a mille e fortissimo dentro
di me e i miei collaboratori nacque il desiderio di contribuire all’inversione
di tendenza: dal declino ad un nuovo sviluppo.
① Ma c’erano alcuni “ma”.
• Il primo “ma” era che questa ESIGENZA DI OPPORSI
AI PROCESSI DI CRISI ECONOMICA E DI EMARGINAZIONE SOCIALE EMERGESSE IN TUTTI I
GRUPPI DIRIGENTI LOCALI, noi compresi: istituzioni, associazioni di categoria,
imprenditori, operatori economici, aggregazioni consortili di scopo, sindacati.
Mancava, infatti, una cultura di governo collettiva e convergente. L’occasione
offerta dalla crisi della nostra economia e gli strumenti di sostegno ad essa
correlati potevano essere giocati in modo vincente a condizione che si fosse
fuoriusciti da una logica di attribuzione di compiti amplissimi all’intervento
pubblico, fino a sostituire il ruolo della società civile nella determinazione
della direzione dello sviluppo. Operare per il rilancio dello sviluppo voleva
dire, essenzialmente, modificare l’ambiente economico-sociale del grossetano. E
poiché non esisteva una sola via di sviluppo era necessario che si attivassero,
nell’opera di cambiamento, una pluralità di attori e che la società locale
fosse protagonista essa stessa della sua trasformazione.
• Il secondo “ma” era che SI TENDESSERO A SUPERARE LE CONNOTAZIONI COMPORTAMENTALI DEL LAMENTO E DELL’ATTESA DI SALVEZZA DALL’ESTERNO E, SOPRATTUTTO, SI SUPERASSE LA RASSEGNAZIONE. Quest’ultima faceva dire alla gente che quanto accadeva era proprio brutto, ma cosa ci si poteva fare? Se tutto continuava come prima e peggio di prima, tanto valeva far finta di niente. Non era solo accettazione passiva dell’esistente, ma anche la verbosa protesta a cui non seguivano i fatti. Era possibile ribaltare la rassegnazione? Ritenevo proprio di sì. Però non servivano programmi onnicomprensivi, magari ben confezionati. Se alla base della rassegnazione c’era la crisi di credibilità che toccava tutti, allora era necessario fare passi significativi, anche pochi, però di livello e concreti. Capaci cioè di rendere visibile (testimoniare) la volontà di affrontare un itinerario di reale cambiamento.
• Il terzo “ma” era che UN RUOLO CENTRALE NEL
PROCESSO DI CAMBIAMENTO FOSSE PRESO IN MANO DALL’IMPRENDITORIA LOCALE. Ciò non
significava scaricare sugli imprenditori grossetani tutto il compito della
ripresa. Al contrario, essi andavano aiutati e incentivati a qualificarsi e
modernizzarsi, a espandersi e soprattutto ad indirizzarsi verso l’uso creativo
delle risorse costituite da Grosseto e dal suo ambiente socio-economico. Ma
dovevano anche mostrare di avere gli attributi o, perlomeno, la disponibilità a
mettersi in gioco.
Senza la determinazione a
favorire solidi legami tra apparato produttivo e struttura finanziaria,
amministrazione locale, sistema di comunicazione, istituzione educativa e di
ricerca, le economie offerte dal territorio grossetano sarebbero rimaste troppo
deboli per attrarre gli auspicabili investimenti esterni.
Era in quell’ambito di
ragionamento che si poteva costruire una cultura di governo che non doveva essere
di un solo attore, ma vedere presenti tutti i protagonisti. Il nostro impegno
era quello di contribuire a rendere operativa una volontà, a trasformare le
dichiarazioni in fatti, a denunciare chi si limitava agli enunciati e poi non
garantiva un impegno reale (fosse lo stato, la regione, i comuni, gli
imprenditori, le associazioni o fossimo noi stessi).
• Il quarto “ma” era rappresentato DAL DECISO
SUPERAMENTO DELLA MANCANZA DI FIDUCIA TRA LE ISTITUZIONI che spesso – per
eccesso di defatiganti mediazioni – conduceva alla paralisi, all’immobilismo.
All’inconcludenza. La nostra Provincia amica aveva stabilito un patto di
fiducia con i cittadini (mettere in piedi azioni concrete per dare nuovo
slancio al sistema) e lo voleva difendere anche con altri livelli istituzionali
(comuni, regione, stato), aiutando, informando e facendosi promotrice di
soluzioni veloci e innovative. Patto di fiducia che, in primis, era da
stabilire tra gli enti del nostro territorio. Un accordo di lavoro comune
basato sulle sinergie possibili, sul rispetto dei diversi ruoli di
rappresentanza, sullo scambio e l’integrazione nei servizi alla collettività.
• Il quinto “ma” riguardava IL TRATTEGGIARSI DI UN DISCUSSO E CONDIVISO MODELLO DI SVILUPPO NON PIÙ DISEGNATO SU MODELLI IMITATIVI delle aree industriali, ma indirizzato in modo originale nell’ambito di filiere vocazionali tipiche del nostro territorio.
② Per tutti questi motivi
(ed altri ancora, attinenti le competenze della Provincia) decisi IL TOUR DELLA
GIUNTA e di alcuni funzionari in tutti e 28 i comuni della provincia. Non era
mai stato organizzato in precedenza e lo volli anche per dimostrare
plasticamente che la Provincia Amica aveva a cuore le aree forti come quelle
deboli. Anzi, nella logica della
sussidiarietà si sarebbe messa a disposizione, per quanto possibile, più di
quelle deboli e periferiche. Come non leggere in questo senso, ad esempio,
i molti interventi che facemmo sulle strade bianche del comune di Sorano.
In due mesi (5 settembre –
31 ottobre 1995) incontrammo tutti i comuni ad eccezione di quello di
Campagnatico perché il sindaco, Fabio Capitani, accampò scuse su scuse per non
vederci (e poi perse il comune alle successive elezioni). Quel Capitani che
incrocerò, senza incontrarlo di nuovo, segretario provinciale dei DS nel 1999
al tempo della mia defenestrazione. Formidabile.
Partimmo con l’Isola del
Giglio, anche perché avevamo in mano la patata bollente del Parco Nazionale
dell’Arcipelago Toscano, che il Sindaco Landini roteava come il martello di
Thor e chiudemmo con il comune capoluogo, incontrando una giunta piuttosto
distratta (così distratta che due anni dopo perse le elezioni). Ma ti pare: il
sindaco e la giunta del capoluogo incontrati nello stesso modo degli altri
sindaci e giunte dei comuni della provincia. Grosseto come Montieri, non sia
mai. A proposito, anche quel sindaco lo incrocerò, senza incontrarlo, nel
maggio 1999. Straordinario.
Commenti a parte, noi
avevamo esigenze conoscitive, perché sia io che Sammuri, Gennai, De Carlo,
venivamo da alcune aree del territorio. Paradossalmente, aveva più una visione
d’insieme l’extracomunitario Pacciani sul fronte dell’agricoltura. Ma
soprattutto desideravo capire se era
possibile trovare un condiviso modello di sviluppo provinciale, diverso da
altri modelli toscani e non toscani.
L’itinerario attraverso i
comuni ebbe due caratteristiche fondamentali, una più evidente, l’altra meno
ovvia: concentrare in uno scambio unico tutte le informazioni sui problemi che
coinvolgevano le amministrazioni; conoscere direttamente il tessuto
amministrativo e sociale del territorio in un rapporto personale, in taluni
casi prepolitico. Questi momenti segnarono le visite. Molto utile fu il
confronto, ma l’integrazione umana, l’opportunità di offrire ai comuni di
giocare in casa, permise di mettere in bilancio quel qualcosa in più che non
era stato possibile realizzare in situazioni di incontro istituzionale che
c’erano già state. La novità fu apprezzata. E noi avemmo il piacere di visitare
il territorio, conoscere associazioni e imprese, approfondire e individuare
ulteriori argomenti di lavoro.
③ Il filo di ragionamento
che unì tutto il percorso fu la scelta
consolidata e diffusa di un modello di sviluppo sostenibile che aveva come
risorse di base i beni culturali e ambientali e che sceglieva il turismo e
l’agricoltura di qualità, la piccola e media impresa artigiana e di servizio
come sbocchi economici. Il panorama di potenzialità specifiche emerso fu
consistente, per originalità e qualità dell’offerta e in tutti i comuni trovai
consenso a muoverci in quella direzione.
Proprio a servizio di
quell’idea e di quelle potenzialità, ravvisammo il vero ruolo della provincia da noi suggerito e accolto da molti
(non tutti) come determinante: essere un raccordo, organizzare, offrire
strumenti rapidi ed efficaci di intervento, lavorare per il potenziamento delle
infrastrutture, aiutare i comuni (soprattutto quelli piccoli) con supporti di
progettazione, rendere patrimonio comune la ricerca e le informazioni. Il
superamento del particolare per ricondurlo ad un bisogno generale era il vero
salto qualitativo che eravamo chiamati a fare, e la disponibilità a trovare un
luogo comune di scambio - riconoscendo all’Ente che rappresentavo quella
funzione - fu una novità nella storia delle municipalità.
Era un’opportunità da non
sprecare. Perché una mancanza di risposta avrebbe rischiato di ricacciare tutti
nei propri confini e di non dare gambe ad un modello qualitativo che avevamo a
cuore: la rapida e concreta attivazione del cosiddetto “Sistema Qualità
Maremma”.
Ed
era la concretizzazione di quanto avevo detto in campagna elettorale. O meglio,
scritto sul dépliant elettorale. “La
Provincia deve essere anche ente pensante, cioè intelligenza capace di regolare
lo sviluppo del territorio coinvolgendo i cittadini e i gruppi sociali
interessati al benessere”. “Dobbiamo interrogarci sul nostro futuro”. “La
questione dello sviluppo deve essere posta al centro del dibattito sul
territorio, individuando le azioni utili a rafforzare il sistema economico
della Maremma e ad indirizzarne la crescita equilibrata. L’attivazione della
società e dei suoi soggetti economici è un obiettivo da perseguire per
innestare un processo di rinnovamento e di sviluppo dell’area”. “L’intervento
pubblico va inteso come strumentale rispetto ai fini di sviluppo che si
vogliono raggiungere”. “Le risorse della nostra terra sono il punto di partenza
naturale per crescere in maniera equilibrata”. “Vogliamo lavorare attorno a
un’idea di crescita che sappia attivare lo snodo economico per noi fondamentale
di agricoltura e ambiente e di agricoltura e aree urbanizzate (industrie di
trasformazione, commercio, artigianato, servizi, turismo)”. “La provincia di
Grosseto è un territorio che vive sull’impresa, specie piccola e media di tipo
agricolo, artigiano e sull’imprenditorialità individuale. Da qui vogliamo
ripartire per dare forza all’economia locale”. “Ma lo vogliamo fare nell’ottica
dello sviluppo sostenibile, che significa utilizzare in modo razionale il
capitale in nostro possesso, consegnandolo valorizzato alle generazioni future.
Uno sviluppo di tal genere non può essere pensato che in modo integrato”.
Fortunatamente, scripta
manent.
Da sinistra: Walter Rossi e Giacomo Landini assessore e sindaco dell'Isola del Giglio |
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