mercoledì 29 dicembre 2021

POST 52 – COMPRENDERE LA REALE SITUAZIONE ECONOMICA DELLA PROVINCIA

Trovammo una fase di declino crescente e di diffuso malessere. E non trovammo un dossier sviluppo da usare come terapia d’urto. Ma in quanto zona depressa avevamo a disposizione alcuni strumenti per avviare il rilancio

L’esperienza di Presidente della Provincia l’ho vissuta in un periodo significativo per quell’ente, racchiuso tra due grandi parentesi.

Quella degli anni 70 e in parte 80, contrassegnata dall’ossessionante querelle sulla inutilità della Provincia, considerata allora (e, probabilmente, lo era diventata) un livello di amministrazione e governo del territorio obsoleto e inconcludente, con un residuo di competenze modeste e ridotte. C’era chi sosteneva, sprezzantemente, che la provincia si occupava solo di strade e di matti (prima della riforma Basaglia, la 180 del 1978). E quella di oggi, volta al superamento di questo livello amministrativo.

Nel 1995, invece, LA PROVINCIA ERA DIVENUTA UN ENTE IMPORTANTE, che aveva un suo ruolo preciso nel contesto dei problemi fondamentali dello sviluppo del territorio e dei comuni che vi erano collocati: ad essa leggi regionali e nazionali avevano assegnato compiti rilevanti in materia di ambiente, assetto del territorio, promozione dello sviluppo. Amministrare la provincia, dunque, non era soltanto impegno quotidiano di gestione di competenze amministrative, ma soprattutto elaborazione di scelte e di progettualità di grande impatto e sensibilità.

① Eppure – come già detto – la trovai come una macchina con tutte e quattro le gomme a terra: una organizzazione sgangherata, incapace di compiere scelte definitive nei settori strategici, fuori da ogni processo di innovazione tecnologica, priva di una strategia socio-economica di fondo alla quale agganciare i propri strumenti programmatori. C’era qualche idea interessante, maturata in alcuni settori dell’ente (nello sviluppo economico con Milvio Parentini, nell’Agricoltura con Maurizio Chielli, nell’assetto del territorio con Pietro Pettini) o derivante da elaborazioni di soggetti locali esterni all’ente (come gli atti della Conferenza sullo sviluppo e il coordinamento territoriale dei comuni della zona nord, tenutasi a Follonica il 5 marzo 1994  e il contributo della Federazione Lavoratori Agro Industria della CGIL del 1993), ma non v’era un’idea di sviluppo provinciale, comune, condivisa e convincente.

Non mi si comprenda male. Non voglio dire che chi ci aveva preceduto non aveva fatto nulla, perché sarebbe ingiusto o, molto più semplicemente, falso. Alcune azioni erano state portate avanti e, probabilmente, la Provincia aveva contribuito, insieme ad altri, all’ottenimento di alcuni importanti riconoscimenti e inserimenti (è buffo chiamarli così):

• in quanto area provinciale con notevolissimi problemi, l’inserimento negli obiettivi 2 (area a declino industriale) e 5b (area bisognosa di diversificazione delle attività economiche delle zone rurali vulnerabili) del Regolamento Comunitario 2081/93; e, per il 5b, l’espressione locale nel programma Leader;

• il riconoscimento di zona depressa e quindi area di crisi (al 12° posto di quelle del centro-nord) dove era possibile applicare la legge 236 del 1993 e la conseguente costituzione, all’inizio del 1994, della Grosseto Sviluppo Spa, per la promozione dello sviluppo, alla quale sarebbero state assegnate prioritariamente risorse del Fondo nazionale di Sviluppo, per l’attuazione del progetto di rilancio;

• l’approvazione da parte del consiglio provinciale, dopo un confronto con la Regione, i comuni e la Grosseto Sviluppo, di protocolli d’intesa per la realizzazione di quattro aree per insediamenti produttivi e incubatori sul territorio provinciale (se non ricordo male: Località la Botte di Scarlino, Borgo S. Rita di Cinigiano, Orbetello e Grosseto).

• Poi naturalmente c’era tutta la legislazione nazionale sulla riconversione dei bacini minerari – che come ultimo anello aveva partorito la legge 204 del 1993, ma che aveva ancora in atto la legge 221 del 1990 da rifinanziare e che forse poteva rendere utilizzabile la legge 488 del 1992, ma non era chiaro, e si era in attesa delle norme attuative della legge 75 del 1993 (le ho citate tutte per ricordare il caos nel quale talvolta ci si trova ad amministrare, alla faccia degli stupidi e degli ignoranti che pensano che tutto sia semplice) – che naturalmente il nostro ufficio per lo sviluppo economico stava seguendo con grande attenzione e fatica.

Ma in verità, una volta insediato, NON TROVAI UN DOSSIER SVILUPPO ALMENO ABBOZZATO, con una seria analisi della situazione socio-economica, una o più linee di sviluppo da percorre per il rilancio, corredato di azioni fattibili da mettere in campo subito, nel medio e lungo termine. Milvio Parentini, da par suo, mi fornì indicazioni interessanti, ma lui era un dirigente. La parte politica non aveva lasciato nulla di scritto, discusso e condiviso, che avesse la parvenza di una strategia sociale ed economica. È vero che la Grosseto Sviluppo era nata col compito di promuovere l’impresa e il lavoro e, in seguito, con la lucida mente di Fabio Taiti (con il quale poi avrò modo di collaborare fattivamente e lo difenderò, lasciato un po’ solo da altri soggetti locali, quando il duo della Gepi lo voleva far fuori), abbozzerà anche una strategia. Ma la Grosseto Sviluppo era una Spa a tempo, non un organo politico.

Dunque, andiamo per ordine.

Se era stato possibile attivare i citati strumenti, e ne dimentico qualcuno, allora LA SITUAZIONE SOCIO-ECONOMICA ERA VERAMENTE GRAVE. Motivo per cui, insieme ai miei più stretti collaboratori e Fabio Taiti, cercai di studiare e delineare i tratti di quanto era accaduto nell’ultimo quinquennio e anche oltre. Ed emerse una situazione veramente complicata.


② Infatti, dall’inizio degli anni ’90 L’INTERA AREA PROVINCIALE VIVEVA IN UNA CONDIZIONE DI CRESCENTE E DIFFUSO MALESSERE ECONOMICO E SOCIALE.

Su una situazione storica e strutturale di marginalità e di ritardato sviluppo rispetto al resto della Toscana, si erano infatti venuti sovrapponendo, negli ultimi anni, alcuni veri e propri processi di crisi settoriale.

• La crisi del settore agricolo, relativamente specializzato su alcune produzioni di base (grano duro, mais, olio, vino, orto-frutta), ma incapace di proporre filiere di verticalizzazione e prodotti di nicchia idonei ad intercettare le componenti forti del valore aggiunto e le nuove tendenze della distribuzione organizzata.

• La crisi del settore manifatturiero, sostanzialmente despecializzato e scarsamente orientato a promuovere aggregazioni di sottosistema e processi continuati di ristrutturazione e pertanto interessato da puntuali crisi aziendali (Eurovinil di Grosseto e in precedenza l’Azienda Tessile Paoletti di Castiglione della Pescaia, ecc.).

• La crisi del settore chimico-minerario, per la progressiva perdita di convenienza allo sfruttamento dei giacimenti e di competitività delle relative lavorazioni a valle (ultima la dismissione delle miniere delle Colline Metallifere e il ridimensionamento dell’attività chimica di Scarlino che avevano fatto seguito alla chiusura delle miniere del polo Amiatino e alla crisi dell’attività chimica di Orbetello).

• La crisi del settore edilizio (segnalata dalla situazione preoccupante tra le maggiori imprese del settore) a seguito del calo demografico, della conclusione del ciclo delle seconde case, della contrazione dei lavori infrastrutturali e delle grandi opere, della scarsa rilevanza delle attività di manutenzione.

• La conseguente crisi dei sistemi dell’indotto da edilizia residenziale, quali impiantistica, elettricità, infissi, recinzioni, arredamento e via dicendo.

Il valore aggiunto prodotto dall’attività industriale in provincia costituiva nel 1980 il 24,6% del totale. Nel 1995 esso era sceso al 16,8 con una perdita di oltre 7 punti percentuali nel periodo ’80-’95. Grosseto era classificata tra le otto province più deindustrializzate dell’Italia e si distingueva anche per avere il coefficiente di specializzazione più basso del Paese.

• La crisi del settore turistico, rimasto mediamente attardato su modelli di offerta di massa, a forte e concentrata stagionalità estiva, troppo raramente orientato a promuovere diversificazioni e proposte di segmento qualificato.

Purtroppo, l’analisi delle tendenze evolutive economiche e sociali allora in atto, presentava, negli ultimi mesi del 1995, un quadro di ulteriori crescenti difficoltà. La ricordata despecializzazione manifatturiera dell’economia provinciale, non aveva infatti consentito alla nostra terra di beneficiare negli anni 1994 e 1995 dell’espansione da export che avevano invece conosciuto altre zone d’Italia.

• Il rallentamento del ciclo economico e dei consumi, aveva ulteriormente aggravato l’economia reale e la DISOCCUPAZIONE. A tal riguardo si registrava che le persone in cerca di occupazione nel 1995 erano circa 22.000 (14-15%), mentre nel 1991 erano state poco oltre 10.000. A questo dato andava aggiunto che:

◊ era elevato, rispetto alla struttura produttiva della provincia, il dato relativo ai lavoratori in mobilità (800, pari a circa il 13%);

◊ risultava triplicata tra il 1991 al 1995 l’entità dei disoccupati ope-rai qualificati (da 1.620 a 4.741);

◊ era cresciuto, nello stesso periodo, più del doppio il volume dei disoccupati operai non qualificati (da 5.765 a 13.340);

◊ era aumentato di oltre un terzo (da 3.000 a 4.222) la quota degli impiegati disoccupati.

 

③ Non solo. Nel decennio in cui maturava la crisi, SI COMPIVA ANCHE L’ASSESTAMENTO INSEDIATIVO E L’ORGANIZZAZIONE SPAZIALE DEL TERRITORIO della provincia.

Campagne e paesi si spopolavano e invecchiavano, la montagna amiatina e le zone collinari interne avevano conosciuto un processo di prosciugamento delle risorse demografiche giovani e delle attività economiche extra agricole. La popolazione complessiva si era stabilizzata sui 216.000 abitanti e concentrata prevalentemente nei comuni maggiori tra i 28 che componevano la provincia. La popolazione dei primi 6 comuni era infatti di circa 140.000 abitanti: Grosseto 72.080, Follonica 21.166, Orbetello 15.267, Monte Argentario 13.137, Roccastrada 9.330, Massa Marittima 9.101.

I comuni maggiori avevano irrobustito i presidi di servizio civile alla popolazione (scuole, ospedali, attrezzature sportive, ecc.), mentre quelli minori erano in continua lotta per mantenere il poco che avevano. Tra l’altro nessun comune forte era riuscito ad assumere un ruolo di effettiva leadership sul territorio, almeno per qualche specializzazione. Neppure Grosseto.

Il reticolo stradale interno alla provincia e il sistema dei trasporti pubblici e privati locali riusciva, comunque, a promuovere le condizioni di una buona e relativamente rapida mobilità di una popolazione contenuta all’interno di un territorio molto vasto (4.506 kmq, pari a una densità di 48 abitanti per kmq).

④ All’opposto, ATTARDATO RESTAVA IL SISTEMA DEI COLLEGAMENTI CON L’ESTERNO DELLA PROVINCIA. La questione infrastrutturale era aperta da decenni, specie quella relativa al completamento della nuova Aurelia e alla realizzazione per blocchi della Due Mari, la Grosseto-Siena. L’Accordo di programma Regione-Governo del novembre 1993 aveva escluso le questioni viarie e in piedi erano unicamente rimaste le affermazioni dell’Anas, piuttosto campate in aria. Non parliamo dell’aeroporto di Grosseto, obbligatoriamente chiuso nella sua insuperabile minorità, vista la prossimità con quello militare e unicamente oggetto di polemiche giornalistiche e di discettazioni di sapientoni che, di tanto in tanto, pontificavano sull’argomento.

⑤ Altro problema infrastrutturale serio, ai fini dello sviluppo economico e civile, era LA QUESTIONE IDRICA, sottolineata dal persistere della intromissione del cuneo salino e dal contemporaneo rilievo del fabbisogno idrico, che rimaneva inalterato anche con l’applicazione di tecniche di utilizzo tendenti al risparmio. Qualcosa si era mosso, in questo campo, con le ipotesi di realizzazione di invasi di medie dimensioni, per i quali, però, andava concluso l’iter procedurale e soprattutto andavano individuate ed acquisite le risorse necessarie.

Sarà pur vero, come dice Karl Kraus, che “una delle malattie più diffuse è la diagnosi”, ma per noi fu essenziale farla e metterci subito al lavoro per la terapia. Anche perché non si avverasse la famosa legge di Pascal: “se non facciamo niente, siamo sicuri che il peggio accadrà”. E per la nostra terra volevamo il meglio.


Foto simbolo di 27 Comuni della provincia. Manca Grosseto


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